Nel caso di specie, il ricorrente contestava innanzi al giudice campano la legittimità della sanzione pecuniaria comminata dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 38, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 163/2006 pari ad euro 23.497,93 “come conseguenza della incompletezza della documentazione di gara, nella fattispecie costituita dall’omessa indicazione dei nominativi e dei titoli abilitativi dei professionisti incaricati della progettazione ai sensi dell’art. 90, comma 7, del D.Lgs. n. 163/2006”.
Come noto, ai sensi del comma 7 dell’articolo 9 del decreto legislativo 163/2006 si prevedeva che “indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell'incarico di cui al comma 6, lo stesso deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell'offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali. Deve inoltre essere indicata, sempre nell'offerta, la persona fisica incaricata dell'integrazione tra le varie prestazioni specialistiche. Il regolamento definisce le modalità per promuovere la presenza anche di giovani professionisti nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione, concorsi di idee. All'atto dell'affidamento dell'incarico deve essere dimostrata la regolarità contributiva del soggetto affidatario”.
Disposizione riportata al comma 5, articolo 24 del nuovo codice degli appalti e delle concessioni di cui al decreto legislativo 50/2016.
L’appaltatore, richiesto di procedere con l’integrazione – previo pagamento della sanzione – ha valutato di non procedere con il riscontro richiesto “accettando” il provvedimento di estromissione da parte della stazione appaltante ritenendo, pertanto, di non essere tenuto al versamento dell’importo richiesto in quanto “la predetta sanzione, (…) potrebbe giustificarsi solo qualora il concorrente intenda avvalersi del beneficio mentre, in caso contrario, l’amministrazione appaltante dovrebbe limitarsi a disporne l’esclusione senza ulteriori oneri economici a carico del partecipante estromesso”.
Il pronunciamento, quindi, si concentra proprio su una delle maggiori problematiche applicative della fattispecie ampliata di soccorso istruttorio che ha visto, da un lato la giurisprudenza (in particolare di primo grado) e lo stesso giudice contabile ritenere che dalla lettera della norma la sanzione dovesse essere comminata a prescindere dalla volontà dell’appaltatore (considerato altresì che condizionare la permanenza nel procedimento di gara alla discrezionalità dell’operatore economico presenta sicuramente degli aspetti discutibili e di non facile presidio).
Dall’altra, la posizione importante sostenuta dall’ANAC con la determinazione n. 1/2015 (e succ. comunicazioni) in cui si è puntualizzato che la sanzione pecuniaria deve essere pagata dal solo appaltatore che abbia deciso di ossequiare le richieste del RUP procedendo con la richiesta integrazione.
L’attento giudice campano, chiamato a decidere, ritiene maggiormente persuasiva la posizione espressa dall’ANAC anche alla luce del (più chiaro) dettato del comma 9, articolo 83 del nuovo codice degli appalti che - proprio nella fase della redazione finale – prevede l’inciso secondo cui “la sanzione è dovuta esclusivamente in caso di regolarizzazione”.
Ha sicuro pregio l’argomentazione sviluppata nella sentenza soprattutto alla luce dell’attenta ricostruzione della delicata problematica applicativa che ha afflitto la fattispecie del soccorso istruttorio integrativo fin dalla sua apparizione.
Il giudice annota che la nuova fattispecie ampliata del soccorso integrativo a pagamento “si affianca al c.d. soccorso istruttorio ordinario “gratuito” previsto dall’art. 46, primo comma, del D.Lgs. n. 163/2006 che presenta un ambito di operatività maggiore, potendo esplicarsi per tutte le ipotesi previste dagli artt. 38 a 45, sempre inerenti la fase di ammissione, il quale consente ai concorrenti di completare e fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati e si applica solo alle ipotesi lievi, avendo il legislatore mantenuto esplicitamente al comma 1 bis la previsione di esclusione in caso di carenza di elementi essenziali”.
La ratio dell’innesto realizzato con il decreto legislativo 90/2014 come convertito con la legge 114/2014 8 art. 39) è quella di dequalificare (dequotare) la rilevanza delle irregolarità dichiarative, “da fattori escludenti a carenze regolarizzabili o sanzionabili in via pecuniaria, soluzione questa che punta ad appurare il più possibile l’effettiva titolarità dei requisiti richiesti, senza vanificare o stravolgere l’esito della gara in ragione di mere carenze formali (T.A.R. Valle d’Aosta, n. 25/2015)”.
