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Compensi degli avvocati pubblici. Note a margine di una sentenza del Tar Toscana

a cura di Amedeo Di Filippo

Con la sentenza n. 355 del 9 marzo 2017, il Tar Toscana ha giudicato il ricorso presentato dagli avvocati dipendenti del Comune di Firenze per l'accertamento dell'inadempimento del Comune all'obbligo di emanare il regolamento di cui all'art. 9, commi 5, 6, 7 e 8, del D.L. n. 90/2014 convertito dalla Legge n. 114/2014, indispensabile per l'erogazione dei compensi professionali, e per la condanna all'adozione di tutto quanto necessario all'emanazione del regolamento stesso. Singolare l’epilogo della pronuncia: il Tar accoglie le tesi dei ricorrenti e “ordina” al Comune di provvedere all’adozione del regolamento entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza, fatta salva la possibilità che al medesimo risultato si pervenga per via di contrattazione decentrata. Si riserva la nomina del commissario ad acta alla eventuale sede dell’ottemperanza. Comune condannato anche alla rifusione delle spese processuali, oltre agli accessori di legge.

Le norme di riferimento

L’art. 9 del D.L. n. 90/2014 ha riformato gli onorari delle avvocature degli enti pubblici, prima regolati dall’art. 1, comma 457, della Legge n. 147 del 2013 e dall’art. 21, comma 3, del Regio Decreto n. 1611 del 1933.

Viene disposto che nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle PA nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva, facendo in modo che siano corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo. La parte rimanente è riversata nel bilancio dell'ente.

Alla fonte regolamentare interna e ai contratti collettivi il comma 5 riserva:

-          i criteri di riparto delle somme “in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità negli adempimenti processuali”;

-          i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parità di trattamento e di specializzazione professionale.

Ulteriori incombenze sono assegnate dal comma 6, secondo cui in tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013.

Il comma 8 dell’art. 9 regola la disciplina temporale di applicazione delle disposizioni stabilendo, per quanto concerne la compensazione delle spese, che la previsione di cui al comma 6, primo periodo, concerne le sentenze depositate dopo l’entrata in vigore del D.L. Prevede poi che le ulteriori disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 (sentenze favorevoli e criteri di riparto), il secondo e il terzo periodo del comma 6 e il comma 7 si applicano a decorrere dall’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5. L’ultimo periodo del comma 8 pone il divieto di corresponsione di compensi professionali a far data dal 1° gennaio 2015 in assenza del suddetto adeguamento.

Le pronunce

Già la sezione regionale di controllo per il Piemonte della Corte dei conti aveva rilevato, con la deliberazione n. 164 del 2015, a proposito della possibilità di liquidare i compensi per sentenze favorevoli depositate nel corso dell'anno 2015 e antecedenti la data di approvazione del regolamento, come fosse di ostacolo la previsione di cui all’art. 9, comma 8 del D.L. n. 90/2014, posto che detto regolamento si rende necessario per la fissazione dei criteri in assenza dei quali non vi sarebbero dei validi riferimenti aggiornati per il riparto dei compensi.

La mancata adozione (o aggiornamento) del regolamento costituisce quindi un chiaro inadempimento che fa sorgere un divieto il cui esito si ripercuote a danno degli avvocati dipendenti. Questi ultimi, hanno affermato i giudici contabili, da un punto di vista contrattuale hanno pieno diritto a percepire i compensi professionali correlati alla vittoria nelle controversie per cui prestano attività di assistenza e rappresentanza, la cui natura è retributiva ai sensi dell’art. 27 del CCNL del 14.9.2000 del personale delle categorie e dell’art. 37 del CCNL del 23.12.1999 del personale dirigenziale.

Chiaro il postulato: “Una volta adottato il regolamento, rimediando così alla protratta inerzia dell’Amministrazione, l’ente potrà procedere alla liquidazione di tutte le somme già maturate nelle more della sua adozione”.

