Non costituisce di certo una notizia il fatto che le famiglie italiane, nonostante i segnali di parziale ripresa dell’economia reale dagli effetti della crisi finanziaria, siano ancora in affanno e che, da sempre, il nostro Paese debba fare i conti con un divario tra Nord e Sudche rende ormai improrogabile, per chi governa, un serio e concreto processo di riflessione sul modello di sviluppo che ancora caratterizza il nostro Mezzogiorno. La povertà, anche quella che viene tecnicamente definita come “relativa”, comporta un progressivo depauperamento delle risorse (non solo economiche, ma anche sociali e relazionali) e trascina i nuclei familiari coinvolti verso situazioni di disagio complessivo che vanno ben al di sotto della soglia di dignità in un vivere civile.
Strumenti quali il Reddito di Inclusione (ReI), tendono a contrastare la povertà attraverso una vocazione universale articolata in due principali interventi: un beneficio economico, erogato attraverso una Carta di pagamento elettronica (Carta ReI); un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa volto al superamento della condizione di povertà.
UNA FOTOGRAFIA DELL’ITALIA.Periodicamente vengono pubblicate statistiche e studi da parte di istituzioni, pubbliche e private, che forniscono dati e analisi: l’ultima in ordine di tempo è quella presentata lo scorso 19 aprile dall’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, le cui risultanze, purtroppo, non sono confortanti. L’Osservatorio conferma un’Italia a due facce, con un Mezzogiorno in cui le difficoltà in termini di situazione occupazionale e di reddito disponibile coinvolgono, negli ultimi mesi, quasi la metà delle famiglie, con particolare evidenza in Campania, Sicilia e Sardegna. La fotografia fornita nello studio è ancor più chiara se si guarda alle venti province del Nord (in primis Bologna, Bolzano, Milano, Piacenza) che hanno raggiunto e superato il livello occupazionale di Austria e Germania e, di contro, alle 25 province del Sud (quali, ad esempio, Caltanissetta, Foggia e Napoli), confrontabili con le situazioni occupazionali di Grecia e Romania, in cui il tasso di occupazione scende invece al di sotto del 40%. Nel Mezzogiorno, più che altrove, si scontano soprattutto le piaghe del lavoro nero (in particolar modo in agricoltura), della disoccupazione femminile (in parte, specie in passato, legata anche a fenomeni culturali) e di quella giovanile, all’interno di un sistema economico-sociale che non appare ancora in grado - in via generale ma, fortunatamente, con le dovute eccezioni – di trarre sostegno dalla ripresa che sta contraddistinguendo altri territori nazionali. Il Sud, per le sue carenze strutturali, logistiche ed organizzative, resta caratterizzato, nella genericità, da attività economiche poco sviluppate e comunque localizzate, che non sono ancora riuscite a sviluppare quella necessaria capacità innovativa, quella richiesta di specializzazione e quella propensione strutturale verso l’export che sono richieste per i mercati del nuovo capitalismo globalizzato e che stanno invece concretizzandosi in alcuni distretti del Nord nella produzione del Made in Italy.
UN SISTEMA CHE GENERA POVERTÀ.L’atavica relazione tra una minore competitività economica e conseguenziali minori opportunità lavorative di alcuni dei nostri territori più meridionali determina un sempre più preoccupante aumento delle condizioni di povertà, a cui la politica - per una complessità di elementi qui non analizzabili ma evidenti ancor prima dell’Unità d’Italia - non è riuscita a dare risposte efficaci, diffuse e durevoli. Questa nuova “questione meridionale”appare ancor più evidente se posta a confronto con le politiche adottate da Paesi europei a noi più vicini, come Francia e Germania. Nel nostro Paese, fino ad un recente passato, la scelta politica di devolvere cospicue risorse a sussidio delle forme di disoccupazione, senza alcuna condizionalità alle politiche attive, ha comportato una scarsa incisività delle azioni intraprese e un progressivo incremento della spesa pubblica a danno dell’intero Sistema-Paese. Le politiche attive, almeno fino ad oggi, si sono rivelate insufficienti e comunque residuali, perché scarsamente finanziate e basate, sostanzialmente, su servizi pubblici di orientamento e formazione, incapaci di incidere in misura significativa sul meccanismo di domanda e offerta del mercato del lavoro. Questo sistema, in sofferenza cronica, si è parte sostenuto con la collaborazione degli operatori privati autorizzati e, in gran parte, in virtù del sostegno finanziario derivante degli incentivi temporanei all’assunzione, resi disponibili negli ultimi anni. Un Paese in cui le due macro-regioni viaggiano a velocità così diverse va certamente riequilibrato con investimenti e azioni mirati, anche dando sostegno alle politiche del lavoro che restituiscono salari (e quindi capacità di spesa, motore dell’economia locale e nazionale), prospettive e dignità ai lavoratori e contrastano la povertà favorendo l’inclusione sociale, attraverso una serie di interventi tesi al miglioramento del benessere complessivo e alla riconquista dell’autonomia del nucleo familiare.