Non solo, le stesse “modifiche determinate dal comma 2-bis dell’articolo 38 del decreto legislativo 163/2006, secondo il giudice adito “risultano, (…), finalizzate a superare le incertezze interpretative e applicative del combinato disposto degli artt. 38 e 46 del D.Lgs. n. 163/2006, mediante la procedimentalizzazione del potere di soccorso istruttorio (che diventa doveroso per ogni ipotesi di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive) e la configurazione dell’esclusione dalla procedura come sanzione derivante unicamente dall’omessa produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla stazione appaltante e non più da carenze originarie (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 16/2014; Sez. VI, n. 5890/2014)”.
E’ bene da subito evidenziare che questa forte determinazione nel dequotare i vizi formali a mere irregolarità sanabili (pur con il pagamento di una sanzione – almeno le irregolarità essenziali -) è stata ribadita anche con il nuovo decreto legislativo 50/2016 in cui, il soccorso integrativo diventa – come previsto dal comma 9, articolo 83, - la fattispecie generale considerato, come annotato dal Consiglio di Stato nel parere 855/2016 che il legislatore non ha riprodotto la norma di cui all’articolo 46 del pregresso codice.
Quindi, alla luce del nuovo codice, la distinzione insiste solamente tra irregolarità veniali – che non esigono neppure il pagamento della sanzione - ed irregolarità essenziali sanabili (che impongono la sanzione e la correlata dimostrazione che il pagamento sia avvenuto) e le ipotesi estromissive che non consentono alcuna regolarizzazione neppure “a pagamento”.
Il RUP, evidentemente, si deve districare nell’ambito di questo (meno) articolato microsistema che implica una previa conoscenza (e presidio) già a priori ovvero all’atto della redazione della legge speciale di gara.
Non si ritenga superfluo evidenziare che la prerogativa dell’esclusione dal procedimento di gara – soprattutto in presenza di irregolarità formali che riguardano, in special modo, la dichiarazione sui requisiti – si pone come autentica estrema ratio ovvero in subordine rispetto all’ovvia e dovuta richiesta di chiarimenti e/o integrazioni (a pagamento).
Il giudice sintetizza il procedimento di cui al comma 2-bis del pregresso articolo 38 su cui il legislatore del nuovo codice ha sostanzialmente modellato il comma 9 dell’articolo 83 del nuovo codice.
A tal riguardo, in sentenza si legge che il “comma 2-bis del citato art. 38 prevede un procedimento che si articola nell’applicazione della sanzione pecuniaria stabilita nel bando di gara, nell’assegnazione di un termine non superiore a 10 giorni da parte della stazione appaltante affinché il concorrente provveda a regolarizzare e completare la documentazione e, solo in caso di inutile decorso di tale termine (al quale la giurisprudenza riconosce natura perentoria: cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1803/2016) nella successiva adozione del provvedimento di esclusione. A tale disciplina fanno eccezione le ipotesi di irregolarità non essenziali e quelle di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, per le quali si prevede che la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione e non applica alcuna sanzione pecuniaria”.
La riforma del 2014, spiega – con rara sintesi ed efficacia – il giudice campano “ha quindi introdotto una vera e propria procedimentalizzazione del potere (dovere) di soccorso in un’ottica collaborativa tra soggetto pubblico e privato che “dialogano” al fine di evitare esclusioni legate a mere irregolarità formali o incompletezze documentali”
La decisione
Nel giungere alla decisione, il giudice rammenta quali siano le attuali posizioni giurisprudenziali dalle quali – con ampio e condivisibile ragionamento – decide di discostarsi fornendo preziose indicazioni al RUP.
In particolare, in sentenza si legge che “il Collegio non ignora l’orientamento della giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Palermo, n. 1043/2016; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, n. 66/2016; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, n. 784/2015) secondo cui la sanzione di cui all’art. 38, comma 2-bis, deve essere comminata in ogni caso di incompletezza e irregolarità di elementi essenziali, sia che il concorrente che vi sia incorso decida di avvalersi del soccorso istruttorio, integrando o regolarizzando la dichiarazione resa, sia nell’ipotesi in cui questi, non usufruendo del soccorso istruttorio, manifesti il proprio disinteresse alla prosecuzione della gara e, quindi, venga escluso dalla procedura”.
Le argomentazioni, alla base del ragionamento di questa giurisprudenza, sono riconducibili a due momenti specifici:
- In primo luogo, dalla formulazione letterale emergerebbe chiaramente che l’essenzialità dell’irregolarità determina in sé per sé l’obbligo del concorrente di pagare la sanzione pecuniaria prevista dal bando, a prescindere dalla circostanza che questi aderisca o meno all’invito, che la stazione appaltante deve necessariamente fargli, di sanare detta irregolarità. Solamente quando l’irregolarità non è essenziale, il concorrente non sarebbe tenuto al pagamento della sanzione pecuniaria né la stazione appaltante al soccorso istruttorio. L’esclusione, invece, è una conseguenza sanzionatoria diversa e in parte autonoma da quella pecuniaria, nel senso che il concorrente vi incorrerà solamente in caso di mancata ottemperanza all’invito alla regolarizzazione da parte della stazione appaltante.
