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IL CONTRIBUTO DEL GREEN PUBLIC PROCUREMENT ALLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE (seconda parte)

Di Daniele Perugini

Nella prima parte di questo contributo è stata sottolineata l’importanza strategica della Pubblica Amministrazione nel supportare politiche di sostenibilità ambientale anche attraverso l’acquisizione di beni e servizi in un’ottica ≪green≫. In tale contesto, è stata evidenziata la peculiarità della P.A. quale cliente, in grado di orientare attraverso la domanda di mercato, l’innovazione e la produzione di prodotti e servizi ambientalmente sostenibili. Questa seconda parte propone alcuni suggerimenti per la promozione degli Acquisti Verdi, evidenziando, tuttavia, anche alcune criticità che rallentano lo sviluppo del GPP nel nostro Paese.

L’Italia è il primo Paese europeo che ha reso obbligatorio e vincolante per la Pubblica Amministrazione adeguare ed integrare i documenti delle gare di appalto secondo i principi del Green Public Procurement. Dal 2 febbraio 2016, infatti, il Green Public Procurement non è più una scelta facoltativa e volontaria.

COME E PERCHÉ PROMUOVERE IL GPP. Le autorità pubbliche che intraprendono azioni di GPP si impegnano a razionalizzare acquisti e consumi e ad incrementare la qualità ambientale delle proprie forniture ed affidamenti. Come è stato sperimentato in diverse esperienze internazionali, un’ampia diffusione delle procedure di GPP, oltre al beneficio ambientale, consentirebbe alle pubbliche amministrazioni innanzitutto un notevole risparmio di risorse economiche investite, con un forte contributo alla razionalizzazione della spesa pubblica e, conseguentemente, anche un deciso miglioramento dell’immagine della P.A. in generale. L’adozione del GPP favorisce la diffusione di modelli di consumo e di acquisto sostenibili e apporta benefici nella tutela della competitività e nello stimolo all’innovazione del sistema produttivo. Le amministrazioni pubbliche, a livello sia centrale che territoriale, possono pertanto favorire lo sviluppo di un mercato “verde”, attraverso l’attuazione di alcuni interventi specifici e virtuosi. Ciò, ad esempio, mediante l’inserimento di criteri di preferibilità ambientale nelle procedure di gara per l’acquisizione di beni e servizi (pur rimanendo nell’ambito dell’offerta più vantaggiosa); oppure adottando criteri di valutazione basati su sistemi di etichettatura ambientale, quali prova di verifica dei requisiti ambientali richiesti; o, ancora, richiedendo ai fornitori delle certificazioni specifiche per i sistemi di gestione ambientale, a garanzia delle loro capacità tecniche per la corretta esecuzione dell’appalto pubblico. Dal punto di vista delle caratteristiche delle forniture sostenibili, nell’ambito del processo di GPP le amministrazioni pubbliche dovrebbero sicuramente traguardare all’intero ciclo di vita del prodotto/servizio, preferendo prodotti meno energivori, quelli costituti da materiale di riciclo, quelli meno voluminosi e dotati di maggiore riciclabilità. Sarebbe opportuno assicurarsi, inoltre, che tali forniture siano prive di sostanze nocive e che siano gli output di processi produttivi a ridotto impatto ambientale. Tali elementi e requisiti vanno pretesi non soltanto dalle imprese partecipanti al bando di pubblica acquisizione, ma anche da ciascuno dei loro fornitori di beni intermedi. Ciò, come detto, all’interno di un circolo virtuoso finalizzato ad una maggiore razionalizzazione della spesa pubblica, ad una migliore allocazione delle risorse e ad un orientamento più sostenibile dell’intero sistema di cui la P.A. si fa attrice, cliente e garante al tempo stesso.

