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La risoluzione unilaterale del  rapporto  di  lavoro  “coatta” (o  d’ufficio)

a cura di Francesco Disano

Il decreto legge 06.12.2011, n. 201, convertito  nella legge  22.12.2011, n. 214  ( c.d. “Legge Monti -Fornero)  e  il quello successivo sulla Pubblica Amministrazione  del  24.06.2014, n. 90, convertito dalla   legge  11.082014 , n. 114, hanno radicalmente  e profondamente mutato le norme riguardanti  la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nell’ambito delle  pubbliche amministrazioni. I due provvedimenti  legislativi sono finalizzati a  limitare la possibilità del proseguimento del  rapporto di lavoro successivamente al  compimento dell'età pensionabile per i dipendenti  del pubblico impiego.

Il tutto  si  concretizza in  due  direzioni :

  • da un lato con l’abolizione  del  trattenimento in servizio,  che consentiva la permanenza nell’attività lavorativa per un altro biennio successivamente al superamento dell’età  per il pensionamento di vecchiaia ( art. 6, comma 1, decreto legislativo 30.12.1992, n.503, modificato, in seguito, dall’art.72, comma 7, decreto legge 25.06.2008, n. 112,  convertito  nella legge 06.08.2008, n. 133 );
  • dall'altro rendendo “ strutturale e permanente “  la facoltà di procedere alla  risoluzione  unilaterale del rapporto di lavoro nei confronti di coloro che hanno maturato la massima anzianità contributiva ( oggi e  fino  al 31.12.2018   prevista  in 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne), esplicitando, ancora ed  ulteriormente, che il limite ordinamentale per la permanenza in servizio (65 anni nella stragrande maggioranza delle pubbliche amministrazioni) possa essere superato solamente  per consentire al dipendente il perfezionamento, e, quindi l’acquisizione, del diritto ad un trattamento di quiescenza .

Una prima  lettura  dell’impianto  legislativo, apparirebbe in palese contrasto con la stessa legge Fornero che prevede l’incentivazione  alla prosecuzione del rapporto lavorativo oltre il compimento dell'età pensionabile e cioè  fino all’età  di  70  anni , al fine di  permettere al  dipendente  la possibilità  di  conseguire   un trattamento  di  quiescenza più  sostanzioso . 

La  Funzione Pubblica, di  concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, però, aveva, a suo tempo, emanato la circolare n. 2 del 19 febbraio 2015  riguardante la  "soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro “. L’intervento legislativo mirava a sopprimere l’istituto del trattenimento  in servizio e  a modificare anche l’altro istituto inerente la  risoluzione  unilaterale  del rapporto di  lavoro, con  il  precipuo scopo di rendere  più  snello  e  agevole il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni.  La  circolare, inoltre, si  poneva  l’obiettivo  di  fornite  le  linee interpretative  relativamente all'art. 1 del decreto legge n. 90 del 24.06.2014, convertito, come  detto,  nella legge  11.08.2014  n. 114 .

Il nuovo sistema prevede la risoluzione del rapporto di lavoro che può manifestarsi  in due modalità :

> Obbligatoria per coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia , oppure che  hanno  perfezionato il diritto  alla pensione anticipata, avendo, altresì,  raggiunto l'età  limite  ordinamentale. Va ricordato, a questo proposito, che il limite ordinamentale per la permanenza in servizio, previsto a  65 anni,  è fissato, in via generale, dall’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 29.12.1973, n. 1092, per i  dipendenti statali   e  dall’art. 12  della  legge 20.03.1975, n.70 per  i dipendenti  degli  enti pubblici. Tale limite non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia dall’articolo 24, comma 6, del decreto-legge n. 201 del 2011, così come precisato dall’art. 2 , comma 5, del decreto legge 31.08.2013, n. 101, convertito  nella  legge 30.10.2013, n. 125, che  ha, come noto, fornito l’interpretazione  autentica dell’art. 24, comma 4, secondo periodo, del  decreto  legge n. 201/2011;

> Facoltativain  quanto rimessa alla determinazione dell'Ente datore di lavoro, per coloro che hanno maturato il diritto alla pensione anticipata sulla  scorta dei requisiti previsti dall'art. 24, commi 10 e 12 del decreto legge  06.12.2011 n. 201, convertito in legge  22.12.2011 n. 214, aggiornati con l'adeguamento alla speranza di vita ;

Presupposto  per  la  risoluzione  unilaterale  è, perciò,  il  possesso   del  requisito  contributivo   richiesto dalla  normativa vigente (  legge  n. 214/2011 e   successive  modifiche  ed  integrazioni)  per  il conseguimento  della  pensione  anticipata  che , relativamente  all’anno  2017,  è  prevista in 42  anni  e  10  mesi  per  gli  uomini  e  41  anni  e  10  mesi  per  le  donne .  La  circolare, ancora  una  volta,   ribadisce  che coloro che  hanno maturato  il  requisito  per l’accesso  alla quiescenza  entro  il  31.12.2011, rimangono  soggetti  al  regime di  accesso al pensionamento  antecedente  la  legge  Fornero.   Nei  loro  confronti, perciò,   l’Ente  potrà legittimamente  esercitare  il recesso  al  raggiungimento  del  65° anno  di  età .

