L’intento principale dell’intervento è quello di offrire un supporto operativo che consenta alle pubbliche amministrazioni e agli altri soggetti tenuti all’introduzione di misure di prevenzione della corruzione di apportare eventuali correzioni volte a migliorare l’efficacia complessiva dell’impianto a livello sistemico, nella consapevolezza che il percorso di elaborazione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione (PTPC) è già avviato ma che è opportuno indicare alcune “correzioni di rotta” indispensabili ed adottabili nel breve periodo.
L’aggiornamento, peraltro, si è reso necessario per fornire risposte unitarie alle richieste di chiarimenti pervenute dai Responsabili per la prevenzione della corruzione (RPC) e dagli operatori del settore ed in virtù degli interventi normativi nel frattempo intervenuti, incidendo fortemente sul sistema di prevenzione della corruzione a livello istituzionale: particolarmente significativa è la disciplina introdotta dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (convertito in legge n. 114/2014), recante il trasferimento completo delle competenze sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza dal Dipartimento della Funzione Pubblica all’ANAC, nonché la rilevante riorganizzazione dell’ANAC e l’assunzione delle funzioni e delle competenze della soppressa Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
Proprio in considerazione dei nuovi indirizzi proposti e al fine di consentire ai RPC di svolgere adeguatamente tutte le attività connesse alla predisposizione dei Piani di Prevenzione della corruzione entro il 31 gennaio 2016, l’Autorità ha valutato opportuno prorogare al 15 gennaio 2016 il termine ultimo per la predisposizione e la pubblicazione della Relazione annuale che i RPC - ai sensi dell’articolo 1, comma 14, della legge 190/2012 - sono tenuti ad elaborare.
La disposizione richiamata prevede che il responsabile della prevenzione della corruzione di ogni ente – sulla scorta di un nucleo minimo di indicatori sull’efficacia delle politiche di prevenzione, con riguardo agli specifici ambiti individuati - predisponga infatti una relazione recante i risultati dell'attività svolta (con riferimento principalmente al PTPC precedentemente adottato dall’ente) e la trasmetta poi all'organo di indirizzo politico dell'amministrazione, anche riferendo direttamente allo stesso, se richiesto o ritenuto opportuno.
Nelle more della predisposizione di un nuovo e più organico Piano Nazionale Anticorruzione 2016-2018, l’Autorità ha segnalato alle amministrazioni la necessità di “concentrarsi sulla effettiva individuazione e attuazione di misure proporzionate al rischio, coerenti con la funzionalità e l’efficienza, concrete, fattibili e verificabili, quanto ad attuazione e ad efficacia”.
In quest’ottica, la stessa ANAC ha sottolineato che il successo dei nuovi Piani dipende significativamente dalla volontà delle stesse amministrazioni, a partire dai loro vertici politici e istituzionali, di combattere sul serio la corruzione al proprio interno, mentre spetta all’Autorità, in forza dei poteri conferiti, l’adozione degli strumenti a disposizione, dalla vigilanza sulla qualità delle misure adottate (e sulla loro effettiva attuazione) alla collaborazione fattiva, alla formazione.
D’altro canto, la stessa ANAC ritiene che i fattori di successo per migliorare le strategie di prevenzione della corruzione, evitando che queste si trasformino in un mero adempimento, sembrano essere la differenziazione e la semplificazione dei contenuti del PNA - a seconda delle diverse tipologie e dimensioni delle amministrazioni - nonché l’investimento nella formazione e l’accompagnamento delle amministrazioni e degli enti nella predisposizione del PTPC (impostazione fatta propria dalla c.d. Riforma Madia - articolo della legge n. 124/2015).
Questa sottolineatura dell’Autorità - che intende superare ogni formalismo e la logica del mero adempimento – lascia intendere l’opportunità che, nella lotta alla piaga della corruzione che permea così profondamente la struttura sociale ed organizzativa del Paese, sia ormai necessario individuare ulteriori strumenti che affianchino le politiche classiche (cioè norme, prescrizioni, e divieti), diversificando gli approcci ed integrando le azioni di prevenzione e lotta alla maladministration e ai fenomeni corruttivi.
Un aiuto in tal senso alle politiche pubbliche possono fornirlo le scienze del comportamento e, nello specifico, il nudging, la “spinta gentile” teorizzata dall’economista Richard H. Thaler e dal giurista Cass R. Sunstein, la cui applicazione alle politiche sociali, all’economia, alla gestione della cosa pubblica, ha portato, nel corso del XX secolo, dapprima allo sviluppo dell’approccio economico denominato Behavioral Economics, economia comportamentale, ed in seguito – nell’ultimo quinquennio – alla nascita di appositi “nudge team”, ovvero team di esperti in supporto all’operato governativo.
Come funziona il nudging e, nello specifico, come possono tornar utili le “spinte gentili” nella prevenzione dei fenomeni corruttivi?
