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Dott. Villiam Zanoni

Le perle dell’INPS: un caso di maternità fuori rapporto

pensioniprevIn assenza di novità sostanziali ed in attesa dei probabili eventi dell’autunno prossimo, abbiamo dedicato la nostra attenzione ad una vicenda recentemente accaduta e che ci è stata segnalata.

Anzi sollecitiamo i lettori a farci pervenire analoghe segnalazioni affinché si possano sollecitare interventi rettificatori da parte dell’INPS.

In caso è il seguente:

-     una lavoratrice ex dipendente del Comune di Parma è cessata dal servizio il 31 agosto del 1999 potendo far valere a quella data 23 anni, 4 mesi e 10 giorni di servizio ed una età di 47 anni (quindi senza aver maturato a quella data alcun diritto a pensione), ed ha inoltrato il 15 ottobre 2015 la domanda per ottenere l’accredito di un periodo di maternità fruita non in costanza di rapporto di lavoro; tale istanza è stata respinta recentemente dalla sede INPS di Parma con la seguente motivazione: “Iscritto cessato alla data della domanda (domanda presentata in assenza di iscrizione venuta meno con la cessazione dal servizio, pertanto non può essere accolta)”.

La fattispecie è regolamentata dall’articolo 25 del D.Lgs. n° 151/2001 che così dispone:

“2. In favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro.”

Tale disposizione fu commentata dall’ex INPDAP con l’Informativa n° 8 del 28 febbraio 2003 nella quale l’istituto, a proposito della domanda da inoltrare da parte delle lavoratrici, inserì la seguente precisazione: “L’istanza, da redigere in carta semplice, deve essere presentata , per espresso dettato dell’art.25 citato, esclusivamente da “soggetti iscritti” e quindi da soggetti in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 151/01 (27 aprile 2001), anteriormente al momento del collocamento a riposo.”

Apparve subito chiaro il diverso criterio interpretativo adottato dall’INPS e dall’ex INPDAP, nel senso che per l’INPS la normativa avrebbe trovato applicazione per tutti i soggetti non già pensionati, a prescindere dal fatto che al momento della domanda la lavoratrice prestasse o meno attività lavorativa, mentre per l’ex INPDAP avrebbe trovato applicazione solo in favore di coloro che alla data della domanda fossero in attività lavorativa.

Di tale problema se ne fece carico anche il legislatore, tant’è che nella legge finanziaria 2008 (n° 244/2007), all’articolo 2, comma 504, con una sorta di interpretazione autentica, chiarì che “Le disposizioni degli articoli 25 e 35 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si applicano agli iscritti in servizio alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli già liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge.”

In conseguenza di ciò l’INPS confermò il proprio orientamento già conforme, mentre l’INPDAP, con la nota operativa n° 3 del 21 gennaio 2008 diede questa lettura: “Il legislatore con il comma in esame ha fornito l’interpretazione autentica dei citati artt. 25 e 35 del Dlgs. n° 151/2001, chiarendo che dette norme si applicano esclusivamente agli iscritti che a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo (27 aprile 2001), abbiano in servizio presentato la relativa domanda. Tale interpretazione conferma peraltro l’operato dell’Istituto (cfr. Informativa n. 8/2003 della Direzione Centrale Entrate)”.

Tutto questo fra l’altro avviene paradossalmente dopo che la vicenda è stata trattata dalla giurisprudenza in seguito alla quale si arrivò al pronunciamento della Corte Conti a Sezioni Riunite con la sentenza n° 7/2006-QM del 17 maggio/14 luglio 2006 che stabilì il seguente principio: “sussiste il diritto al riconoscimento, ai fini pensionistici, dei periodi corrispondenti all'astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, verificatasi al di fuori del rapporto di lavoro, ai sensi dell'articolo 25, comma 2, del Decreto legislativo 26.3.2001, n° 151, in relazione a quanto disposto dagli articoli 16 e 17 dello stesso testo normativo i quali disciplinano diritti e doveri in occasione della maternità in ambito lavorativo, a domanda e con effetti a decorrere dalla stessa, ancorché la stessa sia avanzata non in costanza di attività lavorativa”.

Nonostante l’autorevolezza del pronunciamento l’INPDAP se ne è sempre fregato.

Ma la beffa finale arriva dopo l’estate del 2010, quando con la famigerata manovra estiva (D.L. n° 78/2010 convertito in legge n° 122/2010) venne abrogata la legge n° 322/1958, venne resa onerosa la ricongiunzione ai sensi dell’articolo 1 della legge n° 29/1979 e resa più onerosa quella di cui all’articolo 2.

Ebbene, nell’illustrare detta manovra con la nota operativa n° 56 del 22 dicembre 2010, l’INPDAP per la prima volta si adeguò ai criteri generali dell’INPS introducendo il punto che segue:

“1.1. Prerogative riconosciute ad un soggetto iscritto all'lNPDAP

L'iscritto è un soggetto che può vantare contribuzione accreditata presso questo Istituto che non abbia già dato titolo ad un trattamento di quiescenza anche se non sia più in servizio. Di conseguenza, a partire dal 31 luglio 2010, l'iscritto, come sopra individuato, può presentare a questo Istituto, domanda di ricongiunzione, riscatto, accredito figurativo ecc.., ancorché abbia già risolto il rapporto di lavoro o sia cessato dal servizio.”

Tale apertura fu tra l’altro preceduta da un’altra altrettanto clamorosa contenuta nella circolare n° 18 del 8 ottobre 2010 nella quale si dispose quanto segue:

“L'abrogazione della legge 2 aprile 1958 n° 322, che, attraverso il trasferimento dei contributi, consentiva comunque agli iscritti all'INPDAP di ricevere una prestazione dall'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS, comporta la possibilità per l'Istituto di attribuire il diritto a pensione di anzianità o di vecchiaia, in presenza dei requisiti contributivi minimi prescritti, indipendentemente se l'interessato, al raggiungimento del requisito anagrafico minimo previsto dalla legge, sia ancora in attività di servizio o abbia cessato il rapporto di lavoro.

In virtù di quanto sopra, il diritto ad una pensione deve essere garantito dalla sussistenza di una contribuzione previdenziale nell'ammontare minimo prescritto dalla legge, fermo restando che l'erogazione di tale trattamento, sia esso di vecchiaia che di anzianità, può avvenire solo al compimento del prescritto requisito anagrafico, ancorché non raggiunto in costanza di attività lavorativa.

Alla luce di tutto ciò sembrava quindi che anche l’ex INPDAP, finalmente, fosse diventato un “quasi normale” ente assicuratore chiamato ad erogare dei normali trattamenti pensionistici e non più dei trattamenti di quiescenza, e di conseguenza gestire anche la posizione assicurativa dei singoli iscritti con i criteri generali tipici dell’assicurazione generale obbligatoria.

Ma evidentemente non la pensano così i funzionari dell’INPS di Parma che sono assurdamente rimasti legati alle regole del passato, quasi a voler rimarcare la loro differenza ed estraneità rispetto al contesto nel quale sono stati “forzatamente” collocati dalla riforma Fornero e dallo scioglimento dell’ex INPDAP.

Faccio tutti gli auguri ai dirigenti dell’INPS poiché con dei collaboratori come quelli che hanno emanato il provvedimento citato in premessa dovranno faticare parecchio.

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