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Perché tante riforme?

Negli ultimi anni si sono susseguiti numerosi interventi di riforma al sistema disciplinare. Precedentemente il d.lgs. 165/2001 conteneva solo alcuni principi generali relativi essenzialmente all’ aspetto procedurale e contenzioso rinviando ai contratti collettivi e allo statuto dei lavoratori buona parte della materia. Questa era, infatti, soprattutto affidata alla contrattazione collettiva che si occupava sia della configurazione delle varie fattispecie di illecito disciplinare con le conseguenti sanzioni, sia degli aspetti procedurali. 

Questo impianto, seppure equilibrato e soddisfacente, forse ha peccato nel non sottolineare che si trattava di procedimenti altamente tecnici da affidarsi, quindi, a professionalità specifiche. In ogni caso l’intero sistema è stato ritenuto poco efficace a causa della scarsa tempestività e lentezza del procedere ( che in generale non dipendeva dalla norma), difficoltà a ricondurre i comportamenti sanzionabili alle varie fattispecie (che pure erano dettagliatamente e ampiamente declinate) e prevalenza degli aspetti formali più che sostanziali ( ottima l’ integrazione che codifica l’ equivalenza dell’ affissione all’ ingresso del luogo di lavoro alla pubblicazione sul sito internet dell’ amministrazione del c.d. codice disciplinare).

Per tali motivi il legislatore ha rivisto la ripartizione e il rapporto delle competenze tra la legge e la contrattazione collettiva riconducendo nell’ ambito delle disposizioni normative la regolazione della materia.

Tale innovazione è stata avviata già con la legge delega n. 15/2009 mediante la sostituzione dell’ art. 55 del d.lgs. n. 165/2001 nonché con l’ inserimento di ulteriori articoli. Si è, quindi, voluto dare maggiore carattere di imperatività alla materia disciplinare con previsione della sostituzione automatica delle clausole contrattuali nulle per contrasto con le norma imperative (meccanismo di eterointegrazione).

In sintesi attualmente la nuova impalcatura vede da un lato il d.lgs. 165/2001 sottrarre e codificare inderogabilmente le ipotesi di illecito disciplinare che prevedono la sanzione del licenziamento e dall’ altro lasciare attribuiti alla contrattazione collettiva spazi riguardanti essenzialmente la definizione della maggior parte delle fattispecie di illecito disciplinare e gli aspetti più organizzativi e funzionali dei procedimenti.

Si può, quindi, parlare di un nuovo rapporto tra legge e contrattazione collettiva che viene integrata con alcune fattispecie sottratte ad essa e affidate, invece, al rango normativo.

L’applicabilità dell’ impianto normativo è da riferirsi a tutte le pp.aa. compresi gli Enti territoriali poiché le disposizioni legislative adottate derivano dalla potestà esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile“. Infatti secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale si tratta di norme imperative che, in virtù del principio di eguaglianza, devono comunque garantire uniformità delle regole per tutto il territorio nazionale.

In proposito si rammenta che in materia di lavoro pubblico il limite fondamentale della potestà legislativa regionale è prevalentemente dato dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile” che è stato definito come l’insieme di norme volte ad assicurare “in tutto il territorio nazionale una uniformità di disciplina e di trattamento riguardo ai rapporti intercorrenti tra i soggetti privati, i quali attengono allo svolgimento delle libertà giuridicamente garantite e sono dunque legati al correlativo requisito costituzionale del godimento di tali libertà in condizioni di formale uguaglianza, ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost.”(Corte Cost. – sent. n. 462 del 1995 ed ex multis le più recenti sentenze 2 aprile 2009, n.99, 1 giugno 2006, n. 213 e 23 dicembre 2003, n. 370).  

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