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L’obbligatorietà dell’azione disciplinare

Dott.ssa Patrizia Colagiovanni

Una importante differenza tra impiego privato e impiego pubblico è la possibilità di valutare se procedere disciplinarmente o meno.  

Come noto, infatti, la scelta datoriale di sanzionare o meno il dipendente privato, seppure da esercitarsi sempre nel rispetto del divieto di discriminazioni e della parità di trattamento, è discrezionale mentre per il dipendente pubblico è assolutamente obbligatoria.

Ciò viene motivato dal fatto che nell’ impiego privato la scelta è espressione di prerogative manageriali, quindi si basa essenzialmente su una valutazione costi-benefici nell’ ambito del rapporto definito all’art.2086 c.c. Diversamente nell’impiego presso la p.a., nonostante tutte le teorie che spingono ad utilizzare strumenti privatistici diretti al conseguimento dell’efficienza, l’azione disciplinare è obbligatoria, in virtù dei principi costituzionali di buon andamento della p.a. e di legittimità dell’azione amministrativa. In realtà da tempo è dibattuto il carattere discrezionale o obbligatorio dell’ azione disciplinare al punto che parte della dottrina aveva giustamente ritenuto che, a completamento dell’ applicazione del modello privatistico, anche per il pubblico impiego fosse coerente ricondurre tale valutazione nell’ alveo dell’ esercizio delle prerogative manageriali del privato datore di lavoro.

Invece l’art.55-sexies, comma 3 del D.lgs. n. 165 del 2001, stabilisce che il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, comporta la responsabilità disciplinare in capo all’inerte (o addirittura complice) dirigente. Va da sé, quindi, che tali principi non consentono alcuno spazio a valutazioni di opportunità nell’esercizio del potere disciplinare.

Inoltre nel limitare l’ utilizzo di tale potere da parte del dirigente pubblico la norma sembra voler precisare il perimetro della responsabilità del dirigente considerandolo “lavoratore” e non “datore di lavoro”. Pertanto la macchina amministrativa (dirigenti, strutture, procedimenti, ecc.) ha l’oneroso e doveroso compito di perseguire ogni comportamento possa configurarsi con un illecito disciplinare.

Ne discende che la mancata attivazione di procedimenti disciplinari, per “pace sociale”, per negligenza, o addirittura per dolo o il loro abbandono immotivato, può originare responsabilità disciplinari, amministrativo-contabili, dirigenziali (ex art.21 del d.lgs. n.165 del 2001) e penali in capo all’inerte.

A tale obbligatorietà del promovimento dell’azione disciplinare da parte degli organi competenti, va richiamato il concorrente obbligo di segnalazione di fatti di possibile valenza disciplinare ai suddetti organi da parte dei dirigenti dell’ufficio ove opera il dipendente autore dell’illecito. Infatti senza tale momento conoscitivo-propulsivo l’azione disciplinare non ha inizio per carenza di notizia del fatto. Tale obbligo di segnalazione, già logicamente desumibile dal sistema, è stato testualmente ribadito per i dirigenti pubblici privatizzati dai CCNL e l’inerzia nella segnalazione assume di per sé valenza disciplinare per i soggetti a ciò obbligati ex lege così come evidenziato anche dalle recenti norme.

Per completezza va segnalato anche il comma 7 dell’art.55-bis che prevede l’obbligo del dipendente o dirigente, che è a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, di prestare collaborazione all’autorità disciplinare, salvo l’esistenza concreta di un giustificato motivo.

In conclusione si può affermare che la scelta operata dalla riforma Brunetta, che sancisce l’obbligatorietà dell’ azione disciplinare, nel circoscrivere il potere organizzativo dell’ amministrazione, di fatto dà origine ad un normativa di diritto speciale che costituisce un tertium genus poiché non riconducibile né al diritto civile né al diritto pubblico.

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