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Archivio Rubrica Procedimento Disciplinare

La struttura del procedimento disciplinare

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Edizione del 30 Gennaio 2017


La struttura del procedimento disciplinare - Seconda parte

Dopo aver analizzato le prime due fasi del procedimento disciplinare (preistruttoria e contestatoria) passiamo all’esame della terza fase, definita generalmente “di garanzia”. Questa rappresenta un momento delicato e fondamentale per l’ intero procedimento poiché il destinatario, dopo l’avvenuta conoscenza di tutti gli addebiti tramite la contestazione, ha la possibilità di esercitare le prerogative che gli sono attribuite dalle disposizioni normative e contrattuali con le quali si estrinseca il diritto di difesa, costituzionalmente garantito. Inoltre tale fase realizza il pieno rispetto del contraddittorio tra le parti.

Pertanto, il lavoratore, ricevuta la convocazione, può farsi assistere all’ audizione da un avvocato o da un rappresentante sindacale oltre ad avere la possibilità di inviare una memoria esplicativa. Qualora non dovesse avvalersi di tali facoltà entro i termini fissati dal legislatore, la sanzione potrà essere irrogata con le modalità e i tempi indicati dall’ art. 55 e ss. del d.lgs. 165/2001. Se, invece, il lavoratore si avvalga delle proprie facoltà difensive, la sanzione verrà inflitta, entro i termini generali previsti, decorrenti dalla contestazione degli addebiti, a pena di estinzione dell’ intero procedimento.

In tale fase, molte amministrazioni si sono trovate in difficoltà a causa dell’ utilizzo a volte strumentale delle prerogative a difesa del lavoratore poiché spesso questi, nella speranza di prolungare il procedimento sino alla scadenza dei termini e provocarne l’estinzione, adduceva motivazioni, quali ad esempio la malattia, allo scopo di rendersi indisponibile all’audizione.

In proposito la giurisprudenza e la dottrina sono più volte intervenute a chiarire che tali circostanze non precludono al lavoratore la possibilità di avvalersi degli strumenti a propria difesa dal momento che l’interessato può utilizzare le forme alternative, quali ad esempio l’ invio di memorie difensive.

Al verificarsi di tale ipotesi, però, è buona norma che l’ amministrazione, una volta ricevuto il certificato che attesti la malattia, invii un’ulteriore raccomandata a/r rammentando, anche se ciò è già stato correttamente indicato nella lettera di convocazione, la possibilità di avvalersi di tale strumento alternativo. Nella suddetta comunicazione va altresì segnalato che è nell’ interesse del lavoratore, destinatario del procedimento, utilizzare tali strumenti , essendo preposti a sua tutela, e che il termine finale perentorio di conclusione del procedimento rimarrà in ogni caso inalterato.

Infine va segnalato che con la modifica dell’ art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001 è stato previsto un meccanismo di differimento dell’ audizione del lavoratore nel caso di grave ed oggettivo impedimento ma una sola volta e con sospensione del termine finale per la chiusura del procedimento con le modalità e limiti indicati nel suddetto articolo 55 bis.    

Vale la pena segnalare che la violazione dei termini indicati dalla norma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa.

L’obbligatorietà dell’azione disciplinare

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L’obbligatorietà dell’azione disciplinare

Dott.ssa Patrizia Colagiovanni

Una importante differenza tra impiego privato e impiego pubblico è la possibilità di valutare se procedere disciplinarmente o meno.  

Come noto, infatti, la scelta datoriale di sanzionare o meno il dipendente privato, seppure da esercitarsi sempre nel rispetto del divieto di discriminazioni e della parità di trattamento, è discrezionale mentre per il dipendente pubblico è assolutamente obbligatoria.

