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Dott. Villiam Zanoni

La Corte torna sui suoi passi e forse fa una inversione a U

pensioniprevCi siamo più volte occupati l’anno scorso di tutta una serie di effetti che sono scaturiti da un pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza n° 70/2015) che aveva ad oggetto gli interventi normativi dell’emergenza contenuti nel decreto “salva Italia”, ed in particolare il blocco temporaneo del meccanismo di adeguamento al costo vita per le pensioni di importo superiore a 3 volte in trattamento minimo, dichiarato illegittimo. Altrettanto avevamo fatto in passato in occasione di altri pronunciamenti della stessa Corte, in particolare quando un’altra sentenza (n° 116/2013) si pronunciò sulla stessa normativa nella parte in cui modificava manovra estiva del 2011 (D.L: n° 98/2011) introducendo il contributo di solidarietà dichiarandolo illegittimo.

Per memoria la norma dichiarata illegittima nel 2013 prevedeva un contributo di solidarietà nel periodo 2011-2014 in misura pari al 5% per le pensioni di importo superiore a 90.000 e comprese entro i 150.000 euro annui, pari al 10% per la parte compresa fra 150.000 e 200.000 euro, e pari al 15% per la parte eccedente i 200.000.

La norma dichiarata illegittima nel 2015 prevedeva invece il blocco per 2 anni (2012 e 2013) del meccanismo di adeguamento delle pensioni per quei trattamenti di importo superiore a 3 volte il trattamento minimo (equivalenti a 18.265 euro annui).

Quelle due sentenze hanno avuto in comune l’esigenza di rideterminare i trattamenti pensionistici in pagamento, ma si sono poi differenziate per motivazioni e per effetti prodotti.

La prima norma fu censurata dalla Corte sostanzialmente per il fatto che tale misura fu ritenuta di carattere fiscale, ma non possedeva i requisiti di universalità e proporzionalità, la secondo fu invece censurata con un giudizio non unanime da parte dei membri della Corte che arrivò al pronunciamento semplicemente per il fatto che il voto del Presidente assume un peso specifico più elevato, ma le motivazioni hanno fatto (e continuano a fare) molto discutere.

Oggi ci rioccupiamo della prima sentenza (la n° 116/2013) poiché una ulteriore recentissima sentenza ha ripreso in esame le norme successivamente emanate.

Mentre si stava ancora discutendo sugli effetti della sentenza e su come restituire ai pensionati le trattenute illegittimamente subite, la legge di stabilità varata dal Governo Letta (legge n° 147 del 27 dicembre 2013) reiterava per un triennio (2014-2016) il contributo di solidarietà (articolo 1, comma 486)  rimodulando con il seguente criterio:

-          6% sulle pensioni di importo superiore a 14 volte il trattamento minimo (90.168 euro annui)

-          12% sulla parte compresa fra 14 e 30 volte il trattamento minimo (da 90.169 a 193.217 euro annui)

-          18% sulla parte eccedente 30 volte il trattamento minimo (193.218 euro annui).

Il passaggio fondamentale in tale contesto è rappresentato dal fatto che le risorse così reperite sono state destinate al finanziamento dei provvedimenti a favore degli “esodati”.

Contestualmente la stessa norma al comma 483 ha rimodulato per un triennio (2016-2016 poi di fatto prorogato e divenuto un quinquennio con la legge di stabilità 2016) il meccanismo di adeguamento delle pensioni alla dinamica costo vita rilevata dall’ISTAT.