L’EFFICACIA DEL GPP. Per assicurare l’efficacia delle politiche basate sul GPP occorre prevedere l’attuazione degli interventi attraverso specifiche fasi, a partire dall’esplicitazione degli obiettivi e dall’identificazione delle priorità, proseguendo poi con la definizione delle scadenze temporali, l’individuazione delle figure responsabili delle diverse attività e, non ultimo, con l’attivazione di adeguati meccanismi di controllo. Al fine di attuare con pienezza un processo di GPP, vi sono due ulteriori fattori da tenere in debita considerazione nelle scelte di acquisizione dei beni e dei servizi. In primis, occorre verificare, tra le priorità politiche, l’eventuale presenza di particolari priorità ambientali locali a cui fare riferimento, nonché altri elementi specifici relativi all’habitat di destinazione dell’intervento (ad esempio, qualità dell’aria urbana, consumo idrico-energetico, gestione degli sprechi, adattamenti climatici, ecc.). È poi necessario indagare prioritariamente sulla disponibilità sul mercato di alternative preferibili sotto il profilo ambientale, verificandone i costi e tenendo conto dell’intero ciclo di vita del prodotto/servizio, riferendosi non solo i costi di acquisto, ma anche quelli di utilizzo, manutenzione e smaltimento e più in generale, a quelli sostenuti dalla collettività, nell’ottica del Life Cycle Costing (LCC). Com’è intuibile, la numerosità e l’eterogeneità dei fattori da considerare per attuare in concreto i principi del GPP richiede una classificazione attenta e completa dei criteri ambientali, costituendo, di fatto, un processo complesso anche da parte dello Stato.

UN PO’ DI NUMERI DAL FORUM. Durante il recente XII Forum CompraVerde - BuyGreen 2018, l’Osservatorio Appalti Verdi di Legambiente ha riportato i risultati di un’indagine svolta su tutti i Comuni capoluogo di provincia, in totale 104 amministrazioni, di cui solo 54 hanno risposto. I criteri ambientali minimi maggiormente utilizzati da questi Comuni sono quelli relativi all’uso della carta (62,5%), all’attrezzatura elettronica (39,3%), alla gestione delle pulizie (41,1%), alla cancelleria (26,8%) e alla ristorazione collettiva (23,2%), mentre risulta irrisoria la percentuale di amministrazioni che applicano i CAM nell’edilizia (solo il 7,1%). Da un’altra indagine, quella sui cosiddetti “Comuni Ricicloni” (in totale 1.048 amministrazioni coinvolte volontariamente), emerge che ben il 30% di essi non applica i CAM, anche se il dato di chi ne applica almeno uno (70%) fa sicuramente ben sperare. Grazie a Unioncamere, in collaborazione col Ministero dell’Ambiente, è stato poi possibile sondare le abitudini di oltre 3.200 imprese e definire un quadro abbastanza chiaro sul fronte dell’offerta da parte delle aziende: in generale, il GPP non viene ancora percepito come uno strumento di orientamento del mercato alla sostenibilità e viene, piuttosto, guardato ancora con una certa “diffidenza”. Infatti, solamente il 47% delle aziende ha integrato la variabile ambientale nelle proprie strategie, il 55% sta adottando atteggiamenti attivi nei confronti dei propri fornitori con riguardo all’effettiva attuazione di una gestione ambientale sostenibile, mentre il 75% si è dotata di una certificazione ISO 14001. In sostanza, anche se i nuovi processi di procurement pubblico prevedono l’obbligo di adeguamento all’articolo 34 del nuovo Codice Appalti, il comportamento delle aziende è per ora sostenuto soprattutto dalla necessità di detenere i requisiti partecipativi, nel mero adempimento degli obblighi di legge che prevedono il GPP, finalizzandone l’adozione all’aggiudicazione degli appalti.