Ciò viene motivato dal fatto che nell’ impiego privato la scelta è espressione di prerogative manageriali, quindi si basa essenzialmente su una valutazione costi-benefici nell’ ambito del rapporto definito all’art.2086 c.c. Diversamente nell’impiego presso la p.a., nonostante tutte le teorie che spingono ad utilizzare strumenti privatistici diretti al conseguimento dell’efficienza, l’azione disciplinare è obbligatoria, in virtù dei principi costituzionali di buon andamento della p.a. e di legittimità dell’azione amministrativa. In realtà da tempo è dibattuto il carattere discrezionale o obbligatorio dell’ azione disciplinare al punto che parte della dottrina aveva giustamente ritenuto che, a completamento dell’ applicazione del modello privatistico, anche per il pubblico impiego fosse coerente ricondurre tale valutazione nell’ alveo dell’ esercizio delle prerogative manageriali del privato datore di lavoro.

Invece l’art.55-sexies, comma 3 del D.lgs. n. 165 del 2001, stabilisce che il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, comporta la responsabilità disciplinare in capo all’inerte (o addirittura complice) dirigente. Va da sé, quindi, che tali principi non consentono alcuno spazio a valutazioni di opportunità nell’esercizio del potere disciplinare.

Inoltre nel limitare l’ utilizzo di tale potere da parte del dirigente pubblico la norma sembra voler precisare il perimetro della responsabilità del dirigente considerandolo “lavoratore” e non “datore di lavoro”. Pertanto la macchina amministrativa (dirigenti, strutture, procedimenti, ecc.) ha l’oneroso e doveroso compito di perseguire ogni comportamento possa configurarsi con un illecito disciplinare.

Ne discende che la mancata attivazione di procedimenti disciplinari, per “pace sociale”, per negligenza, o addirittura per dolo o il loro abbandono immotivato, può originare responsabilità disciplinari, amministrativo-contabili, dirigenziali (ex art.21 del d.lgs. n.165 del 2001) e penali in capo all’inerte.

A tale obbligatorietà del promovimento dell’azione disciplinare da parte degli organi competenti, va richiamato il concorrente obbligo di segnalazione di fatti di possibile valenza disciplinare ai suddetti organi da parte dei dirigenti dell’ufficio ove opera il dipendente autore dell’illecito. Infatti senza tale momento conoscitivo-propulsivo l’azione disciplinare non ha inizio per carenza di notizia del fatto. Tale obbligo di segnalazione, già logicamente desumibile dal sistema, è stato testualmente ribadito per i dirigenti pubblici privatizzati dai CCNL e l’inerzia nella segnalazione assume di per sé valenza disciplinare per i soggetti a ciò obbligati ex lege così come evidenziato anche dalle recenti norme.

Per completezza va segnalato anche il comma 7 dell’art.55-bis che prevede l’obbligo del dipendente o dirigente, che è a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, di prestare collaborazione all’autorità disciplinare, salvo l’esistenza concreta di un giustificato motivo.

In conclusione si può affermare che la scelta operata dalla riforma Brunetta, che sancisce l’obbligatorietà dell’ azione disciplinare, nel circoscrivere il potere organizzativo dell’ amministrazione, di fatto dà origine ad un normativa di diritto speciale che costituisce un tertium genus poiché non riconducibile né al diritto civile né al diritto pubblico.

L'Angolo del Procedimento Disciplinare - Edizione del 15-11-2016

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La pubblicità del codice disciplinare

Nel precedente articolo avevo già fatto rilevare che una delle più importanti modifiche intervenute con l’applicazione del d.lgs. 150/2009 è stata quella di aver formalizzato l’ equivalenza dell’ affissione all’ ingresso della sede di lavoro alla pubblicazione sul sito internet dell’ amministrazione del c.d. codice disciplinare, ossia di tutte le disposizioni inerenti le infrazioni disciplinari e le conseguenti sanzioni.

Precedentemente infatti molte sanzioni disciplinari erano state poi annullate dai giudici a causa della mancanza di tale formalità che era contenuta nell’ art. 7 della legge n. 300 del 1970. Infatti, la citata disposizione prevedeva che la parte datoriale dovesse mettere “a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti” il codice disciplinare e, quindi, le relative sanzioni e le procedure di contestazione delle stesse. Successivamente anche la contrattazione collettiva aveva recepito tale principio.

