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Anche i dati biometrici nella lotta all’assenteismo nella P.A.

di Daniele Perugini

Basta anche un episodio isolato per scagliare l’ennesimo anatema generalizzato contro i dipendenti pubblici, ritenuti, di fronte all’opinione pubblica, gli unici responsabili delle inefficienze della Pubblica Amministrazione. Campagne mediatiche ed esternazioni politiche hanno progressivamente determinato l’instaurazione di un clima tendenzialmente ostile verso una categoria di lavoratori variegata e, per definizione, al servizio della Nazione. Introdurre ulteriori strumenti repressivi, oltre che rappresentare un aggravio strutturale e finanziario privo di un adeguato ritorno economico, va a ledere ulteriormente il rapporto tra i vari attori (cittadini, politica, amministrazioni pubbliche e dipendenti), in un contesto, peraltro, già diffusamente dotato di sistemi di controllo tecnologici ed amministrativi e in cui, in ogni caso, è previsto uno specifico procedimento disciplinare volto di sanzionare i «furbetti del cartellino» colti in flagranza di reato.

Checché se ne dica, è duro il mestiere del dipendente pubblico, ma qualcuno deve pur farlo!

Questa è di certo un’espressione forse ironica, ma è quella che balena nella testa (e nel cuore) di oltre tre milioni e mezzo di pubblici dipendenti, ad ogni cambio di governo, ad ogni scandalo corruttivo, ad ogni furbetto del cartellino che viene (finalmente) beccato! Eppure i lavorsatori del pubblico impiego restano comunque silenziosi ed intenti nei loro più variegati compiti, tecnici, amministrativi, di assistenza, protezione e docenza, spesso con orari e turnazioni che poco concedono alle esigenze familiari e personali.

QUALCHE PENSIERO IN LIBERTÀ. È semplicistico associare l’intera platea del pubblico impiego al singolo funzionario infedele complice di illeciti e corruzione o all’improvvido travet che, credendosi furbo, timbra per tutti e poi scappa anche lui in spiaggia, in palestra, al bar o al mercato rionale. Eppure di questi che statisticamente sono solo episodi si ciba l’opinione pubblica, in modo vorace e vendicativo. L’energia di spinta è prodotta da una sorta di cannibalismo mediatico, che pur di far notizia è pronto ad esacerbare i toni e a cavalcare l’onda del risentimento nei confronti di una sola categoria, quella dei dipendenti pubblici, a cui genericamente si ascrive – per il solo fatto di occupare quel pubblico ruolo - ogni possibile malefatta, a partire dalla fannullaggine e fino ad arrivare alla ruberia. Questo è un contesto in cui, purtroppo, i cittadini si sentono ormai vittime degli apparati burocratici (spesso a ragione), ma nel quale non riescono più a distinguere le responsabilità strutturali, politiche ed organizzative delle istituzioni da quelle invece legate ai comportamenti dei singoli addetti - anch’essi spesso immolati sull’altare del servizio alla Nazione - generalizzandone con livore ogni illecito compiuto da qualche isolata mela marcia. Si è progressivamente sfilacciato quel legame tra amministrazioni e cittadini che, grazie all’opera costante di cerniera e volano di quanti (e sono veramente tantissimi), superando le difficoltà operative di ogni giorno e spesso al di là dei compiti assegnati e oltre il proprio turno di lavoro, con competenze spesso acquisite a proprio carico, cercano di far avanzare, seppur zoppicando, la “macchina dello Stato”, nei suoi mille variegati ingranaggi: dalla Scuola alla Sicurezza, dalla Sanità alla Previdenza, dalla Difesa all’Amministrazione centrale e così via, fino al più piccolo ente territoriale.

LE PRIME DICHIARAZIONI. Non è facile sentirsi al centro dell’attenzione pubblica e dell’agenda politica solo in occasione delle campagne elettorali e all’insediamento di un nuovo governo. E, soprattutto, non si contribuisce positivamente al tanto auspicato e normativamente tutelato benessere organizzativo del personale delle amministrazioni pubbliche se questo viene ciclicamente chiamato quale vittima sacrificale in pasto ad un elettorato immaturo, con annunci di fantomatiche politiche colpevolizzanti e generalizzate verso chi opera nella Pubblica Amministrazione, prospettando, in modo disorganico, l’ennesimo intervento di riforma e controriforma. Emblematico, poi, è l’uso distorto che si fa del deplorevole fenomeno dell’assenteismo, su cui periodicamente si scaglia la scure dell’annuncio d’effetto, pur di ingraziarsi l’opinione pubblica, storicamente avversa al civil servant, in quanto ritenuto immeritatamente titolare di chissà quali benefici e prerogative. Recentemente, in una dichiarazione del neo Ministro per la P.A e la semplificazione, è stata preannunciata una specifica attenzione nei confronti della dirigenza pubblica, con interventi “chirurgici” sulla contrattazione in corso, volti ad incidere in profondità su responsabilizzazione, merito e premialità. Ancorché ancora in embrione e oggetto di studio da parte dei tecnici ministeriali, anche l’intero sistema di valutazione dei pubblici dipendenti potrebbe essere oggetto di rivisitazione, introducendo un triplice organismo di valutazione e riaffermando il giudizio dei cittadini (quest’ultimo già introdotto nell’ultima riforma che prevede la “Customer Care” quale elemento per la valutazione della performance) allo scopo di rendere il giudizio più oggettivo possibile. Il Ministro ha anche evocato l’attivazione di prossime ispezioni nelle amministrazioni pubbliche, per meglio dire sopralluoghi a sorpresa e a campione, effettuati da pool di esperti di modelli organizzativi. L’intento dichiarato dal titolare del dicastero è quello di far funzionare la P.A., curare la disomogeneità dei servizi, lottare contro l’assenteismo e le raccomandazioni nelle assunzioni e nel conferimenti di incarichi.

