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Dott. Stefano Usai

Ulteriori ipotesi di risoluzione del contratto,  il recesso   e le procedure di affidamento   in caso di fallimento dell'esecutore o di risoluzione del contratto e misure straordinarie di gestione (seconda parte)

llppCon la prima parte dei contributi si è avviata l’analisi delle ipotesi di sospensione e di alcuni casi di risoluzione del contratto alla luce del nuovo codice degli appalti. In questa, conclusiva, si esaminano le ulteriori ipotesi risoluzione, il recesso e le procedure di affidamento al verificarsi di situazioni particolari dell’affidatario. Il comma 2 dell’articolo 108,  prevede la risoluzione  dal contratto nei casi di decadenza dall’attestazione SOA e di condanne penali definitive sopravenute nel corso dell’esecuzione del contratto.

 

Il comma 2 lett. b), nella formulazione originaria ([1])  ha dato  luogo a rilievi da parte del Consiglio di Stato – nel parere 855/2016 -  in quanto, pur ricalcando senza modifiche e adattamenti l’art. 135 d.lgs. n. 163/2006 la pregressa formulazione risultava  coerente con l’art. 38 codice, che indicava i reati causa di esclusione dalla gara in modo generico, facendo riferimento a tutti i reati incidenti sulla moralità professionale. Sicché, l’art. 38 disegnava un cerchio concentrico più grande, dentro cui l’art. 135 individuava un nocciolo duro di reati più gravi, che determinavano la risoluzione del contratto se sopravvenuti in corso di rapporto.

Secondo il Consiglio di Stato,  “l’art. 80 elenca i titoli di reato che ostano alla partecipazione alle gare (e non più un genus complessivo avuto riguardo all’incidenza sulla moralità professionale)”, e l’effetto che si determina è che non vi sarebbe  più alcuna coincidenza, né inclusione, tra art. 80 e art. 108.

Secondo il collegio, per effetto della trasposizione del vecchio art. 135 nel nuovo art. 108 senza una opera di coordinamento, veniva meno la  coincidenza tra le condanne penali menzionate nel comma 1 dell’art. 80 “che determinano esclusione dalle gare, e le condanne penali sopravenute in corso di esecuzione dell’appalto che determinano risoluzione obbligatoria, ai sensi dell’art. 108, comma 2, lett. a), dove sono (nda venivano) menzionati alcuni reati non previsti nell’art. 80, comma 1”.

Per effetto di quanto, nel parere si suggeriva  o di  “integrare l’art. 80, (…), aggiungendo come causa di esclusione le condanne per altri reati incidenti sulla moralità professionale, e in tal caso l’art. 108, comma 2, lett. b), può restare invariato; ovvero, più semplicemente, riformulare l’art. 108, comma 2, lett. b), facendo riferimento alle condanne definitive, sopravvenute in corso di contratto, per i reati che ai sensi dell’art. 80 sono causa di esclusione dalla gara”.

I rilievi del Consiglio di Stato sono stati accolti  relativamente alla seconda opzione predetta (così come la direttiva espressa in sede di parere delle commissione delle Camere).

In questo senso, il comma  2 prevede (come già l’articolo 135 del pregresso codice) che le stazioni appaltanti devono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di efficacia dello stesso qualora:

a) nei confronti dell'appaltatore sia intervenuta la decadenza dell'attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci;

b) nei confronti dell'appaltatore sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione, ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per i reati di cui all'articolo 80. E, quindi, con il coordinamento con la norma cardine in tema di requisiti del nuovo codice. 

La risoluzione per grave inadempimento

Il comma 3 riprende, come detto, le norme del pregresso articolo 135 del codice precisando – rispettivamente a seconda che si tratti di lavori o forniture/servizi  -  che quando il direttore dei lavori o il responsabile dell'esecuzione del contratto, se nominato, accerti un grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte dell'appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni, invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori (ma,evidentemente, anche le stime relative a forniture/servizi)  eseguiti regolarmente, il cui importo può essere riconosciuto all'appaltatore.

Il direttore dei lavori/responsabile dell’esecuzione formula anche la contestazione degli addebiti all'appaltatore, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie controdeduzioni al RUP (il pregresso comma 2 dell’articolo 136 prevedeva che le contestazioni venissero formulate “su indicazione del responsabile del procedimento”).

