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Il peso dei risultati già ottenuti nella definizione dei nuovi obiettivi

di Pietro Curzio

L’art. 4 del decreto legislativo n. 150/2009, nel comma 2, lettera a, statuisce che, nella definizione degli obiettivi, le amministrazioni pubbliche debbano tener “conto anche dei risultati conseguiti nell’anno precedente, come documentati e validati nella relazione annuale sulla performance di cui all’art. 10”. E’ bene sottolineare che questa prescrizione non era contenuta nella prima stesura della norma e che essa è stata introdotta solo nel 2017, col D.Lgs n. 74, del maggio di quell’anno.

Ora, in prima battuta, emerge, con tutta evidenza, una dissonanza tra la scadenza del piano performance, 31 gennaio, e quella indicata per la relazione, 30 giugno; infatti  non si capisce come si possa tener conto, nella definizione nel piano della performance, dei risultati conseguiti nell’anno precedente, se questi sono contenuti in una relazione da presentare successivamente alla scadenza fissata per il piano. E proprio per questo motivo il DFP, nelle linee guida sulla relazione del novembre 2018, sottolinea come  l’anticipazione dei termini per la predisposizione della relazione, effettuata dal D.Lgs n. 74/2017 - il 30 giugno - rispetto al 15 settembre fissata nel d.lgs n. 150, potrebbe “essere  particolarmente utile a favorire una maggiore efficacia dell’attività di programmazione in quanto una bozza della Relazione potrebbe essere già disponibile prima dell’approvazione del nuovo Piano della performance.”

E’ evidente che l’eventualità prospettata dal DFP, pur da tener presente, resta una possibilità, per cui non vi è la garanzia di poter davvero disporre di quei dati. C’è però un altro l’aspetto da tener presente: l’attività pianificatoria delle PA prende inizio ben prima del mese di gennaio; il percorso, infatti, si avvia alla metà dell’anno precedente, subito dopo la presentazione alle Camere del Documento di Economia e Finanza – DEF - per le amministrazioni dello Stato (scadenza 10 aprile) e con la presentazione del DUP, per gli enti territoriali (entro il 31 luglio); da ciò deriva che in quei momenti di pianificazione strategica ed operativa si può (e si deve) tener conto dei risultati conseguiti nell’anno precedente, consultabili nella relazione sulla performance già approvata.

In ogni caso, quale che sia il documento da prendere a riferimento, resta il fatto che “… spesso i piani si sono rivelati “senza memoria”: ogni anno si ricomincia senza evidenziare il collegamento con il passato e senza identificare il punto di  partenza. Al contrario, essendo il Piano uno strumento di pianificazione e programmazione, è necessario conoscere il punto di partenza, tenendo conto dei risultati ottenuti nel passato.” Queste le parole che si leggono nelle linee guida sul piano performance adottate dal DFP nel giugno 2017, in cui pure si ribadiva che “in ogni ciclo devono essere indicati i risultati da conseguire e quelli già conseguiti che sono rilevanti per la definizione dei risultati e degli impatti attesi”.

A questa situazione il legislatore ha, per l’appunto, cercato di ovviare col D.Lgs n. 74 , nel quale, da un lato, ha anticipato la scadenza della presentazione della relazione, dall’altro, ha imposto di dover tener conto nella definizione degli obiettivi dei risultati conseguiti nell’anno precedente.

Ora c’è da chiedersi se a distanza di qualche anno dal D.Lgs n. 74 la situazione sia cambiata, se cioè i piani performance hanno acquistato, per seguire i termini usati dal DFP, la memoria del passato.

La risposta è, a parere di chi scrive,  negativa:  basta prendere in esame le pagine dei amministrazione trasparente degli enti e subito emergono DUP, nei quali, accanto ai tanti aspetti, su cui quei documenti si soffermano -  ambientali, economici, occupazionali, sociali -, non vi generalmente traccia dei risultati conseguiti in passato nell’attuazione di una determinata politica; dalle stesse pagine e dall’esperienza personale risulta come spesso i piani della performance si riducono o in una sommatoria di obiettivi, proposti dagli uffici (per il dfp  l’esperienza dimostra che i piani sono rimasti “schiacciati verso il basso”) oppure si esauriscono nella ripetizione  di adempimenti già previsti da norme ad hoc (in questo senso è un classico trovare tra gli obiettivi assegnati la predisposizione del piano anticorruzione) e mancano di “storia”.  

C’è ancora un aspetto da prendere in considerazione, la cui consistenza rafforzerebbe l’idea del DFP di utilizzare, quanto meno,  una bozza della relazione sulla performance da approvare entro giugno: questo aspetto è dato dal fatto che, nella realtà, i piani della performance degli enti territoriali vengono normalmente approvati ben oltre il 31 gennaio: le ragioni sono diverse, non ultima il continuo differimento negli anni  del termine per l’approvazione del bilancio preventivo,  ma è un fatto che a volte l’approvazione dei piani avviene in primavera. Così, ipotizzando che il piano 2021 venga approvato in aprile, e che l’amministrazione abbia tutta l’intenzione di far tesoro dei risultati conseguiti in passato, questi potrebbero essere rinvenuti o nella relazione sulla performance 2019 o, accogliendo i suggerimenti del DFP, nella bozza della relazione 2020.  E’ chiaro che i risultati della performance 2019, che pure potrebbe aver influito sul DUP 2020, sono ormai un pallido ricordo nella primavera del 2021 e, d’altro canto, i risultati della performance del 2020 se fossero disponibili, si potrebbero trovare al più in una bozza!

