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L’accesso alla  pensione anticipata: le ultime novità

Dott. Francesco Disano

pensioniprevLa prossima legge di stabilità si pone l’obbiettivo di introdurre una maggior flessibilità in uscita per coloro che intendono accedere al pensionamento. Occorre precisare che, in effetti, non si tratta di una vera e propria riforma della legge Fornero (legge n. 214/2011), quanto piuttosto delle modifiche ai requisiti in atto vigenti, per l’acquisizione del diritto alla pensione, utili a permettere l’uscita anticipata dal lavoro.

L’impalcatura del disegno di legge prevede specificatamente per i dipendenti della pubblica amministrazione, i nuovi istituti riferiti a :

^ APE;

^ RITA;

^ ricongiungimenti;

^ interventi per precoci e lavoratori usuranti .

 

APE .  Acronimo  di  “ assegno per la pensione anticipata “

A distanza di 4 anni dal 1° gennaio 2012, è ormai consolidato  e risaputo che la legge Fornero  ha inasprito  in maniera esponenziale la data di l’accesso alla pensione della  gran  parte dei dipendenti  pubblici . La legge di stabilità per l’anno 2017 intende, perciò, introdurre maggior flessibilità in uscita per quei soggetti che scelgono volontariamente il pensionamento in anticipo rispetto ai requisiti  previsti  dalla riforma Fornero.

I dipendenti  uomini e  donne della  pubblica  amministrazione,  in possesso  di un’età anagrafica pari o superiore ai 63 anni e che maturano entro i  prossimi 3 anni e 7 mesi il diritto a una pensione di vecchiaia d’importo non inferiore a un certo limite (ancora da stabilire), potranno accedere su base volontaria all’APE (anticipo pensionistico).

Si tratta, in  pratica, di un vero e proprio prestito che dovrà  essere chiesto ad un istituto bancario o altro ente  al  fine  di finanziarsi la pensione, fino al raggiungimento dei requisiti anagrafici per l’assegno  di quiescenza di vecchiaia.

Risulta anche chiaro che l’APE ed il suo conseguente costo variano in  riferimento alla  tipologia  di dipendente . Nella proposta  di  legge si  prefigurano  tre diverse situazioni:

 

  • APE volontaria  per coloro che optano  volontariamente per il  trattamento pensionistico  anticipato: in questo caso l’intero  costo dell’operazione è a carico del  dipendente che chiede il prestito e che è  obbligato a sottoscrivere un’assicurazione contro il rischio di premorienza con una compagnia assicuratrice. La restituzione del prestito (comprensiva degli interessi bancari e degli oneri relativi alla polizza assicurativa) avviene a partire dalla data del  pensionamento ( vecchiaia  a  66  anni  e  7  mesi fino  al  31.12.2018)  con rate di rimborso costanti per una durata di 20 anni. In caso di decesso del soggetto che ha avuto accesso all’APE, il capitale residuo sarà rimborsato dall’assicurazione con la quale è stata stipulata la polizza contro il rischio premorienza e conseguentemente non avrà alcuna ripercussione sull'eventuale pensione di reversibilità o sugli eredi.
  • APE agevolata  per coloro che sono disoccupati, esodati, che svolgono un lavoro particolarmente gravoso oppure presentano particolari condizioni di salute. Ricorrendo  queste  ipotesi, la norma prevede  bonus fiscali aggiuntivi o  trasferimenti monetari diretti, atti a garantire che il costo del reddito ponte erogato dalla banca sia totalmente a carico dello Stato.
  • APE per le imprese  che intendono fare una ristrutturazione aziendale e taglio del personale. In questo caso il datore di lavoro può sostenere i costi dell’APE attraverso un versamento all’INPS di una contribuzione correlata alla retribuzione percepita prima della cessazione del rapporto di lavoro, in modo da produrre un aumento della pensione che vada a compensare gli oneri relativi alla concessione dell’APE. A questo si aggiunge l’impegno del Governo a definire interventi di agevolazione fiscale per favorire quote di contribuzione aggiuntiva non ordinaria da parte del datore di lavoro alla previdenza complementare, al fine di potenziare la rendita temporanea erogata dalla previdenza complementare o la pensione integrativa per compensare gli oneri dell’APE.

