di Salvio Biancardi
A seguito delle modifiche apportate dall’art. 18, comma 1-ter, lettere b) e c), del decreto legge n. 162/2019, la disciplina prevista dall’art. 3, commi 13 e 14, della legge n. 56/2019 in materia di compensi dovuti per l’attività di presidente o di membro della commissione esaminatrice dei concorsi per l’accesso a un pubblico impiego indetti dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e degli enti pubblici non economici nazionali, non può essere estesa ai concorsi indetti dagli enti locali, trattandosi di disposizioni eccezionali che non possono essere interpretate estensivamente, né in analogia.
Lo ha chiarito la Corte dei conti sez. regionale di controllo per la Lombardia, nella deliberazione n. 253 del 03/11/2021.
Nel caso esaminato, un Comune ha presentato alla Sezione una richiesta di parere sul tema dei compensi spettanti ai componenti delle commissioni di concorso.
In particolare, è stato chiesto di chiarire se tali compensi possano essere erogati anche a favore dei dipendenti della Pubblica Amministrazione che bandisce il concorso.
Nella richiesta l’Amministrazione comunale ha richiamato la deliberazione n. 440/2019 con la sezione di controllo per la Regione Lombardia, sulla base di un’interpretazione sistematica della normativa dettata dall’art. 3, commi 12-14, della l. 19 giugno 2019, n. 56, ha ritenuto che ”ai componenti delle commissioni di concorsi pubblici banditi da un’amministrazione diversa da quella di appartenenza, privi di qualifica dirigenziale, spetti il compenso per l’attività di presidente, di componente o di segretario di concorso”, ammettendo, quindi, che anche nei confronti di tale personale trovi applicazione la deroga al principio di onnicomprensività di cui all’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001, prevista dall’art. 3, comma 14, l. n. 56/2019.
Il Comune ha richiamato, inoltre, un parere reso dal Dipartimento della funzione pubblica al comune di Lucca, secondo il quale “la corresponsione dei compensi previsti dall’art. 3, c. 14, l. n. 56/2019 riguardi tutti i componenti delle commissioni di concorso, a prescindere dall’appartenenza o meno degli stessi ai ruoli dell’amministrazione che bandisce il concorso”.
La Corte ha preliminarmente chiarito che, in primo luogo, il richiamo alla deliberazione n. 440/2019 della Sezione per la Regione Lombardia è ininfluente ai fini della risposta al quesito formulato dal Comune, diretto a conoscere se tali compensi possano essere erogati anche a favore dei dipendenti della Pubblica Amministrazione che bandisce il concorso, non tanto perché, in quell’occasione, il Collegio si era pronunciato in ordine alla retribuibilità degli incarichi dei componenti delle commissioni di concorso indetto da amministrazione diversa da quella di appartenenza, quanto piuttosto perché, medio tempore, sono intervenute significative novità nel quadro normativo di riferimento.
La Corte si riferisce alle modifiche apportate all’art. 3 della legge n. 56/2019 dall’art. 18, comma 1-ter lettere b) e c), del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 162 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8), i cui effetti non erano considerati nel parere reso dal Dipartimento della funzione pubblica richiamato dal comune istante.
In particolare, la lett. b) del sopra richiamato art. 18, comma 1-ter, ha abrogato l’art. 3, comma 12, della legge n. 56/2019 che così recitava “Gli incarichi di presidente, di membro o di segretario di una commissione esaminatrice di un concorso pubblico per l'accesso a un pubblico impiego, anche laddove si tratti di concorsi banditi da un'amministrazione diversa da quella di appartenenza e ferma restando in questo caso la necessità dell'autorizzazione di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si considerano ad ogni effetto di legge conferiti in ragione dell'ufficio ricoperto dal dipendente pubblico o comunque conferiti dall'amministrazione presso cui presta servizio o su designazione della stessa”.
La lettera c) ha, invece, disposto l’aggiunta di un periodo alla fine del comma 13, il cui testo – al netto delle ulteriori modifiche apportate dall’art. 247, comma 10, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (convertito con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77), non rilevanti ai fini che qui interessano – risulta essere il seguente: “con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della predetta legge, si provvede all'aggiornamento, anche in deroga all'art. 6, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dei compensi da corrispondere al presidente, ai membri e al segretario delle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici per l'accesso a un pubblico impiego indetti dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e dagli enti pubblici non economici nazionali, nonché al personale addetto alla vigilanza delle medesime prove concorsuali, secondo i criteri stabiliti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 134 del 10 giugno 1995. Tali incarichi si considerano attività di servizio a tutti gli effetti di legge, qualunque sia l'amministrazione che li ha conferiti".
