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ACCORDI TRA PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI: RIFLESSIONI CRITICHE E APPLICATIVE DELL’ARTICOLO 7, COMMA 4, DEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI

di Francesco Vicino

1. Introduzione

Il nuovo Codice dei contratti pubblici, introdotto con il Decreto Legislativo n. 36 del 2023 (di seguito anche “Nuovo Codice”), rappresenta una significativa riforma della disciplina degli appalti pubblici in Italia. In tale contesto, l’articolo 7 (principio di auto-organizzazione amministrativa) introduce al comma 4 un regime speciale per la cooperazione tra stazioni appaltanti ed enti concedenti, sollevando questioni interpretative e applicative di rilevante impatto pratico.

La norma, infatti, si inserisce in un quadro giuridico già delineato dall’articolo 15 della legge n. 241 del 1990, che costituisce la fonte normativa principale per la disciplina degli accordi tra amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di attività di interesse comune.

Orbene, obiettivo del presente approfondimento è cercare di contribuire a far luce su una questione già da tempo all’attenzione del giudice amministrativo: quando un accordo tra enti pubblici può considerarsi riconducibile allo schema di cui all’articolo 15 della legge n. 241 del 1990 ed escluso dall’applicazione della normativa di cui al codice dei contratti pubblici? Apparentemente, la risposta a un simile interrogativo potrebbe sembrare semplice, in quanto sia il d.lgs. 36/2023 (articolo 7, comma 4) sia il suo predecessore d.lgs. 50/2016 (articolo 5, comma 6) contengono delle disposizioni con un elenco puntuale delle condizioni necessarie a escludere un accordo tra amministrazioni dal campo di operatività del codice dei contratti pubblici.

La soluzione, tuttavia, non è così scontata. Emerge, dunque, la necessità di una riflessione critica su queste disposizioni, non solo per comprendere le novità di natura giuridica introdotte dal nuovo codice ma a maggior ragione per allinearsi alla posizione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che con parere n. 66 del 17 gennaio 2024, ha evidenziato i potenziali rischi di elusione delle procedure concorrenziali e ha tratteggiato meglio i confini giuridici dell’impianto normativo in esame. Ciò detto, si tenterà di seguito di esaminare in profondità il rapporto tra le due norme, analizzando le condizioni di legittimità degli accordi pubblici e le criticità emergenti dall’interpretazione giurisprudenziale e dall’attività di vigilanza dell’ANAC.

2. Il Principio Collaborativo dell’Articolo 15 della Legge 241/1990

L’articolo 15 della legge n. 241 del 1990 consente alle amministrazioni pubbliche di concludere accordi per disciplinare attività di “interesse comune”. Questi costituiscono una delle possibili forme di cooperazione tra enti pubblici e sono fondati specificatamente sul carattere condiviso delle attività che i soggetti coinvolti intendono portare a termine e il cui svolgimento viene disciplinato con uno specifico accordo.

Tali accordi costituiscono una particolare modalità di esercizio consensuale della potestà amministrativa che, promuovendo e rafforzando la collaborazione tra diversi enti pubblici, si presenta come un’alternativa alla conferenza di servizi di cui agli artt. 14 e seguenti della legge n. 241/1990, pur perseguendo lo stesso scopo: regolare lo svolgimento congiunto di attività di interesse comune per i soggetti pubblici coinvolti.

Come si avrà modo di approfondire meglio anche più avanti, gli accordi ex articolo 15 si fondano su una logica di parità e complementarità tra le due (o più) parti pubbliche, che in tal modo mirano a ottimizzare l’uso delle risorse a loro disposizione e a semplificare l’azione amministrativa. Come per ogni atto di esercizio consensuale dell’attività amministrativa, questi accordi sono ammessi esclusivamente quando sono finalizzati al soddisfacimento dell’interesse pubblico.

In tale contesto, occorre sottolineare che negli accordi di collaborazione stipulati ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 241/1990, il già citato interesse pubblico riveste un’importanza fondamentale nella sua declinazione di “interesse comune” tra le pubbliche amministrazioni coinvolte, in quanto accompagnato da una reale condivisione di compiti e responsabilità. Infatti, una simile situazione si distingue nettamente da quella di un contratto a titolo oneroso, in cui una delle parti esegue la prestazione pattuita mentre l’altra si obbliga a corrispondere una remunerazione.