Eppure la necessità di utilizzare quei dati pare evidente: come si pensa di poter evitare errori nella programmazione degli obiettivi e nella distribuzione delle risorse, senza avere dati precisi sull’attività passata? Come si può definire un obiettivo senza la descrizione della situazione di partenza? Quale beneficio può derivare al miglioramento dei servizi se, sulla base della esperienza compiuta, non si individuano le lacune che hanno ostruito i processi? E come si fa a tendere al miglioramento della professionalità degli operatori, attraverso l’attribuzione di obiettivi sempre più sfidanti, se non se non si utilizza le conoscenza su quanto svolto dagli stessi nell’anno precedente?

E’ per questo motivo che potrebbe profilarsi, in sede di aggiornamento dei sistemi di valutazione, una innovazione che miri a superare le difficoltà descritte. D’altra parte l’art. 4 del D.lgs n. 150, dalla cui citazione è partita la presente riflessione, è una di quelle norme a cui gli enti territoriali sono tenuti a dare attuazione, per cui, in tale sede, occorrerà trovare il modo di offrire alle amministrazioni i dati prima che venga approvato il piano performance. L’innovazione di seguito proposta è relativa ai contenuti e ai tempi di presentazione della relazione.

Riprendiamo in esame i contenuti essenziali del piano della performance e della relazione su di essa.

La performance organizzativa è l’elemento centrale del piano; in essa rientrano anche gli  obiettivi specifici assegnati sia all’amministrazione nel suo complesso che alle singole strutture organizzative; così un obiettivo, come la digitalizzazione dei processi, riguarderà l’intera amministrazione, un altro, come lo sviluppo dei servizi bibliotecari, il singolo settore. Per quel che riguarda gli obiettivi individuali assegnati ai dirigenti, il DFP precisa che andranno riportati nel piano solo gli obiettivi strettamente connessi a quelli assegnati all’ente o alle sue strutture, nel senso che i primi sono funzionali alla realizzazione dei secondi

La Relazione annuale sulla performance è il documento attraverso il quale l’amministrazione rendiconta i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programmati, evidenziando le risorse utilizzate e gli eventuali scostamenti registrati a consuntivo rispetto a quanto programmato. In essa trovano spazi cinque sezioni: la  sintesi dei principali risultati raggiunti, l’analisi del contesto e delle risorse, la misurazione e valutazione della performance organizzativa,- nella quale sono riportati gli esiti del processo di misurazione e valutazione effettuato dall’OIV -, di quella individuale, ed, infine, le modalità con le quali si è svolto, nell’anno di riferimento, l’intero processo di misurazione e valutazione.

E’ evidente che una relazione così corposa, che vede il coinvolgimento di vari soggetti,  l’amministrazione, l’OIV, i dirigenti, le strutture deputate ai vari tipi di controllo, l’eventuale partecipazione di stakeholder, rende impossibile una sua presentazione in una scadenza più ravvicinata di quella prevista a fine giugno. Ecco allora l’innovazione che si potrebbe introdurre nei sistemi di valutazione: dividere la relazione in due parti:  una prima, relativa ai risultati conseguiti rispetto agli obiettivi contenuti nel piano performance, una seconda, contenente le altre sezioni. La prima parte andrebbe svolta dall’OIV, cui spetta la valutazione della performance organizzativa, che, utilizzando i report dei vari controlli ed ogni altra fonte, potrebbe consegnare all’amministrazione la rendicontazione, già nel mese di gennaio, dunque prima dell’approvazione del piano. E’ certo una corsa col tempo, impegnativa ma necessaria, se vogliamo attuare il dettato dell’art.4 del d.lgs n. 150. Per la seconda parte della relazione non vi è ostacolo alla presentazione entro il 30 giugno.

Un’ultima considerazione: questa eventuale innovazione si aggiungerebbe alle tante regole già esistenti a presidio della performance e, come le altre, correrebbe il rischio di essere vissuta come l’ennesimo adempimento. Siamo tutti consapevoli ormai che i problemi esistenti in ogni settore della vita pubblica non possono essere risolti solo ed esclusivamente con le norme. In relazione alla performance, la legge ormai ha disegnato con compiutezza le varie fasi del ciclo, ha definito i principi generale cui è subordinata la valutazione della performance, ha dettato norme valide per tutte le PA, e analoga spinta ha fornito a in merito ai controlli, alla trasparenza, alla qualità. Allora è chiaro che la responsabilità per la valorizzazione della performance si è ormai spostata a valle, sul piano dei comportamenti concreti che i diversi attori sono chiamati a praticare ed, in tal senso, molto c’è fare, a cominciare dal verificare il reale interesse degli amministratori ad un tal tipo di attività pianificatoria, evitando che essa sia concepita solo come adempimento!

E’ chiaro chel’ultimo ragionamento ci porta molto lontano dai confini della presente relazione.   

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