La ratio di tale adempimento è da rinvenire nella necessità di “preavvisare” il lavoratore cioè di metterlo a conoscenza di tutto l’ insieme di regole sulla materia in modo da renderlo consapevole delle responsabilità alle quali si esporrebbe e che lo renderebbero perseguibile sul piano disciplinare. La semplice affissione ai luoghi di ingresso ha comportato a volte numerosi problemi legati anche all’ aspetto logistico ( ad es. numerosi accessi al luogo di lavoro, ecc.) e, peraltro, non risultava più al passo con i tempi dal momento che oggi il maggiore luogo di conoscenza, divulgazione e pubblicità per i luoghi di lavoro è intranet .

L’ evoluzione della vecchia disposizione è avvenuta con il comma 2 dell’ art. 55 come sostituito dall’ art. 68 del d.lgs. 150/2009 che espressamente prevede “La pubblicazione sul sito istituzionale dell’ amministrazione del codice disciplinare, recante l’applicazione delle predette infrazioni e relativa sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all’ ingresso della sede di lavoro”. Pertanto ai sensi della nuova norma le amministrazioni possono considerare osservato l’ obbligo di pubblicità del codice disciplinare con la pubblicazione sul sito internet istituzionale (circolare n. 14/2010 del Dipartimento della Funzione Pubblica). Ovviamente tale adempimento si considera assolto solo quando l’ accesso alla rete sia consentito a tutti i lavoratori tramite la propria postazione informatica sempre al fine di assolvere al principio di creare tutte le condizioni necessarie a rendere il dipendente “consapevole dell’ agire “.

Al fine di assicurare la massima pubblicità il codice disciplinare deve essere pubblicato con adeguata evidenza e visibilità e con indicazione precisa della data sia sulla home page internet che intranet. Inoltre, dell’ ottemperanza a tale obbligo va precostituita una prova, strumento sempre utile per elaborare una perfetta linea difensiva a fronte di un contenzioso , essendo tale tipologia di procedimenti da considerarsi a forte rischio in tal senso.

Attualmente la pubblicità in questione deve riguardare anche i codici di comportamento considerato che si tratta di regole che integrano le disposizioni contenenti le fattispecie di illecito disciplinare previste sia dalla legge che dalla contrattazione collettiva.

Da ultimo si segnala che rimane, quale unico strumento alternativo alla pubblicazione sul sito, la modalità precedente ossia quella dell’ affissione all’ ingresso della sede di lavoro.

Perché tante riforme ?

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Perché tante riforme?

Negli ultimi anni si sono susseguiti numerosi interventi di riforma al sistema disciplinare. Precedentemente il d.lgs. 165/2001 conteneva solo alcuni principi generali relativi essenzialmente all’ aspetto procedurale e contenzioso rinviando ai contratti collettivi e allo statuto dei lavoratori buona parte della materia. Questa era, infatti, soprattutto affidata alla contrattazione collettiva che si occupava sia della configurazione delle varie fattispecie di illecito disciplinare con le conseguenti sanzioni, sia degli aspetti procedurali. 

Questo impianto, seppure equilibrato e soddisfacente, forse ha peccato nel non sottolineare che si trattava di procedimenti altamente tecnici da affidarsi, quindi, a professionalità specifiche. In ogni caso l’intero sistema è stato ritenuto poco efficace a causa della scarsa tempestività e lentezza del procedere ( che in generale non dipendeva dalla norma), difficoltà a ricondurre i comportamenti sanzionabili alle varie fattispecie (che pure erano dettagliatamente e ampiamente declinate) e prevalenza degli aspetti formali più che sostanziali ( ottima l’ integrazione che codifica l’ equivalenza dell’ affissione all’ ingresso del luogo di lavoro alla pubblicazione sul sito internet dell’ amministrazione del c.d. codice disciplinare).

