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La richiesta di accesso civico generalizzato dell’offerta dell’aggiudicatario (e del contratto stipulato) è ammissibile? 

di Stefano Usai

Secondo il Tar Emilia Romagna, Parma, sez. I, sentenza del 18 luglio 2018 n. 197 l’accesso civico “generalizzato” – che ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 33/2013 ammette l’accesso agli atti detenuti dalla  pubblica amministrazione (con limitate ipotesi di esclusione) -  non si applica agli atti dell’aggiudicatario dell’appalto. In particolare, specifica l’attento estensore, l’accesso agli atti di gara – così come nel pregresso regime giuridico – risulta disciplinato da un regime “speciale” che rinvia (e deroga) in certi casi alle norme previste dalla legge 241/90.

In quanto tale, si legge in sentenza, il sistema normativo appena delineato compendia un  “complesso normativo chiuso, (…) espressione di precise direttive europee volte alla massima tutela del principio di concorrenza e trasparenza negli affidamenti pubblici, che dunque attrae a sé anche la regolamentazione dell’accesso agli atti connessi alle specifiche procedure espletate”.

L’analisi

La vicenda trae spunto dalla richiesta di un appaltatore – escluso dal procedimento di gara  - che si determina alla richiesta di “accesso civico generalizzato” agli atti dell’aggiudicatario compreso il contratto e “i documenti attestanti i singoli interventi, i preventivi dettagliati degli stessi, l’accettazione dei preventivi, i collaudi ed i pagamenti con la relativa documentazione fiscale dettagliata”.

La stazione appaltante non ammette l’ostensione con conseguente ricorso dell’interessato.

A differenza di quanto si può ordinariamente ritenere, vista la latitudine dell’accesso civico generalizzato quale “grimaldello” in grado di consentire un più compiuto controllo  sull’attività contrattuale della pubblica amministrazione (pur da parte di uno specifico appaltatore), il giudice conferma la posizione espressa dalla stazione appaltante.

Il giudice per chiarire la problematica prende in considerazione i riferimenti normativi. In primo  luogo l’art. 53 il quale  “reca una particolare disciplina per l’accesso agli atti afferenti alle procedure ad evidenza pubblica finalizzate alla stipulazione di appalti o concessioni di servizi”.

Ai sensi della norma predetta,  la prima regola stabilita è che, salvo quanto espressamente previsto nello stesso codice dei contratti pubblici, “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

In sostanza, dunque, l’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 riconduce espressamente la disciplina applicabile per tutti i documenti (di gara e di esecuzione del contratto) richiesti dal  ricorrente, alla disciplina ordinaria in materia di accesso.

In tale panorama – e con rilievo dirimente – si innesta il  comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 in cui si statuisce che “il diritto di cui all'articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.

Si tratta dei cosiddetti casi di “esclusione assoluta”, nei quali cioè l’amministrazione che detiene i documenti richiesti non conserva alcuna possibilità di comparazione discrezionale degli interessi coinvolti.

La questione

Secondo il giudice, l’aspetto principale che deve essere chiarito è se la disciplina “speciale” contenuta nell’articolo 53 del codice dei contratti (compreso il richiamo alle norme in tema di diritto di accesso ordinario della legge 241/90)  vada o meno qualificata come caso di esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3, art. 5-bis del decreto legislativo 33/2013.

Articolo, ultimo citato, che al primo e secondo comma innesta tassative ipotesi di esclusione dell’accesso civico generalizzato.

In particolare, l'accesso civico  generalizzato è rifiutato (è respinto dalla pubblica amministrazione)  se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:

a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico;

b) la sicurezza nazionale;

c) la difesa e le questioni militari;

d) le relazioni internazionali;

e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;

f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;

g) il regolare svolgimento di attività ispettive.

Non solo,   è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:

a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;

c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.

Secondo il collegio, la richiesta generalizzata ad atti dell’appaltatore e al contratto stipulato rientra tra le ipotesi di esclusione dalla nuova fattispecie. 

Da un punto di vista letterale, si legge in sentenza,  il comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 è cristallino nello stabilire che il diritto di accesso civico generalizzato “è escluso” nei casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti.

Sotto questo specifico profilo, “è altresì pacifico che l’accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica sia soggetto al rispetto di particolari condizioni e limiti. Invero, l’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, richiamando in toto la normativa contenuta nel codice dei contratti pubblici previgente, detta espressamente una disciplina sull’accesso in parte derogatoria rispetto alle ordinarie regole”.

In tale disciplina speciale deve essere ricompresa anche la premessa, secondo cui il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.

E’ presente, pertanto,  una precisa norma di legge che rimanda espressamente – derogandola parzialmente – alla disciplina dell’accesso ordinario.

Deve ritenersi, inoltre,  del tutto giustificata una scelta del legislatore volta a sottrarre anche solo implicitamente (ma, si è visto, si uniscono a tale interpretazione anche forti argomenti di natura testuale) una possibilità indiscriminata di accesso alla documentazione di gara e post-gara da parte di soggetti non qualificati.

Il controllo sugli atti della PA

Il fatto che tale ambito di attività sia sottratto all’accesso civico, sempre secondo il giudice, non comporta (o non dovrebbe comportare particolari conseguenze) considerato che si tratta di documentazione (della gara e del procedimento civilistico di esecuzione)  “ pur sempre di documentazione che, da un lato, subisce un forte e penetrante controllo pubblicistico da parte di soggetti istituzionalmente preposti alla specifica vigilanza di settore (ANAC), e, dall’altro, coinvolge interessi privati di natura economica e imprenditoriale di per sé sensibili (e quindi astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di cui al comma 2, lett. c), dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013), specie quando tali interessi, dopo l’aggiudicazione, vanno a porsi su di un piano pari ordinato – assumendo la connotazione di veri e propri diritti soggettivi - rispetto a quelli della stazione committente”.

Non si può escludere, conclude la sentenza, che in futuro il legislatore possa scegliere di ricondurre tale ambito di attività nello spazio applicativo dell’accesso civico generalizzato “ma tale scelta, proprio per la forte conflittualità degli interessi coinvolti e per la specialità del campo in cui andrebbe ad operare, deve essere necessariamente espressa ed inequivocabile”.

Al contrario, nell’attuale ordinamento, residua nel sistema dei contratti pubblici una norma – l’art. 53, comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016 – che restringe il campo di applicazione del diritto di accesso agli atti richiesti dal ricorrente alle norme sul diritto di accesso ordinario di cui alla L. n. 241/1990.

Non è dunque da ritenersi infondata né illegittimamente motivata, conclude il giudice,  la tesi esposta dall’amministrazione convenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui la richiesta non è stata ritenuta “rientrante nel diritto di accesso generalizzato”, qualora tale formula debba intendersi nel senso che sussiste, nel caso di specie, un caso di esclusione assoluta all’esercizio di tale diritto.

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