Una volta acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l'appaltatore abbia fornito risposta, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dichiara risolto il contratto.

L’ultimo inciso – come già il comma 3 dell’articolo 136 del pregresso codice – ribadisce la questione della competenza riaffermando, fermo restando che la risoluzione (così come la sospensione e/o il recesso) è atto gestionale, che il RUP (salvo che non coincida con il dirigente/responsabile del servizio) ha una funzione istruttoria e propositiva e non può adottare provvedimenti definitivi.

Rientrando questi ultimi, come nel caso in esame, nella competenza del soggetto che  ha il potere gestionale.  

Questa tradizionale distinzione tra compiti gestionali e compiti propositivi viene riaffermata anche nella line guida definitiva dell’ANAC sul RUP – pubblicata il 28 giugno – in cui, come già per il responsabile unico dei lavori, anche per il RUP dei servizi e delle forniture (ed ora anche per le concessioni)  si legge come il project manager  “svolge, in coordinamento con il direttore dell’esecuzione ove nominato, le attività di controllo e vigilanza nella fase di esecuzione, acquisendo e fornendo all’organo competente dell’amministrazione aggiudicatrice, per gli atti di competenza, dati, informazioni ed elementi utili anche ai fini dell’applicazione delle penali, della risoluzione contrattuale e del ricorso agli strumenti di risoluzione delle controversie, secondo quanto stabilito dal codice, nonché ai fini dello svolgimento delle attività di verifica della conformità delle prestazioni eseguite con riferimento alle prescrizioni contrattuali.”  

Il RUP è tenuto a comunicare il provvedimento e, non a caso – come già il primo comma dell’articolo 138 del pregresso codice - il comma 6 prevede che costui “nel comunicare (nda e non adottare) all'appaltatore la determinazione di risoluzione del contratto, dispone, con preavviso di venti giorni, che il direttore dei lavori curi la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti, l'inventario di materiali, macchine e mezzi d'opera e la relativa presa in consegna”.

Il comma 4 – che riproduce quasi integralmente i commi  dal 4 al 6 dell’articolo 136 predetto – puntualizzando  che in  casi diversi  da quanto  già previsto, se l'esecuzione delle prestazioni avvenga con ritardo per negligenza dell'appaltatore rispetto a quanto declinato nel  contratto, il direttore dei lavori o il responsabile unico dell'esecuzione del contratto, se nominato,  gli assegna un termine, che, salvo i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, entro i quali l'appaltatore deve eseguire le prestazioni.

Scaduto il termine assegnato, e redatto processo verbale in contraddittorio con l'appaltatore, qualora l'inadempimento permanga, la stazione appaltante (l’organo competente che coincide con il dirigente/responsabile del servizio) risolve il contratto, fermo restando il pagamento delle penali.

Circa l’ultimo inciso, non si ritenga superfluo rilevare che il comma 6 del pregresso articolo 136 prevedeva – in modo abbastanza macchinoso e ambiguo – che “sulla base del processo verbale, qualora l'inadempimento permanga, la stazione appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, delibera (?) la risoluzione del contratto”.

Vale, naturalmente, quanto già evidenziato sopra circa la precisazione che la risoluzione del contratto è chiaramente atto gestionale che esige l’intervento del dirigente/responsabile del servizio.

Il comma 5 dell’articolo in commento – come già il comma 2 dell’articolo 135 del pregresso codice – rammenta che in  caso di risoluzione del contratto l'appaltatore può ottenere  soltanto il pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti, decurtato gli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.

Qualora sia stato nominato, l'organo di collaudo – comma 7 -  procede a redigere, acquisito lo stato di consistenza, un verbale di accertamento tecnico e contabile con le modalità di cui al presente codice. Con il verbale viene accertata la corrispondenza tra quanto eseguito fino alla risoluzione del contratto ed ammesso in contabilità e quanto previsto nel progetto approvato nonché nelle eventuali perizie di variante.

E’ altresì accertata la presenza di eventuali opere, riportate nello stato di consistenza, ma non previste nel progetto approvato nonché nelle eventuali perizie di variante (già comma 2 dell’articolo 138 del pregresso codice).