La funzione elettiva degli accordi tra pubbliche amministrazioni è pertanto quella di regolare le rispettive attività funzionali, in virtù di una logica spiccatamente pubblicistica per la quale nessuna delle parti coinvolte possa ricorrere a tale istituto al fine di soddisfare un interesse di natura meramente patrimoniale (per il quale l’ordinamento prevede diversi e più adeguati istituti giuridici).

Perché possa essere rispettato lo schema originariamente ipotizzato dal legislatore del 1990, è pertanto imprescindibile che tra le parti sussista una posizione di equiordinazione, finalizzata a coordinare i rispettivi ambiti di intervento su questioni di interesse comune, evitando qualsiasi conflitto di interessi di natura patrimoniale. In altre parole, è necessario garantire una “sinergica convergenza” verso attività di interesse condiviso, anche qualora ciascuna amministrazione persegua finalità pubbliche differenti.

3. Il Quadro Normativo dell’Articolo 7, Comma 4 del D.Lgs. 36/2023

L’articolo 7 del D.Lgs. 36/2023, invece, enuclea il principio di auto-organizzazione amministrativa, in virtù del quale le pubbliche amministrazioni sono libere di organizzare come meglio credono l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi, potendo ricorrere a tre modelli fra loro alternativi: a) auto-produzione, b) esternalizzazione; c) cooperazione con altre pubbliche amministrazioni.

Per quanto di interesse in questa sede, ci si soffermerà sul modello della cooperazione con altre pubbliche amministrazioni, introdotto nel comma 4 dell’articolo 7 che si presenta come una riformulazione semplificata della previsione precedentemente contenuta dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 50 del 2016, rispetto al quale tiene conto dell’elaborazione giurisprudenziale nazionale e sovranazionale.

Nel dettaglio, la nuova disposizione recita come segue:
“4. La cooperazione tra stazioni appaltanti o enti concedenti volta al perseguimento di obiettivi di interesse comune non rientra nell’ambito di applicazione del codice quando concorrono tutte le seguenti condizioni: a) interviene esclusivamente tra due o più stazioni appaltanti o enti concedenti, anche con competenze diverse; b) garantisce la effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all’attività di interesse comune, in un’ottica esclusivamente collaborativa e senza alcun rapporto sinallagmatico tra prestazioni; c) determina una convergenza sinergica su attività di interesse comune, pur nella eventuale diversità del fine perseguito da ciascuna amministrazione, purché l’accordo non tenda a realizzare la missione istituzionale di una sola delle amministrazioni aderenti; d) le stazioni appaltanti o gli enti concedenti partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.

In tal senso, quindi, l’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 36/2023 finisce per operare come disciplina specifica per l’istituto degli accordi tra soggetti pubblici, già previsto in linea generale dall’articolo 15 della legge n. 241/1990, integrandone la portata e delimitandone ulteriormente l’ambito di applicazione e di operatività. La norma, dunque, stabilisce in modo rigoroso i limiti entro cui tali accordi, nonostante siano sottoscritti da soggetti pubblici, possano essere esclusi dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici:

  1. Partecipazione esclusiva di amministrazioni aggiudicatrici o enti concedenti.
  2. Effettiva partecipazione delle parti nello svolgimento dei compiti di interesse comune.
  3. Assenza di un rapporto sinallagmatico tra le prestazioni rese dalle parti.
  4. Limitazione delle attività svolte sul mercato da parte delle amministrazioni coinvolte a meno del 20% delle attività oggetto dell’accordo.

In sostanza, le amministrazioni coinvolte in un accordo possono avere competenze differenziate e perseguire anche interessi pubblici distinti, a condizione che la collaborazione reciproca permetta a ciascuna di conseguire le proprie finalità istituzionali. In un simile schema è fondamentale l’assenza di una logica di scambio: affinché possa operare l’esclusione di cui al comma 4 dell’articolo 7, è necessario che gli accordi sottoscritti da due o più soggetti pubblici ai sensi dell’articolo 15 della l.241 del 1990, siano improntati alla realizzazione congiunta di attività finalizzate al soddisfacimento di interessi pubblici, anche non coincidenti, purché rientranti nella missione istituzionale di ciascuna amministrazione partecipante.

