di Stefano Usai
La fattispecie dell’accesso civico generalizzato (secondo l’attributo assegnato dall’ANAC) è l’istituto introdotto nel nostro Paese (per dare attuazione al c.d.foia) con il decreto legislativo 97/2016 (art. 5, comma 2, innestato nel decreto legislativo 33/2013) ed è finalizzato, semplificando, a consentire un controllo sociale dell’attività amministrativa e sulla spendita delle risorse pubbliche. Strumento, pertanto, che dovrebbe tendere alla riduzione, visto le informalità di funzionamento, alla riduzione di comportamenti patologici.
L’accesso civico generalizzato si distingue dall’accesso civico “semplice” (art. 5, comma 1 del decreto legislativo 33/2013) in quanto consente ad ogni soggetto di richiedere l’ostensione di atti/dati comunque detenuti dalla pubblica amministrazione senza alcuna formalità né legittimazione attiva considerato, come detto, che lo scopo è quello di consentire forme di controllo diffuso.
L’accesso civico “semplice” invece è la possibilità di ogni soggetto di pretendere dalla pubblica amministrazione le pubblicazioni (ai sensi del decreto legislativo 33/2013) che siano state omesse e, evidentemente, di richiedere l’atto/dato non pubblicato. Prerogativa, pertanto, che si può azionare nel momento in cui la pubblica amministrazione viola i propri obblighi di pubblicazione.
Nel caso trattato dal giudice pugliese, viene in considerazione la richiesta di accesso ad atti/dati afferenti il personale azionata, immediatamente, ai sensi della legge 241/90 e solo successivamente – in fase di ricorso – esercitata come richiesta di ostensione ai sensi dell’accesso civico generalizzato.
Circostanza, quest’ultima che ha consentito al giudice di chiarire – con utilità evidente per le pubbliche amministrazioni - le finalità (e le diversità) tra questa fattispecie e l’accesso agli atti documentali di cui alla legge 241/90 8artt. 22 e segg.)
Il fine dell’accesso civico generalizzato
La prima riflessione del giudice è che la richiesta dei dati afferenti il personale, non trattandosi di dati soggetti a pubblicazione, non era riconducibile alla fattispecie dell’accesso civico semplice che, come detto, può essere azionata senza formalità da chiunque una volta “accertato” (o supposto) l’inadempimento agli obblighi di pubblicazione come risultanti dal decreto legislativo 33/2013.
Nel caso di specie, testualmente, per i dati richiesti “non è prevista la pubblicazione degli stessi, considerati anche i rilevanti profili di privacy che possono comportare, trattandosi di trasferimenti ottenuti ai sensi della Legge n. 104/1992”.
Il passaggio successivo, pertanto, era quello di verificare la riconducibilità della richiesta nell’ambito delle finalità dell’accesso civico generalizzato piuttosto che in quelle della legge 241/90 (che consente la tutela delle proprie posizioni qualificate pretendono, quindi, una precisa legittimazione attiva).
Nel ricorso si rilevava che la richiesta era finalizzata a far emergere una eventuale disparità di trattamento circa le prerogative del personale, disparità che poi l’interessato avrebbe voluto far valere in giudizio per tutelare le proprie prerogative.
Tale finalità, sottolinea il giudice, esulta dal campo di applicazione dell’accesso civico generalizzato.
In sentenza si rammenta infatti che tale istituto risulta caratterizzato da una precisa finalità, ossia dallo “scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”,finalità non presenti nella richiesta, in cui l’interessato intendeva tutelare una propria personale posizione e non certo controllare l’attività amministrativa della istituzione interessata, “né il suo utilizzo di risorse pubbliche né, tantomeno, promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, tutte finalità “pubblicistiche” evidentemente assenti nel presente caso, in cui il ricorrente vuole tutelare, come già detto più volte, una propria personale posizione”.
Per tali finalità, quindi, non è possibile un uso strumentale dell’accesso civico generalizzato a meno che – annota il giudice – non si voglia dare alla nuova fattispecie “un’interpretazione così estensiva da risultare abrogativa della Legge n. 241/1990”. E’ chiaro invece che “la disciplina dell’accesso civicogeneralizzato prevista dal comma 2 dell’articolo 5 del D. Lgs. n. 33/2013 non può che essere interpretata come del tutto alternativa alla disciplina di cui alla legge n. 241/1990 e azionabile, da chiunque, solo in caso di un interesse alla legittima azione amministrativa e al suo controllo da parte della collettività e non nei casi in cui venga, invece, azionata una pretesa del singolo per suo esclusivo e concreto vantaggio”.
Ed in questo senso, il giudice ritiene di adeguarsi a quanto già asserito dalla giurisprudenza secondo cui “A ben vedere, l'interesse tutelato nella fattispecie di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 33 del 2013 presuppone come implicita la rispondenza della richiesta stessa al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica e che non resti confinato ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, rischierebbe di compromettere le stesse istanze alla base dell'introduzione dell'istituto.”(T.A.R. Abruzzo - Pescara, Sez. I, n. 347/2018)”.
La sentenza fornisce effettivamente un utile contributo all’orientamento giurisprudenziale recente – e prevalente – che tende, tra gli altri, a negare l’accesso civico generalizzato agli atti dell’appalto (offerte tecnico/economiche) nel momento in cui, come nel caso di specie, si intende strumentalizzare le finalità della fattispecie travalicando le “mere” (finalità) funzioni di controllo sociale per giungere alle stesse finalità dell’accesso documentale ex lege241/90 soggetto, evidentemente, a ben più stringenti limiti.
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