IL REDDITO DI INCLUSIONE.Per contribuire a prendersi cura della fragilità delle persone appartenenti a nuclei familiari più svantaggiati, dal 1° gennaio 2018 (in forza del decreto legislativo n. 147/2017) è operativa una misura nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, il Reddito di Inclusione. Il ReI, sostituendo il SIA (il Sostegno per l’Inclusione Attiva, la precedente misura a sostegno dei nuclei più svantaggiati), prevede, in via generale, un sostegno economico accompagnato da servizi personalizzati volti a ristabilire l’inclusione sociale e lavorativa. Non si tratta, quindi, di una misura meramente assistenzialistica, di un beneficio economico «passivo», in quanto, per beneficiarne, è richiesto al nucleo familiare un impegno ad attivarsi sulla base di un Progetto personalizzatocondiviso con i servizi territoriali, di accompagnamento verso l’autonomia. Gli interventi in favore dei beneficiari del ReI vengono definiti attraverso una valutazione multidimensionale che analizza i fattori di vulnerabilità del nucleo e identifica nel Progetto personalizzato il possibile percorso verso l’autonomia. Tale Progetto può includere un Patto di servizio con i Centri per l’impiego o, nei casi più complessi in cui la povertà non dipende solo dall’assenza di lavoro, la partecipazione a tirocini per l’inclusione, sostegno socio-educativo, sostegno genitoriale (attivato comunque di defaultin presenza i minori nei primi mille giorni di vita), assistenza domiciliare socio-assistenziale, mediazione culturale, pronto intervento sociale, ecc. Il beneficio economico che compone la prestazione è invece erogato tramite la Carta acquisti, ridenominata Carta ReI, che, previo caricamento periodico dell’importo spettante, consente al beneficiario la possibilità di prelievi di contante entro un limite mensile non superiore alla metà del beneficio massimo attribuibile, nonché l’acquisto dei generi già previsti per la citata Carta acquisti. Il nucleo beneficiario deve soddisfare specifici requisiti reddituali/patrimoniali, di cittadinanza e residenza, di compatibilità con altre prestazioni assistenziali e, almeno fino al 1° luglio 2018, anche requisiti familiari: è da tale data che, in virtù delle disposizioni della legge di bilancio 2018, viene meno il soddisfacimento dei precedenti requisiti familiari, cosicché il ReI assume il carattere di “universalità”. Sui requisiti per l’accesso alla prestazione, sulla modalità dell’istanza, sul percorso di inclusione e sulla misura della prestazione economica si rimanda principalmente alla normativa di riferimento, alle Circolari attuative del Ministero, dell’Inps, nonché delle singole autonomie territoriali che, anche attraverso la rete di servizi integrati di competenza, hanno avviato delle strategie di comunicazione e informazione specifiche anche presso le fasce dei potenziali beneficiari.
IL PIANO PER GLI INTERVENTI A CONTRASTO DELLA POVERTÀ.Il Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà, approvato a fine marzo dalla Rete della protezione e dell’inclusione sociale (organismo presieduto dal Ministro del Lavoro, che riunisce gli assessori regionali e di alcuni Comuni individuati dall’ANCI, responsabili delle politiche sociali), rappresenta il primo strumento programmatico per l’utilizzo della quota del Fondo Povertàdestinata al rafforzamento degli interventi e dei servizi territoriali per i beneficiari del ReI. Diversamente dalle risorse finanziate in precedenza il Fondo Povertà è permanente e stanzia per i servizi circa 300 milioni di euro per il 2018, che salgono a 470 dal 2020 e per gli anni successivi. Unitamente alle altre risorse comunitarie per le politiche di sostegno alle persone più deboli e a quelle in povertà estrema (ad esempio quelle senza fissa dimora, che saranno oggetto di una specifica strategia complessiva e strutturata, denominata “Housingfirst”, con uno stanziamento specifico di 20 milioni di euro, dal 2018), i territori potranno contare a regime su più di 700 milioni di euro all’anno. È una cifra che, presumibilmente, consentirà finalmente di raccogliere la sfida del rafforzamento e del ripensamento organizzativo dei servizi per far fronte ai compiti affidati, in un contesto in cui la spesa per i servizi territoriali di contrasto alla povertà resta comunque bassa (il 7% della spesa totale per i servizi sociali) ed estremamente eterogenea (si passa da più di 30 euro pro capite nelle regioni in cui si spende di più, a meno di 2 euro in quelle in cui si spende meno). Il Piano nazionale, dopo l’approvazione in seno alla Conferenza unificata, sarà poi declinato a livello locale in Piani regionalinei quali verranno indicati gli specifici rafforzamenti da prevedere nei singoli territori, con il fine ultimo di “fare regia” tra i diversi servizi, attraverso le due condizioni poste dal Piano nazionale: l’omogeneità degli ambiti di programmazione dei comparti sociale, sanitario e delle politiche del lavoro; il coinvolgimento delle attività del Terzo Settore nella programmazione e realizzazione degli interventi nel campo delle politiche sociali.
