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Il nuovo cumulo e le sorprese dell’INPS

a cura di Villiam Zanoni

Già un mese fa ci siamo occupati delle modifiche operate dalla legge di bilancio 2017 al regime del cumulo dei periodi assicurativi introdotto a suo tempo dalla legge di stabilità del 2013. Tutte le sottolineature e le riflessioni esplicitate in quella nota rimangono confermate anche oggi quando la novità più rilevante è rappresenta dalla emanazione da parte dell’INPS della circolare n° 60 del 16 marzo 2017. Tuttavia, a rischio di diventare pedante e di dare l’impressione di gestire una battaglia personale contro l’uso e l’efficacia delle “circolari” nel nostro paese, non posso esimermi ancora una volta dal sottolineare come l’INPS, con l’avvallo del Ministero del lavoro, abbia per l’ennesima volta diramato delle interpretazioni che non trovano riscontro in una lettura letterale e sistematica del testo di legge.

Sull’impianto complessivo non vi è nulla da obiettare, anche se dietro affermazioni di tipo generico mancano poi indicazioni più stringenti.

Ovviamente nelle premesse si sottolinea come le interpretazioni fornite riguardino unicamente il regime generale dell’INPS, le gestioni autonome, la gestione separata e le gestioni sostitutive ed esclusive del regime generale, con tutte le riserve del caso in merito alle Casse professionali.

In questi giorni, infatti, sono in corso approfondimenti fra il Ministero del lavoro e l’associazione delle Casse Professionali (ADEPP) al fine di definire le modalità e le condizioni attraverso le quali coinvolgere nel cumulo le Casse Professionali per le quali oggettivamente le novità della legge di bilancio 2017 costituiscono un onere non preventivato con qualche rischio di eccessiva incidenza sulla sostenibilità dei conti delle Casse.

C’è poi il riferimento più generale ad un principio, più volte richiamato, secondo il quale sarebbero cumulabili unicamente i “periodi non coincidenti”, senza tuttavia ricordare una serie di pareri a suo tempo emanati secondo i quali il principio della non coincidenza diventerebbe rilevante ai fini del diritto alle prestazioni, mentre ai fini della determinazione della misura non dovrebbero sorgere particolari problemi.

Se da un lato, infatti, il cumulo deve coinvolgere tutte le contribuzioni di cui un soggetto è titolare, e dall’altro ci troviamo alcuni periodi che siano totalmente coincidenti con altri, rimane incerto il percorso che il lavoratore può compiere e chi,se non l’INPS, deve chiarire tale problematica.

C’è poi un altro aspetto che nella circolare si da per scontato ma che in passato non ha avuto identico trattamento.

Sia a proposito della pensione di vecchiaia che a proposito della pensione anticipata, infatti, si precisa che le nuove disposizioni sono in vigore dal 1° gennaio 2017 e che di conseguenza le pensioni possono essere liquidate solo con una decorrenza successiva.

L’affermazione però che sulla base di tale principio la prima decorrenza utile sarebbe quella del 1° febbraio 2017, appare ancora una volta abbastanza pressappochistica posto che per gli iscritti ai fondi esclusivi vige un principio un tantino diverso relativo al fatto che la decorrenza può essere anche inframensile, e cioè dal giorno successivo la cessazione dal servizio, ovviamente a fronte del fatto che tutti i requisiti siano perfezionati.

L’alternativa è che si dia per scontato che, poiché a liquidare la pensione in regime di cumulo sarà comunque l’INPS, la regola trasversale diventi quella della decorrenza della pensione dal primo giorno del mese successivo a quello di perfezionamento dei requisiti.

All’interno di questo pressapochismo c’è poi un particolare che lascia abbastanza perplessi di fronte alla novità più rilevante del nuovo cumulo rappresentata dalla possibilità di accedere alla pensione anticipata, in merito alla quale restano poco chiari i requisiti contributivi necessari.