Dal 2014, infatti, ne è derivato che:

 

-          per le pensioni comprese entro 3 volte il trattamento minimo è stato garantito il 100% dell’indice ISTAT costo vita;

-          per le pensioni comprese fra 3 e 4 volte il trattamento minimo è stato garantito solo il 95% dell’indice ISTAT costo vita su tutta la pensione;

-          per le pensioni comprese fra 4 e 5 volte il trattamento minimo è stato garantito solo il 75% dell’indice ISTAT costo vita su tutta la pensione;

-          per le pensioni comprese fra 5 e 6 volte il trattamento minimo è stato garantito solo il 50% dell’indice ISTAT costo vita su tutta la pensione;

-          per le pensioni di importo superiore a 6 volte il trattamento minimo è stato garantito solo il 40% dell’indice ISTAT costo vita su quota di pensione fino a 6 volte il minimo, mentre per il solo 2014 non è stato erogato nulla sulla parte di pensione eccedente le 6 volte;

-          per gli anni dal 2015 al 2018 per le pensioni di importo superiore a 6 volte il minimo è stato e viene attribuito il 45% dell’indice ISTAT costo vita su tutta la pensione.

 

Anche questa ultima disposizione è divenuta oggetto di ordinanze alla Corte Costituzionale che vengono esaminate dalla sentenza in esame.

Viste le note vicende relative alla lunga congiuntura che stiamo vivendo, ed in particolare le difficoltà in cui navigano i conti pubblici italiani, c’era molta apprensione in merito a ciò che poteva scaturire da ulteriori sentenze della Corte, ed è proprio da qui che trae origine il titolo di questo commento.

Va subito detto che entrambe le norme precedente citate hanno superato l’esame da parte della Corte che con la sentenza n° 173 del 5-13 luglio 2016 ha dichiarato non fondate entrambe le questioni di legittimità e contemporaneamente inammissibili una serie di altre questioni sempre in merito agli stessi commi, ma avanzate sotto profili diversi.

Uno dei motivi fondamentali che si pone in evidenza confrontando le sentenze del 2013 e del 2016 derive appunto dalla diversa formulazione: se la prima norma apparve illegittima a causa della ritenuta natura fiscale del provvedimento rappresentata dal fatto che le risorse generate venivano incamerate nel bilancio dello Stato, la seconda norma (il comma 486) è invece legittima proprio perché le risorse da essa generate rimangono all’interno del sistema previdenziale essendo appunto destinate a finanziare i provvedimenti per gli esodati.

Sarà certamente effetto di un più perfetto meccanismo giuridico, ma non mi pare indifferenze sottolineare anche un più responsabile atteggiamento da parte dei giudici della Corte ai quali non è sfuggito il momento straordinario ed emergenziale nel contesto del quale il provvedimento è stato generato.

Tale ultimo aspetto è tanto più presente nella parte della sentenza che riguarda il comma 483, in particolare quando la motivazione va a ricercare e ricalcare quanto è già stato scritto nella sentenza n° 70/2015 ricordata in premessa.

In quella occasione, infatti, era già stata implicitamente confermata la legittimità della norma perché «ha previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell’applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all’articolo 34, comma 1, della legge n° 448 del 1998, con l’azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014», ispirandosi «a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescienza».

Ne deriva quindi una assoluzione piena di tutti quei meccanismi, ma a mio avviso si intravvede fra le righe anche l’inversione ad U di nuovo citata nel titolo.

Oggi quindi ci focalizziamo si questa sentenza e sulla norma presa in esame, ma non va dimenticato che siamo in attesa di un pronunciamento molto più importante che riguarda le disposizioni con cui è stata data attuazione alla sentenza n° 70/2015.

Sono infatti già state pubblicate in Gazzetta Ufficiale diverse ordinanze pronunciate da diversi protagonisti della giurisdizione, che hanno posto all’attenzione della Corte l’articolo 1 del decreto-legge n° 65/2015, convertito in legge n° 109/2015, con il quale si è appunto data attuazione alla sentenza n° 70/2015, norma che ha sollecitato diverse critiche da più parti.

Molte di questo sono di natura strumentale e populistica, alcune potrebbero anche avere qualche fondamento giuridico.

Tuttavia le motivazioni cui si è ritenuto legittimo il comma 483 prima ricordate fanno bene sperare, poiché di tutto abbiamo bisogno fuorché di un pronunciamento che costringesse Governo e Parlamento a reperire un decina di miliardi di euro per coprire il buco.

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