BUONE PRATICHE DAI TERRITORI. Tutte le amministrazioni, gli enti e le società pubbliche sono chiamate a contribuire alla massima diffusione delle migliori prassi, politiche ed approcci in favore del GPP, nonché alla promozione di nuovi modelli di consumo sostenibile e di economia circolare, anche attraverso la creazione di reti e le attività di formazione e di informazione in favore delle imprese e dei cittadini. Tali iniziative sono sostenute e incoraggiate dal Ministero dell’Ambiente, in attuazione del principio di sussidiarietà e traguardando il decentramento amministrativo, anche attraverso la sottoscrizione di specifici protocolli di intesa locali e favorendo la circolazione delle informazioni e lo scambio delle buone pratiche adottate a livello territoriale. In alcuni casi da ben oltre un decennio (quindi ben prima dell’obbligo normativo nazionale), seppur in forme diverse e prive di una metodologia comune, alcune Regioni hanno manifestato quella sensibilità ambientale sostenuta a livello comunitario. Più di recente, sono stati approvati specifici Piani regionali di Azione sul GPP (in Basilicata, Calabria, Friuli V.G., Lazio e Sardegna, tanto per citarne alcune), mentre diversi sono stati i premi e i riconoscimenti, anche di livello internazionale, assegnati agli enti territoriali per le loro politiche di sostenibilità negli appalti pubblici. Alcuni di loro aderiscono poi a progetti, organismi e reti sovranazionali volti alla promozione degli ≪acquisti verdi≫ nei rispettivi territori (ad esempio, i progetti GPPbest, GPP4GROWTH e Life+GPPinfoNET, mentre sono stati costituti network collaborativi anche locali, come la rete GPP Salento Net. Alcune Città metropolitane, con uno specifico Protocollo di intesa, hanno costituito una rete per l’attuazione del GPP per un’efficace promozione degli acquisti pubblici ecologici sui territori di competenza, prevedendo la realizzazione di attività congiunte ed accreditandosi come valido interlocutore anche a livello governativo. Recentemente, il 16 maggio 2018, è stato siglato un protocollo d’intesa tra il Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, la Fondazione Ecosistemi e Adescoop con l’obiettivo di diffondere il GPP presso gli enti locali e di mettere in campo azioni sinergiche di promozione della cultura degli acquisti verdi nella P.A. e azioni concrete per favorire una maggiore sostenibilità nelle forniture di beni e servizi. Anche molti grandi enti pubblici hanno messo in campo azioni volte all’utilizzazione degli strumenti previsti dalla disciplina del GPP. Tra questi, l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale che, con le sue scelte di consumo, ha un peso determinante sul mercato e, per questo, con l’iniziativa ≪GreenInps≫ ha voluto assumere un ruolo propulsivo nei confronti della filiera di fornitori, a cui è richiesta una ≪responsabilità ambientale≫ in sede di gara, al fine di selezionare “a monte” gli acquisti più idonei e rispondenti alla vigente normativa. Tra le azioni organizzative che l’Istituto ha deciso di porre in essere rilevano l’introduzione di comportamento virtuosi connessi alla riduzione dei consumi (riduzione utilizzo carta, uso corretto apparecchiature, adozione stampanti di rete/di reparto), il monitoraggio centralizzato degli stessi e l’adesione alle convenzioni Consip per noleggi pluriennali di apparecchiature tecnologiche all’avanguardia anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale. L’intervento interno all’Inps prevede inoltre iniziative promosse dal Mobility management, volte ad attuare un Piano ecologico per il triennio 2018-2021 attraverso la scelta di propulsori ibridi e, più in generale, con la riduzione progressiva della spesa per il parco auto, peraltro già significativamente ridotta a partire dal 2014. Più in generale, comunque, va sottolineato che gli ambiti in cui le pubbliche amministrazioni attuano politiche di sostegno ambientale ricorrendo agli strumenti del GPP sono diversi e tra i più vari: in Trentino, ad esempio, si premia la sostenibilità cinematografica, chiedendo alle produzioni di ottimizzare i consumi energetici, limitare l’utilizzo di mezzi di trasporto e di scegliere materiali e servizi di ristorazione in un’ottica ≪green≫.