Per tali motivi il legislatore ha rivisto la ripartizione e il rapporto delle competenze tra la legge e la contrattazione collettiva riconducendo nell’ ambito delle disposizioni normative la regolazione della materia.

Tale innovazione è stata avviata già con la legge delega n. 15/2009 mediante la sostituzione dell’ art. 55 del d.lgs. n. 165/2001 nonché con l’ inserimento di ulteriori articoli. Si è, quindi, voluto dare maggiore carattere di imperatività alla materia disciplinare con previsione della sostituzione automatica delle clausole contrattuali nulle per contrasto con le norma imperative (meccanismo di eterointegrazione).

In sintesi attualmente la nuova impalcatura vede da un lato il d.lgs. 165/2001 sottrarre e codificare inderogabilmente le ipotesi di illecito disciplinare che prevedono la sanzione del licenziamento e dall’ altro lasciare attribuiti alla contrattazione collettiva spazi riguardanti essenzialmente la definizione della maggior parte delle fattispecie di illecito disciplinare e gli aspetti più organizzativi e funzionali dei procedimenti.

Si può, quindi, parlare di un nuovo rapporto tra legge e contrattazione collettiva che viene integrata con alcune fattispecie sottratte ad essa e affidate, invece, al rango normativo.

L’applicabilità dell’ impianto normativo è da riferirsi a tutte le pp.aa. compresi gli Enti territoriali poiché le disposizioni legislative adottate derivano dalla potestà esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile“. Infatti secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale si tratta di norme imperative che, in virtù del principio di eguaglianza, devono comunque garantire uniformità delle regole per tutto il territorio nazionale.

In proposito si rammenta che in materia di lavoro pubblico il limite fondamentale della potestà legislativa regionale è prevalentemente dato dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile” che è stato definito come l’insieme di norme volte ad assicurare “in tutto il territorio nazionale una uniformità di disciplina e di trattamento riguardo ai rapporti intercorrenti tra i soggetti privati, i quali attengono allo svolgimento delle libertà giuridicamente garantite e sono dunque legati al correlativo requisito costituzionale del godimento di tali libertà in condizioni di formale uguaglianza, ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost.”(Corte Cost. – sent. n. 462 del 1995 ed ex multis le più recenti sentenze 2 aprile 2009, n.99, 1 giugno 2006, n. 213 e 23 dicembre 2003, n. 370).  

La natura giuridica del potere disciplinare

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Edizione del 17/10/2016


La natura giuridica del potere disciplinare 

Con la privatizzazione i dipendenti pubblici, anche in materia disciplinare, acquisiscono la tutela riconosciuta ai diritti soggettivi perdendo quella riconosciuta agli interessi legittimi.  Infatti l’art. 55 del d.lgs. 165/2001 e smi richiamando l’ art. 2106 del c.c. rende il potere disciplinare della p.a. attività di gestione del rapporto del datore di lavoro pubblico che deve agire secondo “ le capacità e i poteri del datore di lavoro privato “  ( art. 5 d.lgs. 165/2001).

Da ciò discende che anche tutti gli atti concernenti il procedimento disciplinare hanno perduto la loro precedente natura “provvedimentale” assumendo le caratteristiche tipiche degli atti di natura “ negoziale”. Ciò è stato ampiamente confermato sin dal 1999 dalla Corte di Cassazione ( Sezione Lavoro sentenza n. 3373 del 7 aprile 1999) che ha chiaramente affermato :” la sanzione disciplinare è irrogata mediante un negozio giuridico con il quale viene esercitato il diritto potestativo di incidere sulla sfera giuridica del dipendente; diritto conferito all’ amministrazione dalle regole del rapporto, così come determinate dal contratto o dalla legge”.

Nella stessa direzione sempre la Cassazione ritiene che “i procedimenti disciplinari contemplati dall’ art. 55 del d.lgs. 165/2001 non costituiscono procedimenti amministrativi essendo condotti dalle p.a. con i poteri propri del datore di lavoro privati” (Cass. Sez. lavoro 29 marzo 2005 n. 6601).