LE NOVITÀ NELLA CIRCOLARE INPS.Già all’indomani dell’entrata in vigore del decreto legislativo che ha introdotto il ReI, con la Circolare n. 172/2017l’Istituto previdenziale aveva fornito le prime indicazioni sulla disciplina della nuova misura di contrasto alla povertà. A seguito delle modifiche apportate al suddetto decreto con la legge n. 205/2017 (legge di bilancio), l’INPS ha recentemente emanato la Circolare n. 57/2018, contenente anche un nuovo modello di domanda di ReI che recepisce le predette novità. Le modifiche riguardano, sostanzialmente:
- i destinatari e irequisiti di accesso (articolo 1, commi 190, 191 e 192): fermi restando gli altri requisiti familiari di cui all’articolo 3, comma 2 del decreto che ha introdotto il ReI, dal 1° gennaio 2018, a parziale modifica dei requisiti inizialmente ivi previsti, occorre la mera presenza nel nucleo beneficiario di almeno un lavoratore di età pari o superiore a 55 anni che si trovi in stato di disoccupazione (requisito autocertificabile in sede di istanza, con verifica automatizzata da parte dell’Inps, salvo casi specifici che l’Istituto ha già disciplinato con successiva comunicazione ai propri operatori, unitamente ad altri controlli da effettuare nell’istruttoria della prestazione). In ragione, poi, della progressiva estensione del ReI, la legge di bilancio, con effetto dal prossimo 1° luglio, abroga tutti i requisiti familiari. Pertanto, per accedere al ReI, le domande presentate a partire da tale termine non dovranno più soddisfare i predetti requisiti familiari;
- la durata e ladecorrenza della misura della prestazione (articolo 1, comma 194): viene introdotta la previsione, nel caso in cui all’atto del riconoscimento del ReI, il beneficio economico risultasse di importo non superiore a 20 euro mensili, che lo stesso venga erogato anticipatamente in un’unica soluzione su base annua. Nel caso poi che, all’atto dell’istruttoria, pur essendo soddisfatti i requisii per l’accesso al ReI, l’importo del beneficio economico della prestazione risultasse pari a zero, non potendosi dar luogo ad alcun pagamento, la domanda verrà respinta e il richiedente potrà rinnovarla, in caso di variazione in senso favorevole dei requisiti economici, senza attendere il decorso di alcun termine (con riferimento ai 18 mesi previsti, al netto dei periodi di prestazione SIA eventualmente goduta, in caso di prima concessione e di 12 mesi in caso di rinnovo);
- l’incremento delbeneficio massimo erogabile (articolo 1, comma 193): l’importo del beneficio economico del ReI - che è pari, su base annua, al valore di 3.000 euro, moltiplicato per il parametro della scala di equivalenza corrispondente alla specifica composizione del nucleo familiare, al netto delle maggiorazioni previste – formulato, in prima applicazione, affinché il tetto massimo di erogazione non sia superiore all’ammontare annuo dell’Assegno sociale, è stato ora modificato, prevedendo che tale importo sia incrementato del 10% (fino ad un massimo teorico, per l’anno corrente, di € 539,82 mensili in nuclei familiari di 6 o più componenti);
- altri aspetti relativi al finanziamentodel ReI e al monitoraggiodella spesa ad esso relativa, prevedendo fin da ora lo stanziamento incrementale delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà anche per gli anni futuri.