TUTTI RACCOMANDATI E FANNULLONI? Proprio le modalità di approccio ipotizzate su questi ultimi due aspetti hanno suscitato maggiore eco mediatica (e, in parte, acceso l’irritazione delle rappresentanze sindacali). Se, da un lato, secondo il Ministro, la piaga delle raccomandazioni che favorisce carriere a scapito dei più meritevoli potrebbe essere interrotta già con la valutazione oggettiva (ad esempio, inserendo nelle valutazioni per le progressioni di carriera anche il giudizio dei cittadini), è sul pugno di ferro contro i c.d. «furbetti del cartellino» che il Ministro intende concentrarsi. Per contrastare l’odiosa ed illecita condotta, l’idea è quella di introdurre controlli attraverso dati biometrici soggettivi, quali quelli delle impronte digitali, forti del fatto che tale metodica è già in uso nei palazzi della politica per il riconoscimento dei parlamentari. Sul tema intervengono diversi elementi, presumibilmente ancora oggetto di valutazioni di opportunità politica e di fattibilità legale. Ad esempio, sorgono immediatamente dubbi sia dal punto di vista della normativa vigente in materia di controllo dei lavoratori (non trattandosi di accessi ad aree specifiche, qualificate e declinate dalle disposizioni in materia), ma anche con riguardo agli aspetti legati alla privacy e alla sicurezza dei dati raccolti alla luce del GDPR. Ma restano anche non pochi dubbi di natura tecnica e di valutazione del rapporto costo/beneficio rispetto ad altri strumenti di accesso e controllo della presenza. Insomma, forse è meglio fermarsi un po’ a riflettere u questi ed altri numerosi elementi di criticità prima di dar concretezza alla per ora solo ipotizzata possibilità di estendere l’utilizzo di tali strumenti di identificazione biometrica in maniera diffusa, presso “tutti gli uffici ed opifici” della Pubblica Amministrazione.

I FURBETTI E LE SANZIONI ESISTENTI. Per scardinare l’assenteismo, occorre innanzitutto dare impulso, sostenere e tutelare l’azione di controllo da parte dei dirigenti, primi deputati alla vigilanza sul personale assegnato, richiamando gli stessi ai doveri e alle responsabilità (disciplinari, amministrative e patrimoniali) in vigilando. Con riguardo ai singoli soggetti e al sistema omertoso che spesso si crea in tali frangenti, occorre scardinare nel dipendente pubblico l’idea che le “furbizie” altrui non lo riguardano direttamente e che, pertanto, può ignorarle. Occorre favorire la riscoperta di quell’antica «coscienza del civil servant» valorizzandone, da un lato, le competenze, il merito e la condivisione di obiettivi e, dall’altro, rafforzandone quel senso di appartenenza che sta progressivamente disgregandosi. Dal punto di vista normativo e regolamentare, a ben guardare, nei precedenti “giri di vite” firmati dalle diverse compagini di governo degli ultimi due lustri, di interventi volti a reprimere i «furbetti» ne erano già stati messi in campo diversi. Da ultimo, la recente riforma del procedimento disciplinare contro la falsa attestazione della presenza in servizio, attuata dai decreti delegati della legge Madia: le modifiche più recenti al Testo Unico del Pubblico Impiego (principalmente agli articoli 55 e seguenti) ne hanno, al contempo, accelerato il percorso ed inasprito gli aspetti sanzionatori, allo scopo di fornire maggiore concretezza all’azione, fino a comportare il licenziamento disciplinare nei casi di condotta assenteistica scoperta in flagranza di commissione. Oltre che per garantire la legalità, l’efficienza e l’economicità dell’agere amministrativo, l’intento del legislatore è stato anche quello di dare adeguata risposta politica anche allo sdegno diffuso scatenato dalle campagne mediatiche sui «furbetti del cartellino» che (ancora una volta) hanno ingenerosamente screditato in maniera indistinta tutto il pubblico impiego. L’accelerazione all’iter del procedimento disciplinare - pur tutelando il diritto di difesa, ma al fine di evitarne le pastoie - sostanzialmente mira a scongiurare quanto accaduto in passato, ove la previgente tempistica delle procedure di accertamento avrebbe consentito al reo colto in flagranza di rimanere in servizio per un periodo non compatibile con il reato commesso. La vera novità introdotta da tali ultime disposizioni è infatti proprio sull’accertamento in flagranza – effettuabile anche mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi e delle presenze - del reato di falsa attestazione di presenza al lavoro, qualunque sia la condotta fraudolenta posta in essere, direttamente o avvalendosi di terzi, pur di risultare in servizio o trarre in inganno l’amministrazione datrice di lavoro: in questo caso si determina l’immediata sospensione cautelare e senza stipendio (rectius: con diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle norme e dalle disposizioni contrattuali vigenti), senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato.