La sezione regionale di controllo per la Calabria ha precisato, con la deliberazione n. 105 dell’11 novembre 2016, che il divieto di corresponsione dei compensi a far data dal 1° gennaio 2015 in assenza dell’adeguamento del regolamento non può applicarsi alle situazioni già definite prima dell’entrata in vigore della norma, dovendo il predetto divieto intendersi limitato alle liquidazioni da disporsi sulla base della nuova disciplina regolamentare. Di conseguenza, il suddetto divieto non ha ragione di operare per le sentenze favorevoli con recupero delle spese legali a carico delle controparti, depositate in data anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 90/2014.

Riprendendo orientamenti espressi da altre sezioni (Friuli Venezia Giulia, deliberazione n. 12/15/PAR; Piemonte, deliberazione n. 164/15/PAR), i giudici hanno affermato che pur essendo la corresponsione (e il correlato diritto dell’avvocato dipendente) direttamente discendente dalla fonte normativa statale e dalla fonte contrattuale, l’atto regolamentare interno detta le concrete modalità e la misura attraverso le quali sarà possibile precedere alla corresponsione, integrando per tale via la disciplina astrattamente prevista dalle fonti sovraordinate.

È dunque problematico ipotizzare una liquidazione dei compensi allorché il descritto procedimento di formazione della disciplina della relativa corresponsione non sia stato ancora perfezionato e dunque prevedere un’attribuzione di compensi riferiti a sentenze depositate in epoca anteriore al prescritto regolamento.

Se sull’aspetto della pregiudizialità dell’intervento regolamentare/contrattuale ai fini della corresponsione dei compensi sembra sufficientemente chiara, sulla intera materia aleggia lo spettro della illegittimità costituzionale, dato che alcuni giudici hanno proposto la questione alla Corte costituzionale. Tra essi il Tar Calabria con l’ordinanza n. 706 del 16 giugno 2016 (G.U. Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 49 del 7-12-2016); il Tar Molise con l’ordinanza n. 161 del 25 marzo 2016, che riprende in parte la rimessione disposta dal Trga Trento con l’ordinanza 10 marzo 2016, n. 138.

Le ordinanze rilevano la violazione del principio di uguaglianza tra avvocati dello Stato e quelli di altre amministrazioni pubbliche, in quanto i commi 3 e 6 dell’art. 9, del D.L. n. 90/2014 hanno introdotto la decurtazione degli onorari solo per i primi, mentre agli altri è accordata la possibilità di acquisire le somme liquidate in favore dell’amministrazione patrocinata, anche in misura integrale secondo quanto previsto nei regolamenti dei rispettivi enti.

In una delle ordinanza è però contenuta la censura circa la carenza dei presupposti per la decretazione d’urgenza, questione più volte analizzata dalla Consulta e soggetta a diverse valutazioni, a seconda se prevale il principio del coordinamento della finanza pubblica, posto che anche le disposizioni in analisi sono frutto della spending review, ovvero la pedissequa applicazione dell’art. 77 Cost. e dei ferrei principi cui l’ha contornato la Corte costituzionale in ordine sia ai “casi straordinari di necessità e di urgenza” indicati dal secondo comma, sia alle molteplici critiche che hanno accompagnato la valutazione dei decreti c.d. “omnibus”, regolanti cioè materie le più disparate e spesso in maniera disorganica.

La necessità della mediazione regolamentare e/o contrattuale

Valuteremo le decisioni che la Consulta vorrà assumere in ordine alle censure mosse dai giudici remittenti. Ci concentriamo per adesso sulla sentenza n. 355 del Tar Toscana che aggredisce un aspetto particolare ma non marginale dell’art. 9 del D.L. n. 90/2014, ossia quello relativo alla inerzia serbata da una amministrazione nell’adottare (o nell’aggiornare) il regolamento e/o il contratto decentrato integrativo al fine di stabilire i criteri funzionali all’erogazione dei compensi agli avvocati pubblici.

Nel caso di specie, gli avvocati impiegati presso l’Avvocatura comunale hanno formalmente lamentato di fronte al Tar l'inadempimento serbato dal Comune dall'obbligo di emanare il regolamento di cui all'art. 9, commi 5, 6, 7 e 8, del D.L. n. 90/2014, fondamentale nel decidere i criteri di riparto dei compensi da corrispondere a seguito di recupero di spese legali in favore dell’ente nell’ipotesi di sentenza recante condanna delle controparti al pagamento delle spese di lite, ovvero nell’ipotesi di pronuncia giudiziale di compensazione delle spese.