LA NOTA MINISTERIALE.Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con propria nota del 21/3/2018, nell’ambito di un sollecito relativo alla comunicazione dei Punti per l’Accesso al Reddito di Inclusione, ha annunciato alle strutture a diverso titolo coinvolte nei processi e nella rete di servizi integrati prevista dal ReI (Ambiti Territoriali della programmazione sociale, Regioni e Province autonome, Rete della protezione e dell’inclusione sociale e al Tavolo dei Programmatori sociali) la disponibilità sul web di una nuova versione della procedura ReI, includente funzionalità di delega ai Centri di Assistenza Fiscale (CAF) e di accesso alla piattaforma ReI, nonché di cancellazione e revoca della istanze da parte dei Comuni. Nella nota viene tra l’altro ribadito quanto già indicato nel decreto legislativo n. 147/2017, che ha individuato i servizi per l’informazione e l’accesso al ReI quale livello essenziale delle prestazioni, prevedendo l’identificazione di punti per l’accesso presso i quali in ogni Ambito territoriale vengono offerti l’informazione, la consulenza e l’orientamento ai nuclei familiari in relazione alla rete integrata degli interventi e dei servizi sociali e, qualora ne ricorrano le condizioni, l’assistenza nella presentazione della richiesta del ReI. Tali punti di accesso avrebbero dovuto essere comunicati all’Inps, alla Regione e al Ministero entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo citato (avvenuta il 14 ottobre 2017), ma allo stato vi è ancora un significativo numero di Ambiti territoriali che non hanno provveduto all’adempimento. Oltre ai punti di accesso, i Comuni possono identificare anche “altra struttura” ai fini della presentazione della domanda di ReI, delegando a questa solo compiti di raccolta materiale delle domande, fermo restando che l’interlocuzione con l’Inps e la gestione dei relativi flussi informativi sono demandati agli Ambiti territoriali, eventualmente per il tramite dei Comuni che li compongono.
L’OSSERVATORIO INPS.Nel corso di un primo bilancio sui risultati dei primi tre mesi di applicazione del ReI, presentato in una conferenza stampa indetta dall’Istituto previdenziale a fine marzo scorso, è stato rilevato che tra SIA, ReI e altre misure regionali integrative era stata raggiunta in tre mesi circa la metà della platea potenziale degli interventi pianificati, con oltre 251 mila famiglie beneficiarie (pari a circa 870.000 persone). In questo contesto - al di là del sottolineare che l’importo medio della prestazione di integrazione del reddito, con il Rei è pari a circa 297 euro, più elevato rispetto ai 245 erogati grazie al SIA - è stata ribadita la funzione centrale svolta dalla rete di servizi di protezione sociale a supporto stabile dei beneficiari, che necessita ancora di qualche riallineamento, gravando sulla criticità non solo un’insufficiente distribuzione dei punti di accessoal ReI (ne sono previsti almeno uno ogni 40.000 cittadini), anche la insufficiente dotazione organica di assistenti sociali(attualmente inferiore al livello ipotizzato di uno ogni 5 mila abitanti), elementi necessari, unitamente al potenziamento dei Centri per l’impiego, per garantire adeguata copertura dei servizi. Ovviamente, per dar effettività all’azione di contrasto alla povertà e all’inclusione sociale, occorrerà che - in aggiunta alla nuova misura, finanziata da uno specifico Fondo per la Povertà anche negli anni futuri - possano realizzarsi anche interventi di welfare locale, differenziati a seconda delle varie situazioni territoriali prima evidenziate. L’Osservatorio statistico sul Reddito di inclusione dell’Inps ha fornito le informazioni sui nuclei percettori del beneficio economico relativamente al primo trimestre del 2018: i dati si basano sulle domande trasmesse all’Istituto dai Comuni di residenza dei nuclei interessati. Allo stato attuale, in alcune regioni (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Puglia) viene registrato un numero contenuto di nuclei percettori, in virtù della presenza di misure integrative del ReI a livello regionale, considerando, tuttavia, che l’integrazione applicativa tra le misure locali e nazionali è ancora in corso di completamento. I dati rilevati nel primo trimestre 2018, ad ulteriore conferma delle considerazioni riportate all’inizio di questo contributo, fotografano una situazione in cui, a fronte di prestazioni in favore di 110 mila nuclei familiari (corrispondenti ad oltre 317 mila persone), la maggior parte di queste (circa il 72%) vengono erogate al Sud, con interessamento di circa il 76% del totale degli individui percettori: Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni con maggior numero assoluto di nuclei beneficiari, con la maggior incidenza, in termini relativi rispetto alla popolazione ivi residente, di persone coinvolte (rispettivamente pari a 173, 135 e 150 beneficiari ogni 10.000 abitanti). L’estensione attuata con il ReI, rispetto al SIA, a partire dal 1° gennaio - includendo nell’accesso alla nuova prestazione anche i nuclei monocomponenti di disoccupati ultracinquantacinquenni, in sostituzione dell’ASDI - ha comportato che il numero medio dei componenti dei nuclei percettori del ReI si attesti a tre, con i nuclei monocomponenti che rappresentano il 23% della distribuzione. L’importo mensile medio calcolato dall’Osservatorio, pari a circa 297 euro, risulta variabile a livello territoriale all’interno di un range compreso tra € 225 (Valle d’Aosta) e € 328 (Campania), pur essendo sensibilmente disomogeneo in dettaglio, in ragione della modalità di calcolo della prestazione legata anche al numero dei componenti dei singoli nuclei. Nei nuclei interessati nel 52% dei casi è stata rilevata la presenza di minori, mentre sono oltre 21.500 i nuclei con disabili, pari a circa il 20% dell’intera platea dei beneficiari.