Anche in tema di licenziamento disciplinare la Corte, con sentenza n. 758 del 16 gennaio 2006, ha affermato che “nel regime giuridico contrattuale dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici regionali è negozio giuridico di diritto privato regolato dalla legge n. 604 del 1966, in linea con le previsioni generali di cui all’ art. 55 d.lgs. 165/2001 e all’ art. 2, secondo comma, stesso decreto”. Inoltre la Cassazione, con sentenza n. 11589 del 28 luglio 2003,  ha evidenziato che “nell’ ambito del rapporto di lavoro presso le p.a. regolato dalle norme di diritto privato, l’ atto del datore di lavoro incidente sulla prestazione lavorativa è un atto paritetico, privo dell’ efficacia autoritativa propria del provvedimento amministrativo”.

Da ciò deriva l’ inapplicabilità al procedimento disciplinare delle regole sul procedimento amministrativo codificate dalla L. 241/90 dovendo invece far ricorso ai noti principi civilistici di correttezze e buona fede nell’ esecuzione del contratto.  Pertanto per avere accesso agli atti inerenti il procedimento disciplinare non si potrà utilizzare l’ art. 22 della L. 241/90 ma bisognerà invocare gli artt. 1175 e 1375 del codice civile.

Una importante conseguenza di tale trasformazione è stata la devoluzione al G.O. anche degli atti di esplicazione del potere disciplinare prima affidati alla competenza del G.A.

I Doveri del Dipendente Pubblico

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Edizione del 30 Settembre 2016

I Doveri del Dipendente Pubblico

l dipendente pubblico, oltre ai doveri che derivano dal dettato costituzionale codificati dagli artt. 54,97 e 98, è tenuto a fedeltà e diligenza, sanciti, come per il rapporto di lavoro privato, dagli artt. 2104 e 2105 c.c.

Inoltre i doveri degli impiegati trovano precisa declinazione anche nella contrattazione collettiva, le cui disposizioni vanno sempre coordinate con la legislazione ordinaria e speciale.

La disciplina pattizia detta in maniera puntuale i doveri e gli obblighi dei pubblici dipendenti elencandoli in apposite disposizioni contrattuali.

Inoltre la definizione dei doveri del dipendente trova la sua sedes materiae nel Codice di comportamento, recepito in allegato ai contratti collettivi e coordinato con le previsioni contrattuali in materia di responsabilità disciplinare, nonché nei codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni, contenenti eventuali integrazioni e specificazioni al codice generale.

Il D.M. 31-3-1994, approvato all’indomani della privatizzazione, è stato il primo codice di comportamento “generale” seguito dal D.M. 28-11-2000, che definiva nel dettaglio gli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità della condotta del pubblico dipendente. Successivamente l’art. 54 del D.Lgs. 165/2001, sostituito dalla L.190/2012, ha stabilito la definizione di un nuovo codice di comportamento dei pubblici dipendenti, che assicurasse la qualità dei servizi, la prevenzione della corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico. Conseguentemente è stato adottato, il D.P.R. 16-4-2013, n. 62, che ha sostituito il previgente del 2000, e attualmente costituisce il punto di riferimento fondamentale per delineare il sistema dei doveri (e delle responsabilità) dei pubblici dipendenti e si inserisce in un contesto di riforma della P.A. finalizzato al recupero della legalità, della trasparenza e della democraticità dell’azione amministrativa.

La violazione dei doveri recati dal codice oltre ad essere fonte di responsabilità disciplinare é rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile nel caso essa sia collegata alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti.

Il D.P.R. 62/2013 e i codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni definiscono i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare. 