Da un lato, infatti, già con la circolare n° 35/2012 fu chiarito che prima ancora di far valere il requisito contributivo allora previsto dei 42 anni e 1 mese per gli uomini o dei 41 anni e 1 mese per le donne, era necessario far valere quello dei 35 anni senza la contribuzione figurativa per disoccupazione o malattia, ma prima ancora, a proposito del diritto a pensione di anzianità in regime di totalizzazione, era necessario che tale ultimo criterio caratterizzasse tutti 40 anni allora richiesti.

Alla luce di tali precedenti è del tutto legittimo porsi nuovamente l’interrogativo relativo alla qualità della contribuzione necessaria, soprattutto per quei lavoratori che in regime INPS fossero titolati di consistenti periodi di contribuzione figurativa del tipo di quella sopra citata.

Il punto più sorprendente della circolare è però relativo alla possibilità di recedere della ricongiunzione che fosse ancora in corso di pagamento.

In questo caso assistiamo ad una palese forzatura della norma nel momento in cui si afferma che il recesso si applica “ai soli soggetti titolari di più periodi assicurativi che hanno perfezionato i requisiti prescritti dall’articolo 1, comma 239, della legge n. 228 del 2012 entro il 1° gennaio 2017.

Tale interpretazione appare del tutto arbitraria poiché in verità la norma così dispone: “Per i casi di esercizio della facoltà di ricongiunzione di cui agli articoli 1 e 2 della legge 7 febbraio 1979, n. 29, da parte dei soggetti, titolari di più periodi assicurativi che consentono l'accesso al trattamento pensionistico a seguito di quanto previsto all'articolo 1, comma 239, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, per effetto delle modifiche introdotte dal comma 195 del presente articolo, sono consentiti, su richiesta degli interessati, il recesso e la restituzione di quanto già versato, solo nei casi in cui non si sia perfezionato il pagamento integrale dell'importo dovuto.   Il recesso di cui al presente comma non può, comunque, essere esercitato oltre il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

La norma, infatti, al di là di porre il termine annuale entro il quale esercitare il recesso, non pone affatto la condizione indicata dall’INPS (e dal Ministero del lavoro) e soprattutto non pone alcun termine entro il quale perfezionare il requisito pensionistico.

Appare fra l’altro enormemente sperequante una interpretazione tale per cui chi ha già perfezionato entro il 31.12.2016 i requisiti per il diritto a pensione con il cumulo potrebbe recedere dalla ricongiunzione, mentre chi lo avesse perfezionato successivamente a tale data deve portare a compimento il pagamento della ricongiunzione stessa.

A tale proposito va segnalato che sia nella relazione illustrativa, sia nella relazione tecnica, la illustrazione di tale problematica appare abbastanza confusa, tant’è che il servizio Bilancio della Camera aveva manifestato la necessità che il Governo esplicitasse in dettaglio le proprie intenzioni, cosa poi non avvenuta.

Tuttavia, anche ammettendo di condividere l’impianto interpretativo dell’INPS, anche coloro che rientrassero nella stretta cerchia di chi può far valere le condizioni suesposte debbono poi fare i conti con un altro “luogo comune” utilizzato da chi ha redatto la circolare in proposito alla metodologia con cui manifestare l’intenzione di praticare il recesso.

La circolare, infatti, ad un certo punto afferma che “Il recesso in argomento può essere manifestato sia in forma esplicita, presentando apposita istanza in tal senso, sia attraverso il semplice comportamento omissivo nel pagamento delle rate di onere (interruzione dei pagamenti)”.

Ci si dimentica, infatti, di quanta differenza esistesse fra INPS e INPDAP nella gestione delle pratiche di ricongiunzione e nell’applicare le indicazioni comuni fornite a suo tempo dal Ministero del lavoro (circolare n° 77 del 20 ottobre 1979) in ordine alla applicazione della legge n° 29/1979.

Il Ministero, infatti, pur affermando che la ricongiunzione, una volta accettata da parte del proponente la domanda, è un “negozio bilaterale irrevocabile”, sottolineò anche che il soggetto in quel contesto assumeva una obbligazione con la quale si impegnava a pagare ratealmente l’onere conseguente, ma laddove non avesse rispettato l’obbligazione e non avesse effettuato il pagamento delle rate avrebbe provocato la decadenza della ricongiunzione con la conseguenza del suo annullamento e della restituzione delle rate già versate.