- In secondo luogo, tale soluzione interpretativa garantirebbe la serietà delle domande di partecipazione e delle offerte presentate dai partecipanti, favorirebbe la responsabilizzazione delle imprese partecipanti nel confezionamento della documentazione di gara e, quindi, in ultima analisi contribuirebbe a garantire la celere e sicura verifica del possesso dei requisiti di partecipazione, in un’ottica di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa, a cui devono concorrere anche gli operatori economici in ossequio ai principi di leale cooperazione, di correttezza e di buona fede.
La Sezione non condivide tale orientamento.
Secondo il giudice adito, l’interpretazione della ricorrente – che si è dichiarata non tenuta al pagamento della sanzione in quanto non intendeva integrare la domanda di partecipazione – appare maggiormente conforme allo spirito della fattispecie ampliata di soccorso istruttorio anche “in omaggio al principio del favor partecipationis, di regolarizzare e completare le dichiarazioni rese e la documentazione prodotta senza incorrere nella sanzione espulsiva ma potendo al contrario confidare nel beneficio del soccorso istruttorio previo pagamento della sanzione pecuniaria”.
In tale prospettiva, secondo quanto si legge nella sentenza - la sanzione si porrebbe come “misura di “fiscalizzazione” dell’irregolarità o dell’incompletezza documentale” costituendo una sorta di “contropartita da corrispondere alla stazione appaltante per l’aggravamento del procedimento di verifica della regolarità e completezza della documentazione amministrativa: è evidente che tale aggravamento consegue solo all’attivazione e alla effettiva fruizione da parte del concorrente medesimo del soccorso istruttorio mentre, qualora il partecipante non intenda avvalersi del beneficio, la selezione concorsuale procederà più spedita”.
In quest’ottica, quindi, nel quadro delle misure di accelerazione delle procedure di evidenza pubblica, attraverso la sanzione pecuniaria di cui all’art. 38, comma 2-bis, il concorrente che presenta una documentazione incompleta sarebbe tenuto a pagare – secondo un criterio prestabilito ed in base a una percentuale rapportata al valore dell’appalto – il ritardo cagionato all’amministrazione nel disimpegno dell’ulteriore attività procedimentale (soccorso istruttorio) alla quale egli stesso ha dato corso.
Il lavoro istruttorio esigerebbe una sorta di rivalsa pecuniaria da parte di chi, con il proprio comportamento poco avveduto, lo abbia cagionato.
Distinta invece appare l’ipotesi in cui versa l’impresa “che non intenda beneficiare del soccorso istruttorio: essa semplicemente accetta e, quindi, presta acquiescenza alla estromissione che sarà disposta dalla stazione appaltante, non costringe l’amministrazione ad aprire una ulteriore fase di verifica della regolarità della documentazione, non determina alcun ritardo nell’espletamento della gara poiché consente all’amministrazione di procedere celermente con le operazioni concorsuali, in ultima analisi non lede l’interesse pubblico alla rapida definizione della selezione. In caso di mancata fruizione del beneficio del soccorso istruttorio, quindi, viene meno la ratio sottesa all’applicazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 2-bis e, pertanto, la stessa non è dovuta”.
Se questa non fosse l’interpretazione corretta – sempre secondo il ragionamento espresso da questo giudice – la norma non si porrebbe come beneficio per favorire la partecipazione alle gare d’appalto ma come disincentivo alla partecipazione perché le imprese verrebbero esposte da un ulteriore pagamento come mera conseguenze “ dell’incompletezza o della irregolarità documentale e a prescindere dalla loro intenzione di avvalersi del soccorso istruttorio, in più sarebbe incentivata una “caccia all’errore” da parte delle amministrazioni appaltanti che va certamente nel senso opposto a quanto auspicato dal legislatore”.
Non solo – e questa riflessione appare oggettivamente (anche) nuova, qualora gli appaltatori si vedessero costretti “a versare in ogni caso la sanzione di cui al comma 2-bis come effetto della mera incompletezza o irregolarità formale della documentazione, (…) potrebbero ritenere maggiormente conveniente, anche in chiave strategica, la scelta di avvalersi sempre e in ogni caso del soccorso istruttorio con conseguente sistematica apertura di fasi istruttorie supplementari e vanificazione delle esigenze di semplificazione e celerità delle procedure di evidenza pubblica”.