 

RITA .   Acronimo di   Rendita integrativa temporanea anticipata “

Si prevede, altresì, di introdurre delle modifiche al sistema delle pensioni per adeguare le prestazioni della previdenza complementare alla flessibilità per l’uscita dal mercato del lavoro. Da  questo punto di vista la legge offrirà la possibilità al dipendente che ha maturato e che ha versato contributi in un fondo integrativo, di attingere da questo “fondo “, prima di  aver raggiunto i requisiti per la pensione, in  modo  tale  di  avere una rendita temporanea in attesa dell’età di pensionamento. In questa ipotesi, ci sarà un trattamento fiscale più agevolato, considerato che si procederà all’applicazione di una tassazione inferiore a quella attualmente prevista per le anticipazioni.

Pensione per lavoratori precoci

Il Governo e le parti sociali i hanno sottoscritto l’obiettivo comune di “favorire le carriere lavorative lunghe e iniziate in età molto giovane dai cosiddetti lavoratori precoci” (tutti quei soggetti   cioè caratterizzati dalla particolarità di contare su 12 mesi di contributi legati a lavoro effettivo, anche se non continuativo, prima del compimento del diciannovesimo anno d’età). In particolare, l’intervento allo studio prevede di eliminare le penalizzazioni sulla pensione in caso di pensionamento anticipato prima di 62 anni d’età; consentire l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi per disoccupati senza ammortizzatori sociali, con disabilità e lavoratori occupati in alcune attività particolarmente gravose.

Pensione per lavori  usuranti

Scivolo verso la pensione anche per coloro che svolgono lavori considerati usuranti.  Si  intende consentire l’anticipo del pensionamento di 12 o 18 mesi (in concreto, eliminazione  della  “finestra” ) rispetto ai requisiti richiesti dalla riforma delle pensioni “Fornero” per coloro che hanno svolto una o più attività lavorative usuranti per almeno sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa oppure per un numero di anni almeno pari alla metà dell’intera vita lavorativa. Inoltre si pensa di eliminare l’adeguamento dei requisiti alla speranza di vita a decorrere dal 2019 e di “valutare la fattibilità amministrativa di semplificazioni relative alla documentazione necessaria per la certificazione del diritto di accesso al beneficio”.

Ricongiungimenti contributivi

Altra importante novità riguarda i ricongiungimenti contributivi: la legge di stabilità dovrebbe dare la possibilità di cumulare tutti i contributi previdenziali maturati in gestioni pensionistiche diverse, compresi i periodi di riscatto della laurea, ai fini della maturazione del diritto sia della pensione di vecchiaia sia della pensione anticipata. Questa opzione potrà essere esercitata senza oneri da tutti gli iscritti presso due o più forme di assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti, autonomi e degli iscritti alla gestione separata e alle forme sostitutive. Il ricongiungimento contributivo può tagliare i tempi necessari ad avere accesso alla pensione senza costi aggiuntivi da parte del lavoratore.

E’ stato “sbandierato”  che il prestito previdenziale potrà al massimo innalzarsi fino al 15% del valore della pensione. Un dato, comunque, appare certo: le prime stime e simulazioni dell’APE, con tre anni di anticipo della pensione rispetto al requisito dei 66 anni e 7 mesi (previsto fino al  31.12.2018)  , porterà sicuramente via una fetta ben più consistente della pensione. Secondo la Uil si potrà  anche toccare  la vetta del 20% dell’assegno. Inoltre (fattore  non  meno  importante  !!), non  deve  affatto sfuggire  la  considerazione  che tre anni in meno di contributi (al momento del calcolo  al  compimento  dei  66 anni  e  7  mesi ) ridurranno di fatto l’importo della  misura  delle trattamento  di  quiescenza all’incirca dell’8%. Di converso, però, va anche  sottolineato che le simulazioni fino ad  oggi  operate non tengono conto delle detrazioni fiscali promesse dal governo

