Avremo modo successivamente di valutare la congruità di tali interventi e di dare o meno ragione a quanti sostengono che l’intervento sui pensionati e sui pensionandi sia eccessivo rispetto alle politiche per lo sviluppo e l’occupazione, sta di fatto però che le novità sono diverse e importanti.
Gli interventi più significativi per i pensionandi in grado di coinvolgere anche i pubblici dipendenti sono sicuramente 4:
- l’anticipo pensionistico (A.Pe.), in particolare nelle due versioni “volontaria” e “social”;
- l’eliminazione delle penalizzazioni sulle pensioni anticipate;
- il cumulo dei periodi assicurativi;
- i lavoratori precoci.
Il primo intervento, quello dell’A.Pe., è al momento una vicenda non del tutto definita, se non nei parametri generali, poiché le variabili più importanti, che sono il tasso di interesse per la restituzione del prestito e il costo del prodotto assicurativo che deve essere obbligatoriamente associato al prestito, dovranno essere definiti successivamente alla approvazione della legge mediante opportuni decreti e convenzioni, tant’è che il decollo dell’A.Pe. è previsto a partire dal 1° maggio 2017.
Quindi su questo argomento avremo tempo e modo di fare gli opportuni approfondimenti a bocce ferme.
Il secondo intervento è quello meno problematico, anche perché la sua reale efficacia la vedremo a partire dal 2018.
Come si ricorderà, infatti, già per le pensioni liquidate a partire dal 1° gennaio 2015, la legge di stabilità di quell’anno, a fronte delle oggettive difficoltà applicative, “sospese” l’efficacia delle decurtazioni applicabili alle pensioni anticipate prima del compimento del 62° anno di età, ma tale sospensione sarebbe stata applicabile solo per le prestazioni i cui requisiti fossero maturati entro il 31.12.2017.
Dal 2018 la penalizzazione avrebbe trovato totale applicazione senza alcuna deroga, ma con la legge di bilancio per il 2017 viene definitivamente soppressa.
Va precisato che tale soppressione, da diversi organi di stampa collocata all’interno dei provvedimenti riservati ai lavoratori precoci, ha al contrario una sua vita autonoma, anche se in effetti diversi soggetti che accedono a pensione anticipata prima dei 62 anni di età sono anche contestualmente lavoratori precoci, ma le due cose, ripeto, non sono interdipendenti.
Il terzo intervento è relativo al cumulo dei periodi assicurativi che qualcuno ha altrimenti definito “ricongiunzione gratuita”.
Ovviamente non si tratta di una ricongiunzione vera e propria, nel senso che sia la legge n° 29/1979, sia la legge n° 45/1990, rimangono applicabili senza alcuna modifica e restano delle alternative praticabili con tutte le relative onerosità.
In verità è una semplice modifica alle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 239, della legge n° 228/2012 (legge di stabilità 2013), che si muove però su due aspetti particolarmente rilevanti:
- da un lato si rende possibile applicare le regole del cumulo non solo per accedere alla pensione di vecchiaia con le regole Fornero, bensì si estende quella possibilità anche per accedere alla pensione anticipata;
- dall’altro lato si elimina una delle condizioni assurde che fu inserita nella norma, e cioè la necessità che il lavoratore non avesse maturato il diritto a pensione in nessuna gestione.
Tutto il resto rimane inalterato:
- la platea dei beneficiari riguarda tutti i fondi pensione (regime generale dell’AGO, i fondi sostitutivi, i fondi esclusivi e la gestione separata), ad eccezione delle Casse dei liberi professionisti che restano escluse;
- le regole di calcolo di ciascuna quota di pensione sono quelle applicabili a ciascun ordinamento in funzione della collocazione temporale dei rispettivi periodi;
- le retribuzioni pensionabili sono individuate all’interno di ciascuna gestione;
- per definire l’eventuale criterio di calcolo retributivo o misto l’anzianità contributiva dei 18 anni al 31.12.1995 viene rilevata tenendo conto di tutte le contribuzioni possedute dal lavoratore.
Il quarto intervento riguarda i lavoratori precoci, intendendo per tali coloro i quali possono vantare 12 mesi di contribuzione, anche non continuativa, derivanti da effettiva attività lavorativa, prima del compimento del 19° anno di età.
Quella condizione, tuttavia, non introduce un intervento a pioggia a favore di tutti coloro che la possono realizzare, bensì apre una griglia di opportunità diverse per diverse figure di lavoratori, fermo restando che anche tali opportunità troveranno applicazione a partire dal 1° maggio 2017.
La prestazione a cui sarà possibile accedere è appunto la “pensione anticipata” per la quale saranno sufficienti 41 anni di contribuzione (assoggettati alla dinamica di speranza di vita dal 2019), in luogo dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini e dei 41 anni e 10 mesi per le donne.