In sede di liquidazione finale dei lavori, servizi o forniture riferita all'appalto risolto – ai sensi del comma 8 dell’articolo in commento - , l'onere da porre a carico dell'appaltatore è determinato anche in relazione alla maggiore spesa sostenuta per affidare ad altra impresa i lavori ove la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà prevista dall'articolo 110, comma 1, (come già previsto dal comma 3 dell’articolo 138 pregresso) di cui si dirà più avanti.

Doveri dell’appaltatore in caso di risoluzione

Il comma 9 riproduce l’articolo 139 del pregresso codice spiegando che nel caso di risoluzione del contratto l'appaltatore  è tenuto a provvedere:

  1. al ripiegamento dei cantieri già allestiti
  2. allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze nel termine a tale fine assegnato dalla stessa stazione appaltante;

In ogni caso di mancato rispetto del termine assegnato, la stazione appaltante potrà procedere d'ufficio addebitando all'appaltatore i relativi oneri e spese.

Inoltre, la stazione appaltante, in alternativa all'esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d'urgenza comunque denominati che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, può depositare cauzione in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all'articolo 93 ([2]), pari all'uno per cento del valore del contratto.

Resta fermo il diritto dell'appaltatore di agire per ottenere il risarcimento dei danni.

Da notare che la norma fa riferimento – a differenza del pregresso regime – alla cauzione provvisoria e non a quella definitiva.

Il recesso

L’art. 109 detta la disciplina del recesso, in precedenza recata dall’art. 134 del pregresso codice degli  appalti, che non viene innovata in alcun modo, salvi i riferimenti ai contratti di servizi e di forniture.

Si legge nel parere del Consiglio di Stato (n. 855/2016) che la “disposizione non trova riscontri nelle direttive europee di riferimento né in uno specifico criterio direttivo, ma può ritenersi conforme al criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) della legge delega, relativo alla necessità di riordinare complessivamente la materia degli appalti pubblici”.

Ai sensi del criterio predetto il Governo veniva invitato  all’ adozione di un “unico testo normativo con contenuti di disciplina adeguata anche per gli appalti di lavori, servizi e forniture denominato «codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione », recante le disposizioni legislative in materia di procedure di affidamento di gestione e di esecuzione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione disciplinate dalle tre direttive, che sostituisce il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, garantendo in ogni caso l’effettivo coordinamento e l’ordinata transizione tra la previgente e la nuova disciplina, anche in riferimento, tra l’altro, al coordinamento con le disposizioni in materia di protezione e tutela ambientale e paesaggistica, di valutazione degli impatti ambientali, di tutela e valorizzazione dei beni culturali e di trasparenza e anticorruzione, al fine di evitare incertezze interpretative ed applicative, nel rispetto dei princìpi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.

Nella relazione tecnica si aggiunge che la fattispecie di cui all’articolo 109 (recesso) contiene la disciplina dell’istituto (appunto il recesso) contemplato dalla normativa sui contratti pubblici a partire dall' art. 345 , L. 20 marzo 1865, n. 2248 (Legge sui lavori pubblici All. F).

In particolare, la norma  prevede (primo e secondo comma)  che fermo restando quanto previsto dagli art. 88 (comma 4ter e 92 (comma 4) del decreto legislativo 159/2011,  la stazione appaltante ha  il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non eseguite calcolato sulla differenza tra l'importo dei 4/5 del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta, e l'ammontare netto dei lavori eseguiti.

L'esercizio del diritto di recesso – terzo comma – deve essere  preceduto da una formale comunicazione all'appaltatore che, con un preavviso non inferiore a venti giorni,  preveda che  stazione appaltante prende in consegna i lavori ed effettui il collaudo definitivo e/o  verifichi la regolarità dei servizi e delle forniture.

I materiali – ai sensi del quarto comma -  , il cui valore è riconosciuto dalla stazione appaltante sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei lavori o del direttore dell'esecuzione del contratto, se nominato, o del RUP in sua assenza, prima della comunicazione del preavviso

La stazione appaltante può trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In questo caso, l’amministrazione è tenuta a  corrispondere – come dispone il quinto comma dell’articolo 109 -  all'appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto.