I DATI DELLA FUNZIONE PUBBLICA.  A dire il vero, al di là dello sdegno provocato da questi odiosi illeciti e dei risultati attesi a seguito di tali riforme, ben altro è tuttavia il risultato numerico dell’azione sanzionatoria. Secondo i dati comunicati dal Dipartimento della Funzione Pubblica, nel corso dell’anno 2017 sono 324 i dipendenti pubblici che hanno perso il lavoro a causa delle gravi irregolarità commesse: circa la metà sono stati licenziati per motivazioni connesse alle assenze dal servizio e, tra questi, 55 sono i c.d. «furbetti del cartellino» che hanno attestato falsamente la loro presenza in servizio, esattamente 24 in più rispetto all’anno precedente. In linea generale, comunque, è stato registrato un calo del 5,8% rispetto al 2016 di licenziamenti di dipendenti pubblici per motivi disciplinari. Dai dati di dettaglio pubblicati sul sito del Dipartimento, i casi di licenziamento disciplinare effettuati tra il 2016 e il 2018 riguardano soggetti che appartenevano ad amministrazioni pubbliche di diversa tipologia e ubicazione territoriale.

RIPENSARE LA P.A. Se tali sono le risultanze dell’azione sanzionatoria ed ancora troppo frequenti sono le ricorrenze degli episodi (che, per quanto statisticamente non significativi, colpiscono comunque pesantemente l’opinione pubblica e gli stessi appartenenti al Pubblico impiego), allora occorre forse intervenire su più fronti, in parte già menzionati in precedenza e ridisegnare da capo l’intero assetto del servizio alle dipendenze di un’amministrazione pubblica. Sarebbe opportuno, in un’ottica di lungo respiro, ripartire dalla radice, cioè dal processo di acquisizione delle risorse, avviando sistemi di reclutamento più snelli, oggettivi e trasparenti, al di là delle norme comunque ben definite e poste a tutela del sistema, anche di rango costituzionale. Occorre poi supportare la crescita e la valorizzazione delle competenze, investire nella formazione del personale e premiarne effettivamente il merito, penalizzando, di contro, gli atteggiamenti inerti e non collaborativi con espliciti processi dissuasivi, finanche di natura sanzionatoria. È fondamentale stanare anche chi pratica comportamenti illeciti, incedendo in contesti di corruzione e di travisamento dell’azione amministrativa, punendo con sanzioni proporzionali al complessivo danno cagionato a terzi, all'amministrazione e alla collettività in senso lato. Occorre formare una classe dirigente forte delle proprie capacità e non asservita alla politica, né tronfia nel potere di cui è temporaneamente titolare. Sarebbe poi opportuno assicurare maggiore circolarità delle informazioni e diffusione delle buone pratiche, in una spinta verso l’alto che deve coinvolgere tutti i livelli di personale e tutte le strutture pubbliche, anche (e soprattutto) a livello territoriale infinitesimo. È necessario dotare le organizzazioni di adeguate risorse umane, finanziarie e tecnologiche, sulla base degli obiettivi assegnati e dei risultati conseguiti, redistribuendole ove necessario. Occorre sburocratizzare l’azione amministrativa, avvalendosi per quanto possibile della digitalizzazione, ma senza dimenticare l’imprescindibile valore aggiunto del capitale umano. Non può prescindersi dal ridisegnare anche la mappa delle relazioni industriali con le rappresentanze sindacali, in un clima di effettiva collaborazione, abbandonando le logiche di appartenenza e contrapposizione e contemperando gli interessi dei lavoratori, delle amministrazioni e della collettività. Bisogna adoperarsi per recuperare fiducia, dall’interno della macchina amministrativa, verso l’esterno, favorendo una cultura utente-centrica. Occorre infatti offrire e garantire servizi all’altezza dei bisogni dei cittadini e delle imprese, rendendoli partecipi delle scelte e della complessità della macchina amministrativa, fornendo loro tutti gli ausili necessari per la fruizione dei diritti e l’adempimento dei doveri.

Alla base di tutto, insomma, serve ricostruire il rapporto tra dipendenti e amministrazione, rinsaldando il senso di appartenenza e tra istituzioni e cittadini, recuperando la fiducia in ciò che è pubblico, quindi di ciascuno.

Forse, solo ripensando e ricostruendo in tal modo una nuova P.A., non serviranno più i controllori, né chissà quali altri sofisticati strumenti di coercizione.

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