Su questo punto si apre già un problema: da nessuna parte si fa cenno ad una questione che potrebbe essere successivamente rilevante, e cioè il fatto che la differenza di genere introdotta dalla riforma Fornero per accedere alla pensione anticipata è oggetto di una procedura di infrazione contro l’Italia aperta formalmente dalla Commissione Europea a ottobre 2015, i cui esiti parrebbero scontati visto il modo con cui si chiuse una analoga vicenda nel 2008 quando fummo condannati dalla Corte di Giustizia Europea per violazione delle regole del Trattato Europeo sul divieto di discriminazioni di genere.
E’ infatti curioso che né la relazione illustrativa presentata al Parlamento che accompagna il DdL, né la relazione tecnica che analizza gli impatti finanziari, abbiano minimamente fatto cenno a tale problema. Ma la selezione più pesante relativa alla applicazione della norma a favore di coloro che hanno i precedenti due requisiti, è quella della griglia seguente; potranno cioè accedere a pensione con quel meccanismo i lavoratori che posseggono alternativamente uno dei seguenti requisiti:
- essere in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale e avere concluso integralmente la prestazione Naspi loro spettante da almeno tre mesi;
- assistere, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi della legge 104;
- avere una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, superiore o uguale al 74%;
- essere lavoratori dipendenti di cui alle professioni di seguito indicate che svolgono, al momento del pensionamento, da almeno sei anni in via continuativa, attività lavorative per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento in modo continuativo ovvero sono lavoratori che soddisfano le condizioni per i benefici correlati ai lavori usuranti.
Le professioni di cui al punto 4 sono le seguenti:
- operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici
- conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni
- conciatori di pelli e di pellicce
- conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante
- conduttori di mezzi pesanti e camion
- personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni
- addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza
- professori di scuola pre-primaria
- facchini, addetti allo spostamento merci ed assimilati
- personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia
- operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti
Ebbene, per quanto alcuni dei criteri variamente elencati possano essere particolarmente selettivi, le norme richiamate sono sicuramente applicabili anche a diversi lavoratori delle pubbliche amministrazioni, ai quali viene però imposto un’ulteriore balzello.
Infatti, ad eccezione di quanto previsto ai fini della eliminazione delle penalizzazioni per le pensioni anticipate liquidate prima del 62° anno di età, in tutti gli altri 3 interventi viene inserita una condizione ulteriore solo per i pubblici dipendenti.
Nella versione “social” dell’A.Pe. (quella che per capirci pone tutti gli oneri a carico dello Stato), infatti, se ad accedere alla pensione anticipata di vecchiaia (non prima del 63° anno di età e per un massimo di 3 anni e 7 mesi) fosse un pubblico dipendente, per questo è previsto che i tempi di attesa per la liquidazione del TFS/TFR da parte dell’INPS non iniziano a decorrere dalla data del collocamento a riposo, bensì dal compimento dell’età normale per la vecchiaia, oggi i 66 anni e 7 mesi, fermo restando che trattandosi di “dimissioni volontarie” il tempo di attesa sarà poi quello dei 24 mesi + 90 giorni.
Altrettanto accade al momento in cui si accederà a pensione anticipata con il meccanismo del nuovo cumulo; se ad accedervi sarà un dipendente pubblico per questo è previsto che i tempi di attesa per la liquidazione del TFS/TFR da parte dell’INPS non iniziano a decorrere dalla data del collocamento a riposo, bensì addirittura dal compimento dell’età normale per la vecchia, oggi i 66 anni e 7 mesi, fermo restando che trattandosi anche qui di “dimissioni volontarie” il tempo di attesa sarà poi quello dei 24 mesi + 90 giorni.
Lo stesso impianto troverà applicazione nel momento in cui si accedesse a pensione con le regole dei lavoratori precoci; se ad accedervi sarà un dipendente pubblico per questo è previsto che i tempi di attesa per la liquidazione del TFS/TFR da parte dell’INPS non iniziano a decorrere dalla data del collocamento a riposo, bensì dal momento in cui detto lavoratore avrebbe maturato i normali requisiti per la pensione anticipata, oggi i 42 anni e 10 mesi per gli uomini e i 41 anni e 10 mesi per le donne, fermo restando che trattandosi di nuovo di “dimissioni volontarie” il tempo di attesa sarà poi sempre quello dei 24 mesi + 90 giorni.
Non vorrei esagerare, ma mi pare che, in un contesto unitario di interventi a favore della generalità dei lavoratori, introdurre ulteriori “penalizzazioni” per i lavoratori delle pubbliche amministrazioni rasenti quasi l’illegittimità.
Confidiamo pertanto in un iter parlamentare che rimuova tali differenze.