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Il nuovo cumulo nella legge di bilancio 2017: diritti per i lavoratori e oneri per le amministrazioni

a cura di Villiam Zanoni

Avevamo già commentato sommariamente la legge di bilancio 2017 dopo la sua approvazione e prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e ovviamente nel testo ufficiale della legge n° 232 del 11 dicembre 2016, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 297, del 21 dicembre 2016, supplemento ordinario n° 57, non c’è nulla di diverso. Nella parte previdenziale della norma ci sono quindi diverse novità i cui meccanismi applicativi presuppongono l’inoltro di una specifica istanza da parte del lavoratore (l’APE, la RITA, la condizione di precoce, i nuovi benefici dei lavori usuranti, ecc..), anche se va detto che non tutti gli elementi di dettaglio sono del tutto noti poiché dipendono dalla emanazione di alcuni DPCM e di alcuni decreti ministeriali.

C’è invece un beneficio che sarebbe già totalmente operativo in quanto vigente già dal 1° gennaio 2017, ma che ovviamente rimane al momento ancora privo di effetti, se non altro fino a quando non sarà emanata dall’INPS la canonica circolare applicativa che, a quanto ci risulta, dovrebbe essere solamente in attesa dell’assenso da parte del Ministero del lavoro.

Mi riferisco al cumulo dei periodi assicurativi che viene profondamente ridisegnato dall’articolo 1, commi da 195 a 198, che vanno a modificare quanto già introdotto con l’articolo 1, comma 239, della legge n° 218/2012.

Per essere in sintonia con i messaggi mediatici lanciati nel corso della discussione della legge di bilancio, mi riferisco nuovamente a ciò che il ministro Poletti ha impropriamente definito “ricongiunzione gratuita”, fermo restando che l’operazione compiuta è tutt’altro che una ricongiunzione essendo quest’ultima coinvolta solo in una particolare situazione che poi esamineremo.

Per comprendere fino in fondo la portata della novità è necessario pare un passo indietro per capire ciò che era accaduto prima della legge di stabilità 2013 e quanto fosse parziale la soluzione adottata con quella legge ora modificata.

Il disastro per i lavoratori titolari di diverse posizioni contributive versate presso diverse gestioni previdenziali è esploso con una serie di interventi contenuti nell’articolo 12 del D.L. n° 78/2010, convertito in legge n° 122/2010, con il quale:

-       con il comma 12-septies fu resa onerosa la ricongiunzione ai sensi dell’articolo 1 della legge n° 29/1979 già a partire dalle domande inoltrate a partire dal 1° luglio 2010;

-       con il comma 12-decies fu resa più onerosa la ricongiunzione ai sensi dell’articolo 2 della legge n° 29/1979 a partire dalle domande inoltrate dal 31 luglio 2010;

-       con il comma 12-undecies fu abrogata la legge n° 322/1958, e altre norme similari, che prevedevano la costituzione della posizione assicurativa all’INPS per gli iscritti ai fondi sostitutivi ed esclusivi dell’AGO che fossero cessati dal servizio senza avere maturato il diritto a pensione.

Poiché da quel momento quei lavoratori si trovarono nell’inferno più assoluto, una soluzione parziale fu introdotta appunto con la legge di stabilità 2013 (legge n° 282/2012) che all’articolo 1, commi da 239 a 249, introdusse il nuovo cumulo che manteneva al proprio interno una pesante serie di elementi negativi:

-       l’unica prestazione acquisibile, oltre l’inabilità e la reversibilità, era la pensione di vecchiaia secondo le regole Fornero;

-       era necessario ovviamente non essere già titolari di pensione diretta, ma anche non avere alcun diritto a pensione in nessuna gestione coinvolta;

-       non era possibile includere le contribuzioni versate presso le Casse di previdenza dei liberi professionisti.

Ebbene, con la legge di bilancio 2017 la prima modifica che viene effettuata è quella relativa alla inclusione delle casse dei liberi professionisti nel novero delle gestioni che possono concorrere al cumulo.

Per quanto la norma sia già cogente, per questa parte occorrerà comprendere fino n fondo quale sarà l’atteggiamento delle Casse professionali di fronte ad un meccanismo che oggettivamente per loro comporterà maggiori oneri non prevedibili fino a due mesi fa, sia per quanto riguarda le posizioni “silenti” che fino a poco tempo fa non avrebbero mai generato alcun diritto a pensione, sia per quanto riguarda la erogazioni di prestazioni in tempi anticipati rispetto alle loro previgenti previsioni.

La seconda modifica riguarda l’eliminazione dell’assurda condizione relativa al fatto che il lavoratore non avesse maturato il diritto a pensione in nessuna della gestioni in cui era stato iscritto. Tale modifica è ovviamente rilevante in particolare per la pensione di vecchiaia poiché la presenza di 20 anni di contribuzione in una gestione impediva l’utilizzo del cumulo per recuperare altri spezzoni contributivi.

Tale situazione era oggettivamente aggirabile attraverso l’utilizzo della totalizzazione di cui al D.Lgs. n° 42/2006, ma in tal caso avremmo dovuto fare i conti da un lato con un meccanismo che attraverso la finestra lunga di 18 mesi provocava un ritardo di 6 mesi nell’accesso a pensione, e dall’altro con un criterio di calcolo di pensione con le regole dell’opzione per il sistema contribuivo che avrebbero potuto provocare la liquidazione di quote di pensione di importo inferiore.

La modifica più importante è però quella legata alla possibilità di acquisire mediante il cumulo anche il diritto alla pensione anticipata introdotta dalla riforma Fornero, ancorché solo quella a fronte dei 42 anni e 10 mesi per l’uomo e dei 41 anni e 10 mesi per la donna. Rimane esclusa la possibilità di accedere a pensione con il meccanismo della flessibilità per i destinatari del sistema contributivo, e cioè con i 20 anni di contributi, l’età di 63 anni e 7 mesi ed un importo non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale.