Viene, altresì, esplicitato  che, in  tutti  i  casi, la  eventuale  decisione di  risolvere  il rapporto  di lavoro  deve  essere  motivata  con particolare  riferimento alle  esigenze  organizzative dell’amministrazione.  

Sono previste, poi,  "Le ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro" che  fanno  riferimento specificatamente ai casi in cui il dipendente non abbia maturato alcun diritto alla pensione  al termine dell’età  limite  ordinamentale   oppure  al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. Ricorrendo  questa casistica, l'ente  datore  di  lavoro deve proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente oltre il raggiungimento del limite  "per permettergli di maturare i requisiti minimi previsti per l’accesso a pensione non oltre il raggiungimento dei 70 anni di età (limite al quale si applica l'adeguamento alla speranza di vita)".

In alcuni casi,  perciò,  l’Amministrazione  non  deve procedere  alla risoluzione del rapporto  di  lavoro   ma, di converso, è obbligata a  tenerlo in  vita;  tale  prosecuzione, tuttavia,  non  costituisce  un  indebito trattenimento  che viola la  norma  di legge .

Il caso più ricorrente si manifesta quando, al  compimento del  requisito  anagrafico per  la  pensione  di  vecchiaia,  il dipendente   non  è  nelle condizioni   di poter  maturare  alcun  diritto  alla  quiescenza,  poiché non  può  di far valere  una  anzianità minima  contributiva complessiva  pari  ad  almeno  20  anni , da intendersi quale  “sommatoria” di tutti  i contributi versati e  giacenti  in  tutte  le  casse  previdenziali.

In simili casi  è  la  giurisprudenza costituzionale  ( sentenze  n. 282  del  1991  e  n. 33  del  2013)  ad  imporre   alle  amministrazioni  la  prosecuzione  del  rapporto  lavorativo  con il  dipendente  oltre  il  raggiungimento  del  limite ;  ciò  al  fine  di  consentire  allo  stesso  di poter  maturare  i  requisiti minimi  previsti  per  l’accesso  alla  pensione  non  oltre  il  70°  anno  di  età  ( limite  al  quale,  come detto,  si applica  l’adeguamento  alla  speranza   di  vita ).

Gli esempi sotto  elencati  possono  costituire  maggior  chiarimento :

1) dipendente  con 18  anni  di contributi  all’ex Inpdap   e  nessun contributo in nessuna  delle altre  casse  previdenziali, va  mantenuto  in servizio  per altri  due  anni ;

2) dipendente  con 18  anni  di contributi  all’ex Inpdap   e  3  alla Gestione  Inps-Ago sarà  oggetto  di  risoluzione  unilaterale del  rapporto  di  lavoro, poiché potrà cumulare una contribuzione  complessiva  pari  a  21 che  gli  darà  diritto ad  una  pensione  con  il  cumulo ;

3) dipendente con 13 anni  di contributi  all’ex Inpdap   e  nessun contributo in  altre  casse  previdenziali, sarà, parimenti,  oggetto  di  risoluzione  unilaterale del  rapporto  di  lavoro, per  la  semplice  ragione  che, pur  mantenendolo  in  servizio  fino a 70  anni  più  l’aspettativa  di  vita,  non  potrà  mai  raggiungere  i  20  anni  di contribuzione  (66 anni   e  7  mesi  di età  più  i  7  anni  che   mancano a  20 anni  sommano  73 anni   e  7  mesi  di età  anagrafica ) ;

4) dipendente  che alla data  del  31.10.2017   raggiunge  l’età anagrafica  di  66 anni  +  7  mesi  ma  che  cumula complessivamente  solo  14  anni  di  contributi ;  l’ente  di appartenenza dovrà procedere alla  risoluzione del  rapporto lavorativo  poiché ,  anche  se lo mantenesse  in servizio  fino  all’età anagrafica  di  70  anni  più  l’adeguamento alla  speranza  di  vita,  il  medesimo  non  riuscirebbe , in  ogni  caso,  a  maturare  i  20  anni  di  contribuzione  ( 66 anni  +  7  mesi   +   6 anni  necessari  ai  20  anni  contributivi  =   72 anni  + 7  mesi di età  anagrafica ).