4. Le Criticità Evidenziate dall’ANAC

Il caso su cui si è pronunciata l’Autorità Nazionale Anticorruzione con il parere n. 66 del 17 gennaio 2024 ha riguardato, per l’appunto, un accordo di collaborazione tra soggetti pubblici volto alla realizzazione di interventi su un immobile demaniale destinato a svolgere la funzione di sede istituzionale per una pubblica amministrazione. Una delle amministrazioni coinvolte si è offerta di predisporre gratuitamente il Documento di Indirizzo della Progettazione, il Piano di Indagine Strutturale e lo Studio di Fattibilità Tecnico-Economica, finanziando tali attività con fondi PNRR. Tale proposta, poi, avrebbe dovuto trovare attuazione mediante la stipulazione di un accordo tra i diversi enti pubblici coinvolti, ciascuno con un ruolo specifico nell’ambito di successive convenzioni attuative.

La questione chiave posta all’attenzione dell’ANAC, è stata dunque se un simile accordo potesse rientrare o meno nella disciplina prevista dal combinato disposto dell’articolo 15 della legge n. 241/1990 e dell’articolo 7, comma 4 del d.lgs. n. 36/2023, oppure se una simile ipotesi di collaborazione tra pubbliche amministrazioni fosse suscettibile di violare i principi di concorrenza, imparzialità e trasparenza.

Al riguardo, in linea con quanto già affermato nel precedente parere n. 179 del 3 maggio 2023, l’ANAC ha precisato che un accordo di collaborazione tra pubbliche amministrazioni, per poter essere esentato dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici deve concretizzarsi nell’applicazione rigorosa delle condizioni di cui all’articolo 7, comma 4 del D.Lgs. 36/2023, solo così garantendo la legittimità di accordi di collaborazione tra pubbliche amministrazioni che hanno ad oggetto lo svolgimento di attività assimilabili, in linea teorica, a quelle disciplinate dal Codice dei contratti pubblici.

5. Conclusione

Con l’obiettivo di evidenziare gli aspetti più rilevanti della vicenda, dunque, nel parere in esame l’ANAC ha rilevato che l'accordo esaminato non chiariva in modo puntuale il ruolo e le attività effettivamente svolte da ciascuno dei soggetti coinvolti, né risultava in grado di garantire un’effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all’interesse comune. Nondimeno, l’inapplicabilità al caso concreto dell’articolo 7, comma 4, del d.lgs n. 36/2023 è stata ricondotta alla presenza nell’accordo tra PA di attività considerate da ANAC come prestazioni tecniche contendibili sul mercato, incompatibili perciò con il regime di collaborazione tra enti pubblici ipotizzato dal legislatore.

Al riguardo, l’ANAC ha ribadito che qualsiasi tentativo di eludere le norme sulla concorrenza attraverso costruzioni di puro artificio non è ammissibile, in linea con i principi della normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici, già più volte oggetto di pronunce della Corte di Giustizia UE (sentenze C-564/11 del 16 maggio 2013 e C-159/11 del 19 dicembre 2012), nonché del Consiglio di Stato (sentenze n. 3849/2013 e n. 3130/2014).

In conclusione, stante tutto quanto sopra esaminato, tale contributo vuole rappresentare un’ulteriore guida per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni a valutare con attenzione la natura e le finalità degli accordi di collaborazione, assicurando che questi rispondano effettivamente a esigenze di cooperazione istituzionale e non a logiche di mercato. Infatti, solo in presenza di una reale convergenza sinergica su obiettivi di interesse pubblico comune è possibile giustificare l’esclusione dal regime ordinario degli appalti pubblici, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e concorrenza che verrebbero altresì violati con conseguente applicazione delle sanzioni previste dal Codice dei contratti pubblici.

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