In realtà i principi generali  del nuovo codice (art. 3) ricalcano in larga parte quelli enunciati dal previgente codice del 2000. Infatti, il pubblico dipendente:

— osserva la Costituzione e serve la Nazione con disciplina ed onore, conformando la propria condotta ai principi di buon andamento  e imparzialità dell’azione amministrativa;

— svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico senza abusare della posizione  o dei poteri di cui è titolare;

— rispetta i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità  e ragionevolezza  e agisce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi;

— non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione: prerogative e poteri pubblici sono esercitati unicamente per le finalità di interesse generale per le quali sono stati conferiti;

— esercita i propri compiti orientando l’azione amministrativa alla massima economicità, efficienza ed efficacia e nella gestione di risorse pubbliche segue una logica di contenimento dei costi, che non pregiudichi la qualità dei risultati;

— nei rapporti con i destinatari dell’azione amministrativa assicura la piena parità di trattamento  a parità di condizioni, astenendosi, altresì, da azioni arbitrarie che abbiano effetti negativi sui destinatari dell’azione amministrativa o che comportino discriminazioni di qualsiasi genere;

— dimostra la massima disponibilità e collaborazione  nei rapporti con le altre pubbliche amministrazioni, assicurando lo scambio e la trasmissione delle informazioni e dei dati in qualsiasi forma anche telematica, nel rispetto della normativa vigente. Rispetto alla passata disciplina l’attuale codice ha introdotto alcune innovazioni, prima fra tutte è la disciplina in tema di regali, compensi e altre utilità.

Il dipendente, infatti, non accetta, per sè o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico  valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali (ossia quelli di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto). A tal proposito risulta importante anche il nuovo richiamo alla prevenzione degli illeciti nell’amministrazione di cui alla legge anticorruzione (L. 190/2012).  In particolare, il dipendente deve attenersi alle prescrizioni contenute nel Piano per la prevenzione della corruzione, prestando la sua collaborazione al responsabile della prevenzione e, fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, segnalando  al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito di cui sia venuto a conoscenza.

Inoltre tra i doveri, vanno altresì richiamati quelli connessi al rispetto del principio di trasparenza  nell’ambito dell’organizzazione dei pubblici uffici, previsto dal D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, in base al quale il dipendente assicura l’adempimento degli obblighi di trasparenza stabiliti per le pubbliche amministrazioni, prestando la massima collaborazione nell’elaborazione, reperimento e trasmissione dei dati sottoposti all’obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale.

Dal predetto art. 98 Cost. (secondo cui i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione) discende anche il dovere di esclusività in base al quale il pubblico dipendente è tenuto a riservare la propria attività lavorativa solo all’amministrazione di appartenenza.

In tale contesto si innesta anche la disciplina in tema di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi codificata dall’art. 53  D.Lgs. 165/2001, come novellato dalla L. 190/2012 e dal D.L. 101/2013, conv. in L. 125/2013, che si applica sia ai dipendenti privatizzati  che a quelli in regime di diritto pubblico.

Secondo tale disposizione, il pubblico impiegato non  può svolgere attività commerciali, imprenditoriali, industriali, artigiane e professionali  in costanza di rapporto di lavoro. Tale dovere viene meno solo in caso di impiego part time  non superiore al 50% dell’orario ordinario.

Il dipendente, inoltre, può svolgere solo gli incarichi previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza o che siano comunque previsti o disciplinati dalla legge o da altre fonti normative. In mancanza di tale autorizzazione non possono essere conferiti incarichi, né da parte delle PP.AA. né da parte di enti pubblici economici e soggetti privati.

Gli incarichi retribuiti di cui si parla nell’art. 53 sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso.

 Sono esclusi  da tale ambito i compensi derivanti:

— dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

— dalla utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;

— dalla partecipazione a convegni e seminari;

— da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

— da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;

— da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

— da attività di formazione diretta ai dipendenti della Pubblica Amministrazione, nonché di docenza e ricerca scientifica.

