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Nel rapporto della Corte dei Conti l’Irpef deve essere rivista

di Pierluigi Tessaro

Nel “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica”, la Corte dei Conti ha analizzato i motivi che spingono ad adottare quanto prima una profonda revisione del sistema fiscale in Italia, in particolare dell’Irpef, nata nel 1973 e che garantisce il maggior gettito tributario in Italia.

Legata alle condizioni reddituali, l’imposta ha fra le sue principali caratteristiche quella di essere diretta, poiché colpisce il reddito prodotto, personale, perché è dovuta da ciascuno in relazione ai redditi prodotti, progressiva, perché la percentuale di tassazione cresce all’aumentare del reddito e a scaglioni di reddito, perché ad ogni scaglione si applica un’aliquota diversa, sempre più elevata.

Ispirata al principio della progressività, di cui all’art. 53 della Costituzione, nel corso degli anni l’Irpef ha però subito tanti interventi che ne hanno modificato i parametri di riferimento, tanto è vero che, secondo la Corte dei Conti, ma non solo, occorre intervenire quanto prima per riportarla all’iniziale contesto dell’onnicomprensività dell’imposta.

Fra i vari problemi riscontrati, il primo riguarda il regime della cedolare secca, riferita ai redditi finanziari e immobiliari, assoggettata a tassazioni decisamente più favorevoli rispetto a quelle applicate ai redditi da lavoro dipendente e pensione.

Un'altra anomalia si riscontra con il numero enorme di detrazioni e deduzioni, stratificato da decenni di politiche attuate dai vari governi. Attualmente esistono 256 agevolazioni fiscali, concentrate per la metà sulle proprietà immobiliari, che riducendo la stima del gettito in oltre 53 miliardi (circa il 20-25% del totale), vanno ad avvantaggiare soprattutto i contribuenti con redditi più elevati.

Un altro grande problema, arcinoto, è l’evasione fiscale, stimata, per ciò che riguarda l’Irpef, in circa 32 miliardi di gettito l’anno, concentrata soprattutto nel lavoro autonomo.

Altri problemi si riscontrano poi con i troppi regimi forfetari, che determinano esclusioni di parte del gettito che, invece, potrebbe essere introitato se fosse applicata l’imposta in modo analogo a quello operato sui redditi da lavoro dipendente e pensione; poi, ancora, le riduzioni di aliquote e i regimi speciali, che hanno determinato, nel corso degli anni, un’imposta distorsiva, il cui prelievo si è concentrato ormai sui redditi alla fonte, lavoro dipendente e pensione, con aliquote particolarmente elevate, soprattutto con il passaggio dal secondo scaglione, dove il prelievo è pari al 27%, al terzo, dove è prevista una tassazione del 38%.

A ciò si deve aggiungere l’ulteriore svantaggio determinato dalla riduzione delle detrazioni d’imposta, che, come noto, diminuiscono all’aumentare del reddito, e, pertanto, aumentano ulteriormente il divario fra i vari scaglioni di reddito.

Per alleggerire la tassazione sulla classe media, rendendo più equa la ripartizione del carico fiscale, la Corte dei Conti propone, su suggerimento dei partner internazionali, lo spostamento di parte dell’imposizione da imposte dirette a quelle indirette, come, ad esempio, l’IVA, che si basa sul trasferimento di ricchezza.

Una scelta probabilmente meno perequativa, però in grado, forse, di bilanciare un sistema che ha visto progressivamente trasferire il peso della tassazione sui redditi da lavoro dipendente, circa il 42%, superiore di oltre 6 punti percentuali alla media europea, a fronte di un 30% di tassazione dei redditi da capitale, e del 15% sui consumi.

Un altro intervento suggerito dalla Corte dei Conti riguarda la revisione e l’aggiornamento della base imponibile dei valori catastali.

Nel PNRR il Parlamento sarà tenuto ad approvare, entro il prossimo 31 luglio, una legge delega, per poter attuare la futura riforma fiscale, che, a questo punto risulta necessaria, considerando che oltre il 44% dei contribuenti dichiara redditi al di sotto di 15.000 e che l’Irpef viene pagata per l’84% dai lavoratori dipendenti e pensionati.

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