Il caso affrontato
Nel caso affrontato un pubblico dipendente aveva favorito alcuni colleghi nel concorso bandito dall’Amministrazione d’appartenenza, anticipando loro i contenuti delle prove che si sarebbero svolte, così violando i doveri di imparzialità.
Il dipendente era stato condannato in sede penale.
L’eco della vicenda aveva determinato un danno all’immagine all’Amministrazione d’appartenenza.
La decisione dei giudici della Corte dei conti
I giudici hanno rammentato che è consolidato il principio della risarcibilità del danno da lesione del diritto d’immagine della P.A. allorquando vi sia un’alterazione del prestigio e della personalità della P.A., a seguito di un comportamento tenuto in violazione dell’art. 97 Cost., ossia in dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici.
Ricorre, in sostanza, il danno all’immagine quando la condotta illecita dei dipendenti della P.A. determina una lesione del bene giuridico consistente nel buon andamento della P.A., tale da far perdere a quest’ultima credibilità ed affidabilità all’esterno, ingenerandosi la convinzione che tale comportamento patologico sia una caratteristica usuale dell’attività dell’Ente pubblico.
Il danno all’immagine deve essere sempre provato nella sua effettiva sussistenza; tuttavia, non è necessaria la dimostrazione della spesa sostenuta per il ripristino dell’immagine violata né la verificazione di una diminuzione patrimoniale della P.A. danneggiata, in quanto la risarcibilità di un simile pregiudizio non può rapportarsi, per la sua intrinseca lesione, come sopra esposto, al ristoro della spesa che abbia inciso sul bilancio dell’Ente, ma deve essere vista come lesione ideale, con valore da determinarsi secondo l’apprezzamento del Giudice, ai sensi dell’articolo 1226 c.c.
I giudici hanno anche evidenziato che la lesione dell’immagine pubblica, come sopra definita, opera su un duplice piano, interno ed esterno:
1) all’esterno, per la diminuita considerazione nell’opinione pubblica o in quei settori in cui l’Amministrazione danneggiata principalmente opera;
2) all’interno, per l’incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che compongono i propri organi.
Pertanto, al fine di configurare la lesione dell’immagine, non è neppure indispensabile, secondo la giurisprudenza, la presenza del c.d. clamor fori, ovvero la divulgazione della notizia del fatto a mezzo della stampa o di un pubblico dibattimento, potendo il c.d. clamor essere rappresentato anche dalla divulgazione all’interno dell’Amministrazione e dal coinvolgimento di soggetti ad essa estranei, senza alcuna diffusione nei mass media.
Nel caso di specie risultava dagli atti che il convenuto era stato destinatario della sentenza penale di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. con la quale era stato condannato alla pena di un anno di reclusione in ordine a reati contro la pubblica amministrazione: abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), posto in essere anche tramite il reato di falso (art. 479 c.p.) in concorso con altri soggetti e anche con reato continuato.
Orbene, come già evidenziato da giurisprudenza consolidata, la sentenza che accoglie la richiesta di patteggiamento contiene in sé un accertamento implicito della responsabilità dell’imputato, posto che il Giudice, che può accogliere o rifiutare tale richiesta, ha comunque l’obbligo preventivo di escludere di essere in presenza di un’ipotesi di proscioglimento.
Passando ad esaminare gli altri requisiti del danno all’immagine, i giudici hanno affermato che deve essere altresì osservato che risultavano versati in giudizio alcuni articoli di giornali comprovanti l’avvenuto eco mediatico (cosiddetto clamor fori) della vicenda giudiziale; doveva essere altresì considerata, come sopra già evidenziato, l’inevitabile incidenza negativa delle sopra indicate condotte illecite sull’agire delle persone fisiche che componevano e svolgevano attività all’interno della stessa pubblica amministrazione.
Inoltre, il dipendente ricopriva una posizione apicale con significative funzioni svolte nell’ambito dell’Amministrazione d’appartenenza che costituivano elementi tutti rilevanti ai fini della configurabilità e della gravità del danno all’immagine.
Infine, non risultava contestabile la configurabilità dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, in correlazione al dolo della sopra descritta condotta illecita penale.
Pertanto, secondo i giudici, sussistevano tutti gli elementi costituitivi della responsabilità per il danno all’immagine arrecato all’Amministrazione pubblica.