Nella norma di chiusura, il sesto comma, si prevede che l'appaltatore rimuova dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori mettendo  i magazzini e i cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito. In difetto,  lo sgombero è effettuato d'ufficio e a sue spese.

Le procedure di affidamento in caso di fallimento dell'esecutore o di risoluzione del contratto e misure straordinarie di gestione

L’art. 110 (Procedure di affidamento in caso di fallimento dell'esecutore o di risoluzione del contratto e misure straordinarie di gestione), nei commi 1 e 2 ripropone il meccanismo di affidamento già previsto dall’art. 140 d.lgs. n. 163/2006.

In questo senso, il primo comma ribadisce che “le stazioni appaltanti

-          in caso di fallimento,

-          di liquidazione coatta e concordato preventivo,

-          ovvero di procedura di insolvenza concorsuale

-          di liquidazione dell'appaltatore,

-          di risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 108 

-          di recesso dal contratto ai sensi dell' art. 88 comma 4ter ( [3]) del decreto legislativo 159/2011

-          in caso di dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto,

possano procedere con l’interpello  progressivo dei soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l'affidamento del completamento dei lavori.

L'affidamento – secondo comma dell’articolo 110  – non può che avvenire  alle stesse  condizioni declinate dal pregresso affidatario nel contratto d’appalto (“proposte dall'originario aggiudicatario in sede in offerta”).

In tema, sia pure sotto la vigenza – evidentemente -, del pregresso codice con la recente del Consiglio di Stato sez. III, del  13 gennaio 2016 n. 76  si è chiarita, in primo luogo, che la possibilità di interpellare, nei casi esplicitati dalla norma i soggetti che seguono in graduatoria costituisce una mera facoltà e non un obbligo per il RUP della stazione appaltante.   

In particolare, nella citata si è evidenziato che l’Adunanza Plenaria (con la decisione 20 luglio 2015, n.8)  ha ribadito il consolidato indirizzo (da cui  non si ravvisano ragioni per discostarsi) secondo cui i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all'aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, “nonché per tutto il periodo dell'esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità. (..)  Né vale (…)  obiettare che, nell’ipotesi di affidamento in esito allo scorrimento della graduatoria ai sensi dell’art.140 d.lgs. cit., il predetto principio dev’esser applicato avendo riguardo alla sola fase successiva all’interpello, e non anche a quella che precede (e in esito alla quale è stata compilata la graduatoria)”.

Secondo il collegio, “la fase procedimentale disciplinata dall’art.140 d.lgs. cit., infatti, si configura come un segmento di un’unica procedura di affidamento, avviata con la pubblicazione del bando, con la conseguenza, per quanto qui rileva, che i requisiti di partecipazione, attesa l’unicità e l’inscindibilità del procedimento selettivo, devono essere ininterrottamente posseduti dal suo avvio (e, cioè, dalla pubblicazione dell’avviso pubblico) fino alla sua conclusione (e, cioè, alla data dell’affidamento dell’appalto in esito all’interpello)”.

Si legge ancora nella sentenza che “la disposizione in esame (nda art. 140 del pregresso codice)  consente alla stazione appaltante, in presenza degli eventi ivi tassativamente dettagliati (che impediscono all’impresa inizialmente aggiudicataria la realizzazione delle opere oggetto dell’appalto), di interpellare progressivamente le imprese che, nella graduatoria, seguono quella appaltatrice al fine di affidare a quella disponibile il completamento dei lavori “alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta”.

Pertanto, per un verso, l’interpello viene indirizzato alle imprese che seguono, nell’ordine, l’originaria aggiudicataria e, dunque, sulla base della graduatoria che si è cristallizzata in esito alla fase della gara intesa in senso stretto e, per un altro, il contratto dev’essere stipulato alle stesse condizioni contenute in quello inizialmente concluso (e poi risolto).
Si tratta, quindi, di un’attività amministrativa vincolata dalla legge in un duplice senso: soggettivo ed oggettivo (Cons. St., sez. VI, 14 novembre 2012, n.5747).