Oltre alla condanna all’adempimento, chiedono la nomina di un commissario ad acta nel caso di perdurante inerzia.

Nella sentenza n. 355 del 9 marzo, il Tar Toscana dà ragione ai ricorrenti e offre un primo spunto interessante, relativo al rapporto tra fonte regolamentare e fonte contrattuale, non chiaro alla prima lettura delle norme del 2014. Affermano i giudici amministrativi che da questo punto di vista nulla è innovato rispetto al precedente regime in cui al regolamento è riservata la disciplina dei compensi.

Infatti, l’art. 27 del CCNL del 14 settembre 2000 del personale delle categorie e l’art. 39 del CCNL del 23 dicembre 1999 per l’area della dirigenza rimettono agli ordinamenti degli enti la corresponsione dei compensi professionali dovuti a seguito di sentenza favorevole all’ente, mentre rinviano alla contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi e la retribuzione di risultato.

Tale assetto – sostengono nella sentenza – non è messo in discussione né dall’art. 23 della Legge n. 247/2012, la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, che riconosce agli avvocati degli uffici legali istituiti presso gli enti pubblici la “piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente ed un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta”; né dall’art. 9 del D.L. n. 90/2014, che a differenza dei compensi previsti dal Codice degli appalti, per la propria attuazione rinvia indifferentemente ai due ordini di fonti, “le quali ben potrebbero operare in modo concorrente o alternativo fra loro”.

Sta dunque all’amministrazione adoperare diligentemente i due strumenti onde rispondere all’obbligo di legge indispensabile alla corresponsione dei compensi. Tenendo bene a mente, a questo fini, la facoltà riconosciuta dall’art. 40, comma 3-ter, del D.Lgs. n. 165/2001 di “provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione”, e quindi della possibilità di esercitare unilateralmente la potestà in materia e disciplinare i criteri di riparto fra il personale delle avvocature dei compensi professionali e quelli di riparto degli affari consultivi o contenziosi.

Il mancato raggiungimento dell’intesa sui contenuti della contrattazione decentrata, sostiene il Tar al pari di quanto aveva sostenuto i giudici contabili, non può pregiudicare il diritto degli avvocati alla percezione dei compensi professionali loro spettanti, rimettendone la soddisfazione ai tempi imprevedibili della contrattazione integrativa. Assunto che per il Tar ha due conseguenze: che vi è un vero e proprio obbligo di provvedere in capo all’amministrazione e che, conseguentemente, vi è un concreto interesse degli avvocati ricorrenti alla tempestiva adozione del regolamento.

Nemmeno regge la giustificazione proposta dal Comune circa il fatto di aver ripetutamente attivato le relazioni sindacali e di essere riuscito a raggiungere un preintesa con le organizzazioni rappresentative dei lavoratori solo nell’ottobre del 2016, non per propria responsabilità. Il Tar giudica irrilevante che il ritardo sia imputabile o meno a comportamenti colposi dell’amministrazione comunale, rilevando unicamente la circostanza della mancata adozione, nei termini di legge, dei criteri di riparto delle competenze professionali agli avvocati dipendenti: criteri che, alla luce di quanto sopra indicato, non richiedono la necessaria definizione dell’accordo decentrato fra il Comune e le rappresentanze sindacali, ben potendo essere adottati in via regolamentare.

In accoglimento del ricorso, il Tar Toscana dunque ordina al Comune di Firenze di provvedere all’adozione in via regolamentare dei criteri di riparto dei compensi di cui all’art. 9 del D.L. n. 90/2014, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, fatta salva la possibilità che al medesimo risultato si pervenga per via di contrattazione decentrata.

La nomina del commissario ad acta viene riservata alla eventuale sede dell’ottemperanza, “confidandosi nel corretto comportamento dell’amministrazione resistente”.

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