Lo abbiamo chiesto ad Andrea Casu, un giovane studioso che ha cercato di condensare in un libro (“Fare meglio con meno. Nudge per l’amministrazione digitale”, edizioni FrancoAngeli, 2015) i suoi studi e le personali esperienze associative e professionali, sia in Italia che all’estero: un contributo fuori dagli schemi, alla vigilia di una nuova stagione di riforme dell’amministrazione pubblica, la cui tesi centrale è la convinzione che anche in Italia i principi dell’economia comportamentale e il ricorso alle cosiddette “spinte gentili” possano aiutare il Paese a compiere finalmente il passo decisivo verso un’amministrazione digitale al servizio dei cittadini.
CASU: Oggi i saperi della psicologia cognitiva e dell’economia comportamentale, lo studio dei “pensieri lenti e pensieri veloci” per dirla con Kahneman, hanno messo a disposizione dei decisori pubblici nuovi strumenti. I nudges sono strumenti complementari alle politiche classiche, molto efficaci per una regolamentazione intelligente, che spingono gentilmente i cittadini a comportamenti più efficienti per se stessi e per gli altri, così da rendere la vita della società, dei cittadini, delle imprese, meno complessa. Come insegnano le scienze del comportamento, esplorare le potenzialità della semplificazione normativa, misurare, raccogliere dati, valutare, applicare il metodo scientifico alle politiche pubbliche aiuta i governanti ad indirizzare i comportamenti dei cittadini verso scelte più efficaci. La spinta gentile, insomma, può essere applicata ai mille ambiti della vita collettiva: dall’alimentazione alla gestione del traffico urbano, dalla lotta all’evasione fiscale all’aumento della percentuale degli elettori che si recano alle urne, fino ad un più consapevole rapporto con l’ambiente. Le esperienze più avanzate sono quelle americane ed inglesi, anche se molti altri Paesi stanno avviando sperimentazioni (come testimonia l’ultimo rapporto della Banca mondiale “Mind, Society an Behavior” che invita tutti i Paesi a sposare questo approccio). Le lettere personalizzate e gli sms informativi dettagliati, inviati ai cittadini inglesi destinatari di multe costituiscono esempi pratici dei quali si è già verificata l’efficacia in termini di aumento della solvenza. In Giappone, per contrastare l’uso eccessivo dei condizionatori, è stata sperimentata una campagna “Cool Biz” che suggeriva ai lavoratori di recarsi in ufficio senza giacca e cravatta, ma con un look informale “più alla moda”, così da risparmiare tonnellate di emissione di CO2. Sono tutte strade che si stanno sperimentando nel mondo per produrre, a costi migliori, i migliori benefici.
D.: Quindi con quali tratti distintivi caratterizzano i nudges?
CASU: Poche e semplici regole: gli interventi devono essere dolci, incentivare senza obbligare, salvaguardando la libertà di scelta individuale. L’incentivo economico non deve essere l’unico elemento, ma deve essere in sinergia con altri fattori psicologici o sociali. Inoltre, ogni azione deve essere preceduta da una fase di sperimentazione, in quanto non esistono nudges universali, ma ogni intervento va studiato per la cultura e le dinamiche sociali e politiche presenti sul territorio e poi sperimentato in un contesto ristretto prima di essere adottato su larga scala.
D.: Come possono aiutarci le “spinte gentili” in Italia?
CASU: Intervenire sul piano degli obblighi, dei divieti e degli incentivi economici individuali non è sempre il modo migliore per favorire un’effettiva collaborazione tra cittadini e istituzioni per la realizzazione di obiettivi condivisi. Spesso è proprio sul piano dei comportamenti delle persone chiamate a mettere in pratica i cambiamenti che falliscono i tentativi di riforma, anche in Italia. Come dimostrano le esperienze di altri Paesi che hanno già messo in pratica le idee proposte da Thaler e Sunstein, sperimentare anche interventi meno invasivi, pungoli in grado di fare leva nel modo migliore sugli aspetti psicologici e sociali, può essere molto importante. Anche nel nostro Paese si sono mossi i primi passi verso l’uso di “spinte gentili”, con l’esperimento romano del Q-Team di Roma Capitale e la proposta di istituire una “Nudge unit” nella Regione Lazio. In questo senso, la nuova stagione di riforme nella pubblica amministrazione può rappresentare una prima straordinaria occasione per avviare concretamente questo percorso.
D.: E sarà possibile adottare la teoria dei nudges anche nella lotta alla corruzione?