Il ragionamento, oggettivamente, appare sostenibile ma è chiaro – a sommesso parere – che questa possibilità di auotoescludersi dal procedimento di gara dovrebbe trovare adeguati controbilanciamenti in grado assicurare la serietà della partecipazione evitando potenziali estromissioni in grado di condizionare la regolarità del procedimento.
I predetti ragionamenti, quindi, potrebbero essere accettati se la decisione di “autoescludersi” non integrando e/o non ossequiando la richiesta del RUP fosse controbilanciata – come oramai appare orientata la giurisprudenza – con l’escussione della cauzione provvisoria.
In ogni caso, prosegue il giudice, risulta – con l’interpretazione predetta – adeguatamente tutelata anche “l’esigenza di responsabilizzare i partecipanti nella predisposizione della documentazione occorrente per la partecipazione alla gara poiché, attraverso il nuovo istituto, essi sono previamente resi edotti del maggior onere economico che saranno tenuti a corrispondere qualora non osservino le prescrizioni poste dalla lex specialis e dalla normativa di settore e, ciononostante, intendano usufruire del soccorso istruttorio per coltivare le proprie chance di aggiudicazione. Tuttavia, tale forma di responsabilizzazione non può tramutarsi in una misura vessatoria ed afflittiva per le imprese, quale si avrebbe in caso di comminazione della sanzione pecuniaria sganciata dall’effettiva volontà del concorrente di usufruire del beneficio”.
E comunque, “una efficace forma di responsabilizzazione delle imprese è costituita dai costi di partecipazione alla gara che resterebbero a carico delle stesse in caso di incompletezza o irregolarità della documentazione, rifiuto del soccorso istruttorio e conseguente esclusione dalla gara”.
L’opzione ermeneutica più rigorosa rischia invece di esporre le stazioni appaltanti a maggiori contenziosi che potrebbero essere attivati proprio da quelle imprese che, come è accaduto nella causa in esame, pur non avendo un concreto interesse ad usufruire del soccorso istruttorio, non avrebbero altro modo per opporsi all’applicazione della sanzione di cui al comma 2-bis.
Inoltre l’interpretazione meno vessatoria risulta conforme con quella espressa dall’ANAC con la determinazione sopra citata in cui si è chiarito che ““la sanzione individuata negli atti di gara sarà comminata nel caso in cui il concorrente intenda avvalersi del nuovo soccorso istruttorio; essa è correlata alla sanatoria di tutte le irregolarità riscontrate e deve pertanto essere considerata in maniera onnicomprensiva. (…) In caso di mancata regolarizzazione degli elementi essenziali carenti, invece, la stazione appaltante procederà all’esclusione del concorrente dalla gara. Per tale ipotesi la stazione appaltante dovrà espressamente prevedere nel bando che si proceda, altresì, all’incameramento della cauzione esclusivamente nell’ipotesi in cui la mancata integrazione dipenda da una carenza del requisito dichiarato. All’incameramento, in ogni caso, non si dovrà procedere per il caso in cui il concorrente decida semplicemente di non avvalersi del soccorso istruttorio”.
Infine, conclude il giudice, è importante rilevare che l’ermeneutica sostenuta dall’ANAC e condivisa dalla Sezione è stata, da ultimo, espressamente recepita nel nuovo Codice degli Appalti Pubblici approvato con D.Lgs. n. 50/2016 (“Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”).
In questo senso, come anticipato, il nuovo art. 83 (rubricato “criteri di selezione e soccorso istruttorio”) prevede infatti una disciplina che ricalca quella regolamentata dal previgente art. 38, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 163/2006 e che si articola nell’applicazione – in caso di mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all’articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all’offerta tecnica ed economica – di una sanzione pecuniaria in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 5.000 euro (quindi, con sensibile riduzione del limite edittale massimo rispetto a quanto previsto dal D.L. n. 90/2014) e nell’assegnazione al concorrente di un termine non superiore a 10 giorni per procedere alla regolarizzazione che, qualora decorso invano, comporta l’esclusione dalla gara.
Nel caso di specie, la norma precisa come la sanzione sia “dovuta esclusivamente in caso di regolarizzazione”, con ciò intendendosi escludere l’applicazione qualora il concorrente non intenda avvalersi del beneficio del soccorso istruttorio integrativo.
Pur, evidentemente, non applicabile alla controversia in esame, “essa offre rilevanti spunti di riflessione in quanto è ragionevole ritenere che il legislatore del 2016 abbia inteso positivizzare un principio già contenuto, seppur non esplicitato, nell’art. 38 comma 2-bis del D.Lgs. n. 163/2006”.
Per effetto di quanto, il provvedimento che ha comminato la sanzione è stato ritenuto illegittimo dal giudice.