Ai  fini  dell’accertamento  circa  la  sussistenza  del  requisito  contributivo minimo  per il  diritto  all’assegno  pensionistico  ( 20  anni )  e  quindi alla  possibilità  o  meno  della  risoluzione  del  rapporto  di lavoro, è  necessario, perciò,  in prossimità  del  compimento dell’età anagrafica  per  la  vecchiaia,  che  siano  considerati  il  rapporto esistente in  atto  presso  l’amministrazione  di appartenenza e  gli  eventuali   rapporti  di  lavoro intrattenuti  presso altri  enti,  a  cui  corrispondono  contributi versati  presso  le  diverse  gestioni  previdenziali ( casse  pensionistiche ).  Se  il  totale  dei 20  anni  si  matura  attraverso  la  sommatoria  delle  anzianità  contributive  relative  alle  diverse  gestioni  previdenziali,  il  dipendente  avrà  la  possibilità  di  accedere  all’istituto gratuito  della totalizzazione   prevista dal decreto  legislativo 02.02.2006, n. 42   o  a  quello  del  cumulo  contributivo   previsto e  novellato  dalla  legge  di  stabilità  per  l’anno  2017, che  gli  permetterà di conseguire  il requisito  contributivo minimo .  Quindi, si procederà alla risoluzione  del  rapporto  di  lavoro  anche se non raggiungerà il requisito minimo dei 20 anni  nell’ente  attuale  di appartenenza ma  li  raggiungerà sommando  anche  quelli  giacenti  presso  altre  gestioni  previdenziali, 

In merito all’istituto  della  totalizzazione,  giova  ricordare  che, ai  fini  del  collocamento  a  riposo,  è  necessario  tenere  conto  del  regime  delle  decorrenze (c.d. finestre ),  ragion  per  cui  il rapporto  di  lavoro  dovrà  protrarsi  sino  alla maturazione della  decorrenza  della  pensione  onde  evitare  l’interruzione  tra  trattamento  retributivo e  trattamento  pensionistico .  E’  utile precisare, altresì,  che per  i dipendenti  privi  di  anzianità  contributiva  prima  del 1° gennaio 1996  la  risoluzione  del  rapporto   potrà   essere  attivata  solamente   se l’importo  della  pensione  risulterà essere  superiore alla soglia  di 1,5 volte l’assegno  sociale  annualmente rivalutato, così  come  previsto dal comma  7, dell’art. 24,  della  n. 214/2011.

Nell’ipotesi  in  cui, invece,  pur  considerando tutti  gli  spezzoni  contributivi  distribuiti  nelle varie gestioni  previdenziali,  il dipendente  non  raggiungerà il  minimo  di anzianità contributiva, entro  il raggiungimento  dell’età anagrafica  per  la  pensione di vecchiaia  prevista dal  comma  6,  dell’art. 24  della  legge n . 214/2011,  è  necessario  valutare  se la  prosecuzione del  rapporto di lavoro fino  al  compimento  dei  70  anni  di età ( oltre  all’adeguamento  alla  speranza  di vita )  consentirà il  conseguimento  del  requisito  contributivo.  Nel caso di  valutazione  positiva,  il  rapporto  dovrà  proseguire . In  caso  contrario, si  dovrà  procedere  alla  risoluzione  unilaterale .

Riguardo, poi, alla  risoluzione  facoltativa, l'articolo 1, comma 5 del decreto legge n.90/2014 consente, inoltre, alle amministrazioni pubbliche di anticipare ulteriormente la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro rispetto ai limiti ordinamentali qualora ciò risponda a specifiche esigenze interne dell'ente pubblico. In tal caso la risoluzione deve essere motivata al destinatario con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta adottati e può essere esercitata solo nei confronti dei lavoratori che abbiano raggiunto la massima anzianità contributiva ( fino al 31.12.2018, come  in  precedenza chiarito,  42 anni e 10 mesi di contributi se uomini, 41 anni e 10 mesi se donne) Prima di agire l'amministrazione dovrà dare un preavviso di sei mesi al dipendente. 

Quindi, nei confronti di un  dipendente  che  al  31.12.2011  non  aveva maturato  il  diritto  alla  pensione,  ma che il 30.09.2017, ad una  età  di  63 anni, perfezionerà  i  42 anni e 10  mesi  di contributi , l’Amministrazione  datrice  di lavoro ha  la  facoltà, motivando il  provvedimento in riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta adottati, di procedere alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro rispetto ai limiti ordinamentali

La facoltà in parola è tuttavia preclusa nei confronti dei dirigenti medici responsabili di struttura complessa (i primari), i magistrati, il personale difesa e soccorso pubblico e i professori universitari. Nei confronti dei dirigenti medici (non primari) la risoluzione non può essere attivata comunque prima dei 65 anni.

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Per i dipendenti del settore privato l'incentivazione alla permanenza sul posto di lavoro, oltre l'età pensionabile di vecchiaia, sino al 70° anno, è rimessa sostanzialmente alla volontà delle parti, datore di lavoro e prestatore dato che recentemente la Corte di Cassazione ha svuotato il portato precettivo della Legge Fornero.

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