Legittimità della clausola sociale che impone l’obbligo dell’assunzione del 50% del personale del pregresso affidatario
di Stefano Usai
La posizione espressa appare, oggettivamente, non perfettamente adesiva all’orientamento consolidato della giurisprudenza ed alle recentissime linee guida n. 13 dell’ANAC.
La vicenda
Nel caso di specie, la stazione appaltante avviava un procedimento di gara ai fini dell’individuazione “di operatori economici da invitare a presentare un’offerta per l’affidamento del servizio di assistenza scolastica specialistica degli alunni con disabilità A.S. 2018/2019”.
Tra le clausole in contestazione - la ricorrente impugna l’aggiudicazione – quella relativa alla clausola sociale ovvero, come noto, la clausola che tende a consentire il riassorbimento del personale utilizzato dal pregresso gestore del servizio.
In particolare, la clausola “incriminata” prevedeva che ogni appaltatore confermasse la volontà di “utilizzare nel servizio almeno il 50% degli operatori dell’anno scolastico concluso per garantire la tranquillità didattica”.
La decisione
Secondo il giudice – e ciò appare sorprendente per il tenore della clausola diretta ad imporre un autentico obbligo di assunzione - la doglianza era da rigettare sulla base di alcune considerazioni che sembrano in perfetta antitesi con gli approdi finora assicurati da orientamenti costanti.
Secondo quanto si legge in sentenza la giurisprudenza (peraltro richiamata a sostegno da parte ricorrente (CS, sez.III, n.3471/2018)) nell’affermare “che la clausola sociale è costituzionalmente e comunitariamente legittima solo se non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento di tutto il personale utilizzato dall’impresa uscente, in violazione dei principi costituzionali e comunitari di libertà di iniziativa economica e di concorrenza” risulterebbe in perfetta coerenza con il fatto che l’obbligo imposto dalla stazione appaltante risultasse limitato all’assunzione del solo 50% del personale precedentemente occupato.
Considerazioni
L’orientamento consolidato – e quindi l’interpretazione costituzionalmente orientata - finora è andata nel senso secondo cui nessun appaltatore può essere obbligato alla riassunzione del personale sempre che dimostri, in base al proprio organico/organizzazione, che tale personale non può essere riassorbito.
Pertanto, anche un obbligo limitato – come nel caso specifico – avrebbe dovuto essere ritenuto (o ricondotto) nei termini comunitari.
In questo senso, del resto, e ripetutamente la stessa ANAC che ha avuto modo di confermare queste posizioni con le recenti linee guida n. 13 che, tra l’altro, prevedono l’obbligo dell’appaltatore di presentare un progetto di riassorbimento al fine di verificare la veridicità/possibilità concreta del riassorbimento.
In tema, proprio dalle linee guida, emerge che - oltre ad evidenziare (e ribadire) che la clausola non impone affatto un obbligo incondizionato di assunzione e quindi un reale obbligo di assorbimento ma un possibilità compatibile con la propria organizzazione – ciò che può essere sanzionato, con l’esclusione, è ad esempio, la mancata accettazione espressa della clausola sociale, che “costituisce manifestazione della volontà di proporre un’offerta condizionata, come tale inammissibile nelle gare pubbliche, per la quale si impone l’esclusione dalla gara”.
A tal riguardo, nel parere della commissione speciale del Consiglio di Stato (2703/2018) si legge che “è infatti evidente che l’eventualità di un esplicito rifiuto di accettare la clausola da parte dell’offerente rappresenta un’ipotesi di scuola, e che quindi le problematiche maggiori si pongono nei casi di sua accettazione formale, che però porta al suo mancato rispetto in sede di esecuzione del contratto aggiudicato. In tale contesto, prevedere che l’offerta debba essere formulata rendendo esplicito il “piano di compatibilità” che secondo l’interessato consente di rispettare la clausola stessa rappresenta una garanzia, nel senso che consente di individuare ed escludere le offerte incongrue fin dalla loro presentazione”
L’esclusione, però, sempre secondo l’ANAC non può essere fondata sull’ipotesi in cui l’operatore economico manifesti il proposito di applicarla nei limiti di compatibilità con la propria organizzazione d’impresa.
E’ pertanto l’appaltatore che, eventualmente, si assume detta responsabilità ma ciò non può essere imposto dalla stazione appaltante. La misura dell’impegno assunzionale, inoltre, dovrebbe emergere, appunto, dal piano predetto di riassorbimento (o di non riassorbimento).
L’inadempimento degli obblighi derivanti dalla clausola (non giustificati)
Questione diversa, sul piano civilistico, comporta l’inadempimento degli obblighi derivanti dalla clausola sociale.
In questo caso, il RUP (secondo le comunicazioni del direttore dell’esecuzione, potrà applicare i “rimedi previsti dalla legge ovvero dal contratto”.
Nello schema di contratto le stazioni appaltanti deve inserire delle clausole risolutive espresse ovvero penali commisurate alla gravità della violazione. Ove ne ricorrano i presupposti, applicano l’articolo 108, comma 3, del codice dei contratti pubblici.
Il comma in parola dispone che “il responsabile dell'esecuzione del contratto, se nominato, quando accerta un grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte dell'appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni, invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente, il cui importo può essere riconosciuto all'appaltatore. Egli formula, altresì, la contestazione degli addebiti all'appaltatore, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie controdeduzioni al responsabile del procedimento. Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l'appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dichiara risolto il contratto”.
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