CRITICITÀ DEL GPP.  Come si è già percepito dai dati dimensionali sopra riportati, occorre rilevare che, fino ad oggi, il potenziale del GPP in Italia è stato sfruttato solo in minima parte. Tra le cause della scarsa applicazione sicuramente rileva il fatto che, fino all’entrata in vigore del cosiddetto Collegato Ambientale, il GPP è stato visto solo come uno strumento volontario a disposizione della pubblica amministrazione: l’introduzione dei criteri ambientali nei disciplinari di gara restava una scelta facoltativa e, in quanto tale, legata alle scelte di politica ambientale eventualmente adottate dalla singola amministrazione. Dal 2 febbraio 2016 il GPP è diventato obbligatorio e, pertanto, questo ostacolo è stato superato. Restano invece ancora molti ostacoli alla diffusione del GPP, prioritariamente di tipo organizzativo e di programmazione degli appalti pubblici. Da un’indagine sommaria (in attesa che l’ANAC provveda al monitoraggio sistematico della situazione, anche in virtù del Protocollo d’Intesa siglato col Ministero dell’Ambiente il 19 marzo 2018), emergerebbe che gli enti che non si sono ancora adeguati, nonostante l’obbligo normativo, sono ancora tanti e, anche se negli ultimi anni si sono moltiplicate a vari livelli le iniziative di sensibilizzazione e di formazione in materia, sembrano essere ancora molti gli enti pubblici che non hanno ancora focalizzato correttamente la portata dell’adempimento ora richiesto. Per certi versi rendere obbligatorio il GPP è servito ad innalzare l’attenzione degli enti pubblici e delle imprese, ma occorre favorire ulteriormente l’acquisizione di beni e servizi “green”, superando il gap culturale che ha finora caratterizzato, a macchia di leopardo, la diffusione delle pratiche di sostenibilità ambientale. L’introduzione dell’obbligo ha comunque accentuato alcune criticità applicative, quali la complessità delle procedure, la scarsa conoscenza dei CAM, le difficoltà dei buyer pubblici nel verificare il rispetto dei requisiti ambientali, un tessuto produttivo spesso immaturo in termini di innovazione tecnologica e ambientale, la mancanza di un monitoraggio efficace. Vanno sicuramente migliorati, nonostante l’impegno già profuso da Consip e dalle centrali di acquisto, alcuni aspetti procedurali, con maggiore attenzione alle caratteristiche del nostro settore produttivo. D’altro canto, soprattutto alla fase della verifica della conformità ai CAM, la parola chiave dovrebbe essere “semplificazione”. Tuttavia i responsabili delle procedure d’acquisto, nonostante il percorso formativo intrapreso, non sempre arrivano ad avere tutte le competenze tecniche necessarie a svolgere la verifica di conformità sulla documentazione ricevuta. La verifica di conformità è, infatti, una delle criticità maggiormente sentite in quanto nella maggior parte dei casi non è rinvenibile nel possesso di una specifica etichetta la prova di conformità a tutti i criteri, ma solo ad alcuni di essi. Tale problema è particolarmente sentito nel MEPA, ove a fronte di un valore delle transazioni molto basso è richiesta una elevata complessità: se operando in convenzione con Consip è la stessa che provvede alla verifica di rispondenza dei CAM, nel Mercato Elettronico tale responsabilità resta invece in capo alle singole amministrazioni. Peraltro gli stessi CAM necessitano di continui aggiornamenti ed adeguamenti all’evoluzione tecnologica, alla cui tempistica non sempre il legislatore è riuscito a dare adeguata risposta. Una soluzione possibile potrebbe forse essere quella di potersi riferirsi ad un’unica certificazione di parte terza per ogni set di criteri ambientali, tanto più che il nuovo Codice degli appalti ora permette, in presenza di certe condizioni, di utilizzare un’etichetta ambientale come unico mezzo di presunzione della conformità. Nel caso delle imprese, la situazione è spesso peggiore in quanto ad assenza o frammentarietà delle informazioni: a fronte di una minoranza d’imprenditori che ha investito con decisione sulla conformità ai CAM, esiste infatti una maggioranza che non lo ha fatto e non sempre e soltanto per ignoranza, m perché si è verificato che, in diversi casi, i loro prodotti, servizi od opere vengono tuttora acquistati dall’ente pubblico anche se non sono conformi ai criteri ambientali. In altri casi, poi, molte imprese - soprattutto quelle piccole e medio-piccole di cui l’Italia è piena - giudicano spesso fuori portata l’investimento necessario per adeguarsi. Sarebbe quindi opportuno agire in modo serio ed effettivo in termini di fiscalità ambientale, premiando chi decidesse di investire nella “green economy”.

Link alla prima parte

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