Tre  ipotesi

Allo stato attuale  e  sulla  scorta  delle  notizie  trapelate , però, i calcoli lordi disegnano uno scenario alquanto oneroso per coloro che accederanno all’istituto dell’APE. Ipotizzando, ad  esempio,  un tasso di interesse fisso del 3%, un dipendente che a regime dovrebbe percepire un assegno pari a 800 euro (un lavoratore autonomo), se dovesse anticipare la pensione di tre anni rispetto ai 66 anni e 7 mesi dell’assegno di vecchiaia percepirebbe 31.200 euro di Ape, su cui verrebbero poi applicati circa 10 mila euro di interessi. Conseguentemente, per restituire questo prestito, come prevede il meccanismo che il governo sta studiando e vagliando, nei 20 anni previsti dal piano di ammortamento, dovrebbe versare 159 euro al mese per 13 mesi. E di conseguenza l’assegno Inps anziché di 800 sarebbe di 641 euro al mese (-17,7% sul lordo).  

Un operaio che invece ha maturato una pensione di circa mille euro netti al mese, attraverso l’Ape in tre anni riceverebbe 39.000 euro di anticipo, su cui verrebbero poi applicati circa 12 mila euro di interessi. La rata mensile da restituire all’Inps nel corso dei vent’anni, in questo caso, sarebbe pari a 199 euro al mese. Per cui alla fine l’assegno Inps si fermerebbe a 800 euro.  

Identica considerazione va  fatta per  un dipendente   pubblico che ha diritto ad una pensione di 2.500 euro netti al mese. In questo caso tre anni di anticipo corrispondono a 97.500 euro, più 32 mila euro di interessi. Per cui la rata da rimborsare sarebbe pari a 499,1 euro al mese sempre per 13 mesi. Anche in questo caso l’onere dell’Ape si attesta attorno al 20% dell’assegno netto (13,9% del lordo). Con un anticipo limitato ad un solo anno, invece, la rata sarebbe pari a 53,24 euro al mese per una pensione di 800 euro, a 66,55 per chi arriva a mille euro e a 166,37 euro per chi sta a 2.500.  

Prima incognita :  le “detrazioni”

Secondo le organizzazioni sindacali si tratta di importi molto alti.  Bisogna, però, ragionare almeno su due variabili.

* Da un lato, infatti, è  anche  pur  veroche lo stesso dipendente può scegliere, sulla  scorta  delle  proprie esigenze, di chiedere all’Inps un’Ape ridotta, rispetto alla pensione piena cui avrebbe diritto. Per cui si può ipotizzare che l’operaio si possa accontentare di 800 euro al mese e che in  conseguenza  di ciò il rimborso scenderebbe a 160 euro al  mese, facendo risalire la pensione residua da 800 a 840 euro. L’impiegato, a sua volta, se si accontentasse di 2.000 euro anziché di 2.500, limiterebbe la rata del rimborso a 400 euro al mese circa e vedrebbe così risalire il mensile residuo erogato dall’Inps da 2000 a 2100 euro.

L’altra variabile è legata alle detrazioni fiscali attraverso le quali il governo punta ad alleggerire in maniera differenziata l’onere del debito. Ipotizzando di dimezzare il tasso di interesse applicato all’Ape portandolo dal 3% all’1,5%, il pensionato a 1.000  euro risparmierebbe circa 8.000 euro di interessi e pagherebbe un rimborso mensile di 175 euro. L’impiegato, nel caso ottenesse gli stessi sgravi dell’operaio (ma è solamente una ipotesi), avrebbe invece 70 euro in più. 

Seconda  incognita : chi si  accolla  la  polizza ? 

Un altro punto non chiarito riguarda i costi dell’assicurazione che metterà al riparo gli eredi nel caso il pensionato muoia prima di aver restituito tutta l’Ape. I sindacati si aspettano che lo paghi lo Stato, ma per ora il governo non si è pronunciato. 

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