Se la stazione appaltante, “decide di esercitare la facoltà riconosciutale dall’art.140 d.lgs. cit., resta tenuta ad indirizzare la proposta alle (sole) imprese che seguono quella appaltatrice nella graduatoria che si è consolidata in esito alla gara già svolta, mentre, sotto il secondo profilo, le condizioni del nuovo contratto devono coincidere con quelle “già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta”

Il comma 3 della norma in commento è stato modificato su intervento del Consiglio di Stato  che nel parere 855/2016 puntualizzava come il comma – nella redazione dello schema – contenesse  “due difformità rispetto a prescrizioni puntuali della delega:

1) consente all’impresa ammessa al concordato con cessione di beni, di partecipare alle gare di appalto, laddove la delega, lett. vv) punti nn. 4 e 5), consentono, in tale ipotesi di concordato, solo la possibilità di proseguire nei contratti già stipulati;

5) per converso, non consente all’impresa ammessa a concordato in bianco di proseguire nei contratti già stipulati, come invece prevede il punto 5) della lett. vv) della legge delega”.

Nella redazione definitiva la puntualizzazione è stata accolta dal Governo, pertanto, l’attuale testo precisa che “il curatore del fallimento, autorizzato all'esercizio provvisorio, ovvero l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC, possono: 

a) partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatario di subappalto;

b) eseguire i contratti già stipulati dall'impresa fallita o ammessa al concordato con continuità aziendale.

L’inciso relativo al concordato è stato inserito in fase di definizione della norma (il codice è stato definitivamente approvato il 16 aprile).

Allo stesso modo, il comma 4 è stato completato con la previsione (già prevista nello schema approvato il 3 marzo) secondo cui “l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale non necessita di avvalimento di requisiti di altro soggetto” e con l’aggiunta in fase di redazione definitiva per cui “l'impresa ammessa al concordato con cessione di beni o che ha presentato domanda di concordato a norma dell'articolo 161, sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, può eseguire i contratti già stipulati, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC” (di cui, l’ultima parte,  il Consiglio di Stato richiedeva una declinazione in un comma 3-bis).

E’ stata  introdotta, inoltre,  una rilevante novità rispetto alla normativa vigente, in quanto, - il comma 5 -  prevede,  in attuazione di quanto previsto dalla legge delega, che il curatore del fallimento, autorizzato all’esercizio provvisorio, compresa l’impresa ammessa al concordato con continuità aziendale o con cessione di beni, su autorizzazione dell’ANAC sentito il giudice delegato,si avvalgano di un altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica, nonché di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, che si impegni nei confronti dell'impresa concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa nel corso della gara, ovvero dopo la stipulazione del contratto, non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto o alla concessione, nei seguenti casi:

a) se l'impresa non è in regola con i pagamenti delle retribuzioni dei dipendenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali;

b) se l'impresa non è in possesso dei requisiti aggiuntivi che l'ANAC individua con apposite linee guida”.

Il comma 6° , infine,   tiene ferme le “disposizioni previste dall'articolo 32 (Misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell'ambito della prevenzione della corruzione)” della legge 114/2014.


[1]  Alla lettera b), comma 2, dell’articolo 108 la norma dello schema del decreto legislativo stabiliva la risoluzione del contratto “nei confronti dell'appaltatore sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione  di  una  o  più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione, ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per i delitti previsti dall'articolo 51,  commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, dagli articoli  314,  primo comma, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter,  319-quater e 320 del codice penale, nonché per reati di usura, riciclaggio  e anche di frode nei riguardi della stazione appaltante, di  subappaltatori,  di fornitori, di lavoratori o di altri soggetti comunque interessati  all’esecuzione del contratto, nonché per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sui luoghi di lavoro”.

[2] L’articolo 93 del nuovo codice (sostitutivo, con innovazioni,  dell’articolo 75) dispone in tema di garanzie di partecipazione alla procedura (cauzione provvisoria).

[3] AI sensi del comma 4-ter citato del decreto legislativo 159/2011 “la revoca e il recesso (…)  si applicano anche quando la sussistenza delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 è accertata successivamente alla stipula del contratto, alla concessione di lavori o all'autorizzazione al subcontratto”.

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