Tali modifiche ovviamente aprono per i lavoratori diverse nuove opportunità che comporteranno anche una serie di valutazioni rispetto ai diversi possibili percorsi.

A fronte di tutto ciò c’è un unico balzello per i dipendenti pubblici: se si accede alla pensione anticipata mediante il nuovo meccanismo del cumulo, e ciò non può che avvenire attraverso le dimissioni volontarie, in tal caso il termine di 24 mesi di attesa per riscuotere il TFS/TFR inizierà a decorrere non dalla data di cessazione dal servizio, bensì dalla data in cui saranno maturati i requisiti di età per il diritto alla pensione di vecchiaia.

L’altra novità interessante è legata alla possibilità di revocare la ricongiunzione in corso di pagamento per fruire in alternativa della possibilità di cumulo.

Detta istanza potrà essere presentata entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, quindi entro il 31 dicembre 2017. In tal caso saranno rimborsate le quote di onere versate fino a quel momento e la contribuzione tornerà ad essere fruibile all’interno di ciascuna gestione.

Ovviamente anche questa opportunità dovrà essere valutata da tutte le sfaccettature possibili non tanto sul diritto a pensione, quanto sulle modalità di calcolo e sulle diverse altre conseguenze, non ultime quelle fiscali generate dalla deduzione dal reddito delle rate pagate nei periodi di imposta precedenti.

Ma non tutto è rose e fiori, soprattutto per le pubbliche amministrazioni.

Se infatti per il lavoratore il cumulo diventa una importante opportunità, per l’amministrazione datrice di lavoro può diventare un ulteriore problema di valutazione.

Il problema ritorna ad essere legato ai meccanismi di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età ordinamentali.

Tutto ciò che è accaduto dalla riforma Fornero in poi, infatti, ha concorso a determinare una serie di meccanismi molto più rigidi nella applicazione del limite ordinamentale, a partire dall’articolo 24, comma 4, del D.L. n° 201/2011, convertito in legge n° 214/2011 e dalla sua interpretazione autentica operata con l’articolo 2, comma 5, del D.L. n° 101/2013, convertito in legge n° 1125/2013, per arrivare poi alle indicazioni applicative di Funzione Pubblica contenute prima nella circolare n° 2/2012 e ribadite e meglio precisate nella circolare n° 2/2015, nonché ai diversi pareri formulati in risposta a diversi quesiti.

Giova ricordare l’interpretazione autentica secondo la quale “l’articolo 24, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n° 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n° 214, si interpreta nel senso che per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d’ufficio e vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia e costituisce il limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata, al raggiungimento del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione.

A proposito del diritto a pensione va poi ricordato il parere della Funzione Pubblica n° 15888 del 4 aprile 2013, secondo la quale “l'amministrazione deve verificare l'ammontare complessivo dei contributi versati a favore del dipendente prossimo al collocamento a riposo, se del caso, consultando gli enti previdenziali di riferimento. Se la somma delle anzianità contributive maturate presso diverse gestioni raggiunge il minimo …, il lavoratore può ricorrere all'istituto della totalizzazione, di cui al D.Lgs. n° 42/2006 o del cumulo contributivo, di cui alla legge n° 228/2012, totalizzando o cumulando i periodi contributivi per raggiungere il requisito minimo …”.

Si potrebbe a questo punto eccepire che sia la totalizzazione che il cumulo sono istituti facoltativi a disposizione del lavoratore, ma evidentemente non è questo il pensiero di Funzione Pubblica.

Anzi, a proposito di diritti subordinati ad una manifestazione di volontà del lavoratore, va ricordato un altro parere di Funzione Pubblica a proposito di come avrebbero dovuto essere considerate le lavoratrici che al 2011 avevano 61 anni di età 20 anni di contribuzione, ovvero i lavoratori che alla stessa data avevano raggiunto i 60 anni di età, i 35 anni di contribuzione e maturata la quota 96.

Infatti, con il parere n° 6295 del 31 gennaio 2014, così ha affermato: “Ciò posto, il dipendente che ha maturato un diritto a pensione entro il 31/12/2011, raggiungendo la quota 96 oppure, per le donne, i requisiti previgenti per la pensione di vecchiaia (61 anni di età e almeno 20 anni di contributi), ma che non ha ancora raggiunto l’età limite ordina mentale per la permanenza in servizio di cui all’articolo 4 del D.P.R. n° 1092/1973, ossia sessantacinque anni, è titolare di un diritto che può o meno decidere di esercitare. L’amministrazione, in questo caso, deve accogliere l’istanza del dipendente che faccia richiesta di essere collocato a riposo in virtù del diritto conseguito prima dei 65 anni di età. Qualora il dipendente soggetto al regime previgente non eserciti tale diritto, l’amministrazione è obbligata a collocarlo a riposo al compimento dei 65 anni di età”.

Ebbene, attualizzati quei concetti, non sarei molto stupito da un atteggiamento della Funzione Pubblica che affermasse il principio in base al quale una volta che il dipendente avesse perfezionato il diritto alla pensione anticipata, anche mediante il meccanismo del cumulo, l’amministrazione dovesse collocare obbligatoriamente a riposo il dipendente al raggiungimento del 65° anno di età.

A questo punto il problema vero è rappresentato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, o meglio dalla possibilità di conoscere almeno il suo pensiero, posto che da parecchio tempo fa più rumore il suo silenzio (non a caso l’ultimo parere pubblicato sul sito internet risale a febbraio 2015).

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