In generale, si conferma il divieto di conferimento degli incarichi atipici, ossia non correlati a compiti e doveri d’ufficio previsti dalla legge; la disciplina delle incompatibilità viene raccordata a quella sul conflitto di interessi, statuendo che l’eventuale autorizzazione a ricoprire incarichi esterni al rapporto di lavoro avvenga sulla base di criteri oggettivi e predeterminati idonei a scongiurare potenziali situazioni di conflitto.

Infine vanno segnalate le recenti modifiche all’ art. 55-quater del d.lgs. 165/2001, introdotte dal d.lgs. 116 del 20 giugno 2016, di contrasto al fenomeno dell’ assenteismo che saranno oggetto di successiva e più approfondita analisi.

L'Angolo del Procedimento Disciplinare - Edizione del 15 Settembre 2016

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 Edizione del 15 Settembre 2016

 


ORIGINE E PRESUPPOSTI DEL POTERE DISCIPLINARE

Le recenti iniziative legislative in materia di procedimenti disciplinari impongono sempre maggiori approfondimenti e scambi di esperienze. Infatti per poter adottare provvedimenti corretti è necessaria un’ ampia specializzazione sulla materia essendo questa di natura altamente tecnica.

Si rende, quindi, necessario un percorso che parte dai principi-base che sono a fondamento del potere disciplinare per poi procedere gradualmente con l’ analisi di tutte le fasi dello svolgimento dell’ azione disciplinare.

Pertanto è necessario inquadrare correttamente l’argomento partendo da ciò che origina il potere disciplinare quale prerogativa datoriale. In considerazione di ciò va evidenziato che nell’ ambito del sinallagma, che rappresenta il fulcro del rapporto tra datore di lavoro e prestatore di lavoro ed è costituito dallo scambio tra prestazione e controprestazione , vi sono anche degli elementi che devono caratterizzare l’ adempimento del dipendente. In altri termini la prestazione deve essere resa secondo quanto richiesto dagli artt. 2104 e 2105 del c.c.

Per giungere a realizzare lo scopo, quindi, il dipendente è tenuto ad osservare nello svolgimento della prestazione le norme che definiscono l’ obbligo di diligenza e di fedeltà entrambi codificati dai seguenti articoli del codice civile:

2104.  Diligenza del prestatore di lavoro.

Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale [c.c. 1176].

Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

Il primo comma richiama la “diligenza del buon padre di famiglia ” e infatti rinvia all’ art. 1176 del c.c. che riguarda specificamente la diligenza nell’ adempimento del debitore che, a differenza della correttezza e buona fede inerenti il rapporto obbligatorio nel suo complesso, indica le modalità di esecuzione della prestazione e impone al debitore di fare tutto quanto necessario a soddisfare l’ interesse del creditore all’ esatto adempimento.

2105.  Obbligo di fedeltà.

Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio [c.c. 2125].

Ne consegue che qualora vi fosse una violazione dei suddetti doveri in capo al prestatore di lavoro si configura l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro.

Per quanto riguarda, invece, il dovere di fedeltà esso si concretizza nell’ obbligo di astenersi da qualsiasi comportamento che possa risultare pregiudizievole per l’ amministrazione e comporta il divieto di usare l’ impiego a fini personali.

I doveri del dipendente pubblico sono quindi sanciti in parte da norme di diritto positivo, in parte dalle disposizioni contenute dai contratti collettivi nonché dai codici di comportamento o dalla sottoscrizione del contratto individuale di lavoro.

Prossimamente tali temi verranno analizzati nello specifico con i dovuti approfondimenti.

Intanto per completezza si richiama all’ attenzione dei lettori anche l’art. 2106 , espressamente dedicato alle  Sanzioni disciplinari che recita : “L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo alla applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione 

Questa sintetica introduzione al tema ha tracciato il solco nel quale si svilupperà con successivi passaggi l’analisi di tutti gli aspetti che caratterizzano il procedimento disciplinare soffermandosi soprattutto sui risvolti pratici e gestionali e sulle ultime pronunce giurisprudenziali.

 

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