Ebbene, tale percorso fu sempre agevolmente accettato dall’INPS nell’ambito del regime generale, ma al contrario non fu mai accettato dall’INPDAP che addirittura imponeva al datore di lavoro pubblico di effettuare le ritenute corrispondenti.

Di tutto questo ce ne siamo dimenticati, oppure si da per scontato che in questa occasione si approfitta del contesto per allineare le interpretazioni? Se è così non sarebbe male evidenziarlo.

Ma se è così ha ancora meno senso la interpretazione restrittiva dell’istituto che vorrebbe consentire il recesso solo a coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione già al 1° gennaio 2017, poiché in futuro basterebbe smettere di pagare le rate per provocare lo stesso effetto.

Fra le cose negative e le tante confuse c’è poi infine un aspetto positivo a proposito dei tempi di liquidazione del TFS/TFR per coloro che accedono a pensione anticipata mediante il cumulo.

Prima di commentare tale punto vale la pena ricordare quanto prevedono le disposizioni di cui ai commi 2 e 5 dell’articolo 3 del D.L. n° 78/1997, convertito in legge n° 140/1997, e successive modificazioni, a proposito dei tempi di liquidazione:

2. Alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, per i dipendenti di cui al comma 1, loro superstiti o aventi causa, che ne hanno titolo, l'ente erogatore provvede decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi diritto l'ente provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi.

5. Le disposizioni di cui al presente articolo non trovano applicazione nei casi di cessazione dal servizio per inabilità derivante o meno da causa di servizio, nonché per decesso del dipendente. Nei predetti casi l'amministrazione competente è tenuta a trasmettere, entro quindici giorni dalla cessazione dal servizio, la necessaria documentazione all'ente previdenziale che dovrà corrispondere il trattamento di fine servizio nei tre mesi successivi alla ricezione della documentazione medesima, decorsi i quali sono dovuti gli interessi.”

Ebbene, poiché le nuove disposizioni di cui al comma 196 dell’articolo 1 della legge n° 232/2016 prevedono che “per i lavoratori … che si avvalgono della facoltà di cui all’articolo 1, comma 239, della legge 24 dicembre 2012, n° 228, come modificato dal comma 195 del presente articolo, i termini di pagamento delle indennità di fine servizio comunque denominate … iniziano a decorrere al compimento dell’età di cui all’articolo 24, comma 6, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n° 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n° 214, tutti si aspettavano che una volta che il lavoratore si fosse dimesso per accedere a pensione anticipata mediante il cumulo, questo avrebbe dovuto attendere 24 mesi dal compimento dell’età pensionabile per poter riscuotere il TFS7TFR.

Le disposizioni sopra citate, infatti, nel definire le tempistiche di liquidazione del TFS/TFR prendono a riferimento assoluto la motivazione di risoluzione del rapporto di lavoro: inabilità o morte = 15 giorni più 90 giorni, limiti di età o di servizio (leggasi risoluzione unilaterale) = 12 mesi + 90 giorni, dimissioni volontarie = 24 mesi + 90 giorni.

Essendo scontato che per accedere a pensione anticipata il lavoratore deve dimettersi, l’ultimo percorso era quindi quello ipotizzato, ma a partire dall’età pensionabile.

In questo caso, invece, con la circolare dell’INPS assistiamo ad una sorta di “mutazione genetica” della causale di cessazione che in origine è a fronte di dimissioni volontarie, ma poiché deve attendere il dies a quo del compimento dell’età, tutto viene considerato come se il lavoratore fosse cessato per raggiunti limiti di età e quindi da quel momento attenderà “solo” ulteriori 12 mesi + 90 giorni per ottenere l’agognata liquidazione del TFS/TFR.

Prendiamo per buono tutto quello che è positivo, ma resta l’assurdità legata al fatto che ancora una volta l’interprete si sostituisce al legislatore.

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