A parere della Corte, dalla lettura comparata delle disposizioni previgente e di quelle attuali emerge chiaramente come il legislatore abbia inteso restringere il campo dei destinatari delle norme in parola, limitandolo alle sole amministrazioni nazionali.
Che questa sia la volontà del legislatore trova conferma negli atti parlamentari e, in particolare nel “Dossier 21 febbraio 2020 - schede di lettura D.L. 162/2019 – A.S. 1729) dove si legge che: “Le novelle di cui alle lettere b) e c) dello stesso comma 1-ter concernono la natura dell'attività degli incarichi di presidente, di membro e di segretario delle commissioni esaminatrici dei concorsi per il reclutamento di personale nelle pubbliche amministrazioni. Si prevede che tali incarichi, qualora riguardino concorsi indetti dalle amministrazioni dello Stato (anche ad ordinamento autonomo) e dagli enti pubblici (non economici) nazionali, siano considerati a tutti gli effetti di legge attività di servizio, qualunque sia l'amministrazione che li abbia conferiti, e si abroga la disposizione vigente, che pone il medesimo principio in via generale - mentre la nuova norma fa esclusivo riferimento ai concorsi indetti dalle suddette amministrazioni nazionali”.
Sulla scorta di quanto evidenziato, ne consegue che a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge n. 162/2019, la deroga al principio di onnicomprensività di cui all’art. 24, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, introdotta dall’art. 3, comma 14, della legge n. 56/2019, trova applicazione solo nei confronti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici (non economici) nazionali. Tale interpretazione, fondata sul dato letterale delle disposizioni esaminate, fra di loro intrinsecamente connesse, appare funzionale anche all’obiettivo del legislatore, emergente da una lettura sistematica di tutto l’articolo 3 della legge n. 56/2019, di accelerare le procedure assunzionali gestite a livello centrale.
Ciò posto, la Sezione Lombardia ritiene che un’interpretazione estensiva del citato comma 14, che ne consentisse l’applicabilità anche agli enti locali, non può essere ammissibile in quanto solo la legge può derogare al principio cardine di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti della PA sancito dagli artt. 2, comma 3 e 24, comma 3 del Dlgs. 165/2001.
Come ben chiarito dalla Sezione regionale per il Veneto (cfr. parere n. 1/2018) “In virtù di tale principio, nulla è dovuto, oltre al trattamento economico fondamentale ed accessorio stabilito dai contratti collettivi, al dipendente che ha svolto una prestazione che rientra nei suoi doveri d’ufficio (cfr. Corte dei Conti Puglia, Sezione giurisdizionale, sentenze nn. 464, 475 e 487 del 2010). Il principio si coniuga con quello, previsto parimenti dalle norme citate, della riserva alla contrattazione collettiva in tema di determinazione del corrispettivo delle prestazioni dei dipendenti: ne consegue, da un lato, che solo il contratto collettivo nazionale, può fissare onnicomprensivamente il trattamento economico, mentre quello decentrato assume rilevanza nei limiti di quanto disposto dalle fonti nazionali. In ambo i casi, solo la legge può derogare a tale sistema, prevedendo talora ulteriori specifici compensi (Sez. Autonomie n. 7/2014 e Corte dei conti SS.RR.QM 51/CONTR/11 del 4 ottobre 2011) o addirittura la possibilità di una diversa strutturazione del trattamento economico (cfr., ad esempio, gli artt. 24 e 45 del Dlgs. n. 165 del 2001), sia sul piano qualitativo che su quello quantitativo: con la conseguenza che, in quanto tale, esso costituisce un’eccezione di stretta interpretazione, con divieto di analogia (art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile: Sezione Campania, parere 07.05.2008 n. 7/2008), essendo regola generale quella secondo cui il contratto individuale o una determinazione unilaterale dell’ente (ad esempio un regolamento) non possono determinare il corrispettivo e, dall’altro, che tale corrispettivo retribuisce ogni attività che ricade nei doveri d’ufficio (principio di onnicomprensività)”.
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