CASU: Sicuramente, se vogliamo finalmente liberaci dal labirinto della burocrazia di carta e sconfiggere i mostri che la abitano, come la corruzione: dobbiamo seguire il filo che lega tutte le decisioni di manager, amministratori pubblici e privati che scelgono di attingere ai saperi della psicologia cognitiva e dell’economia comportamentale per ripensare i processi e dare ai fattori psicologici e sociali lo spazio che meritano. Riporto a titolo d’esempio un’esperienza internazionale: in Georgia, nuove divise e nuovi uffici per la polizia municipali, insieme ad una campagna di spot tv, hanno contribuito a realizzare quella che l’Economist ha definito una mental revolution che ha aiutato il paese a contrastare più efficacemente i molto diffusi fenomeni di corruzione. Perché occorre contrastare la corruzione non solo con norme, precetti ed adempimenti. Anche perché questi spesso vengono visti dagli enti solo come adempimenti formali, senza intuire che rappresentano invece concrete occasioni per attivare un’autoanalisi organizzativa che porti alla riorganizzazione dei processi - specie quelli qualificati “a rischio” - ma anche per la formazione del personale e lo sviluppo della cultura dell’integrità. In sostanza, serve agire non solo per via di obblighi e divieti imposti dalle norme, ma anche in ragione di opportune “spinte gentili”, utili ad integrare i vincoli ma anche i vantaggi delle riforme e delle leggi.Occorre quindi contrastare la corruzione sul piano culturale, favorendone una percezione che sia ben più ampia del solo reato, facendo cioè leva sulla censura che solitamente consegue all’illecito rispetto ad una norma sociale. Le pratiche clientelari, le tangenti, le azioni illecite connesse nel favorire soggetti nell’attribuzione di risorse o incarichi pubblici, l’ingerenza politica generano tutte da un’unica radice che nell’esercizio di un incarico pubblico porta a favorire l’interesse individuale (o di gruppo) rispetto a quello generale: il che equivale a dire una negazione assoluta dell’uguaglianza formale e sostanziale e del principio di imparzialità, valori comunemente condivisi da tutti i cittadini. Nel nostro Paese la corruzione agisce dall’interno, come un virus che ha saputo integrarsi nell’organismo ospite imparando a resistere ad ogni tentativo di cura. La strategia promossa dall’ANAC, accanto alla repressione dei fenomeni corruttivi prevede l’inserimento nelle pubbliche amministrazioni di anticorpi per combattere il male, per impedire le tangenti prima che accadano, sostenendo questa battaglia anche attraverso la trasparenza.
D.: E quindi, concretamente, quali spinte gentili possiamo mettere in atto contro la maladministration?
CASU: Occorre sfatare certi antichi stereotipi, purtroppo incancreniti anche nel nostro Paese, secondo i quali chi è chiamato ad occupare un incarico pubblico possa utilizzare la propria funzione per ottenere vantaggi personali. Queste regole non scritte trovano substrato fertile tra le norme sociali e, come ha sottolineato anche Cantone, sono purtroppo tacitamente annidate anche nella nostra classe dirigente. Per questo occorre un cambiamento culturale profondo, una sfida comportamentale che parta dal basso e risalga verso l’alto, attraverso tutti i livelli sociali, amministrativi e di governo, ribaltando la visione in cui, in determinati contesti, è considerato un bravo funzionario chi riesce a sfruttare meglio la propria influenza per favorire la propria rete sociale e chi non opera in questo modo rischia invece una pessima reputazione. Fortunatamente non siamo ancora al paradosso indiano, paese in cui, secondo il citato rapporto della Banca mondiale, vengono addirittura ipotizzate finte accuse di corruzione nei confronti di chi, da onesto, si rifiuta di adeguare i propri comportamenti alle azioni delittuose. Il fenomeno corruttivo si combatte anche attraverso idonei strumenti informativi e comunicativi, opportune “spinte gentili” che possono rivelarsi molto efficaci per pungolare i cittadini a modificare i loro comportamenti nei contesti nei quali la norma sociale della corruzione è particolarmente radicata, rendendoli partecipi che la prospettiva del beneficio di uno o più possibili favori individuali nulla vale al confronto del costo economico e sociale che tutti devono tributare ad un intero sistema sociale fondato sul malaffare e sui favoritismi. Il controllo sociale diffuso può essere uno strumento indispensabile e può essere facilmente promosso. Visto che la corruzione è alimentata dalla cattiva burocrazia, si può poi ripartire da una effettiva transizione vero una compiuta amministrazione digitale, migliore condizione possibile di default per garantire massima trasparenza ed imparzialità nei procedimenti.
Non esistono nudges universali e, in ogni caso, le “spinte gentili” non rappresentano, da sole, la bacchetta magica dei mali del Paese: tuttavia, una volta inquadrate le questioni e definiti gli obiettivi (nella lotta alla corruzione, come in qualsiasi altra attività), possono contribuire a conseguirli, se adottati come strumenti efficaci e non come panacee.
In un Paese che tende tradizionalmente a scaricare sul piano legislativo questioni che possono essere risolte su quello amministrativo, i nudges si muovono nella direzione opposta e possono quindi aiutarci a ripensare le nostre pubbliche amministrazioni, agendo su un terreno diverso ed utilizzando leve apparentemente meno potenti, ma in realtà ben più efficaci.