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La Corte Costituzionale bacchetta l’arroganza del Legislatore sulla ricongiunzione art. 1 Legge 29

a cura di Villiam Zanoni

Sono passati esattamente 7 anni da quando ci dovemmo occupare di questo argomento in occasione della manovra “estiva” del 2010 e ancora una volta siamo stati facili profeti rispetto a quanto sarebbe potuto accadere: la sentenza n° 153/2017 della Corte Costituzionale ha, infatti, dichiarato parzialmente illegittima l’operazione che rese oneroso l’articolo 1 delle legge n° 29/1979. Dobbiamo tornare a quel tanto tormentato 2010 per ricordarci che nell’ambito delle diverse manovre finanziarie estive di quegli anni, nel tentativo di puntellare la nostra debole economia, il Governo e il Parlamento intervennero in più occasioni mettendo nel mirino anche alcune norme in materia previdenziale.

Fra queste ultime fece un certo clamore quanto accadde prima con l’emanazione del decreto-legge n° 78 del 31 maggio 2010 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), ma ancora di più poi quando il D.L. fu convertito con la legge n° 122 del 30 luglio 2010.

Il decreto-legge di maggio, infatti, con l’articolo 7 (Soppressione e incorporazione di enti) proseguì l’opera di razionalizzazione degli enti pubblici con la soppressione dell’IPSEMA (trasferito all’INAIL) e dell’IPOST (trasferito all’INPS), mentre con l’articolo 12 (Interventi in materia previdenziale) al comma 1 introdusse la finestra per le pensioni di vecchiaia, al comma 3 estese la finestra lunga sulle totalizzazioni, ai commi 7 e 8 allungò i tempi di attesa per la liquidazione del TFS/TFR dei dipendenti pubblici rateizzandone anche ulteriormente l’erogazione per importi lordi superiori a 90.000 euro ed infine al comma 10 regolamentò il TFR per tutti i dipendenti pubblici, vicenda che fu poi eliminata in seguito ad un altro intervento della Corte Costituzionale.

Fu però in sede di conversione che vennero introdotte all’interno dell’articolo 12 tutta una serie di novità con un bliz notturno in Commissione Bilancio del Senato da parte del relatore di maggioranza (Sen. Azzollini), ovviamente poi ratificate dalla Camera dei Deputati, e successivamente dal Senato, che entrarono in vigore insieme alla legge di conversione, e cioè il 31 luglio 2010.

Con il comma 12-bis fu avviato il percorso di innalzamento dell’età pensionabile delle donne del settore privato, con il comma 12-ter fu anticipata e accelerata la dinamica della speranza di vita rendendola triennale, con il comma 12-sexies fu portata subito a 65 anni l’età pensionabile delle donne del settore pubblico, con il comma 12-septies fu resa onerosa la ricongiunzione di cui all’articolo 1 della legge n° 29/1979, con il comma 12-octies fu reso oneroso il trasferimento all’AGO della contribuzione del Fondo Elettrici, con il comma 12-novies fu reso oneroso il trasferimento all’AGO della contribuzione del Fondo Telefonici, con il comma 12-decies fu resa più onerosa la ricongiunzione di cui all’articolo 2, della legge n° 29/1979, ed infine con il comma 12-undecies fu abrogata la legge n° 322/1958 sulla costituzione della posizione assicurativa in AGO e le altre norme di analoga portata fra le quali, in particolare, l’articolo 124 del D.P.R. n° 1092/1973.

Ma l’intervento che fu inserito in sfregio alle regole più comuni del diritto, sia da parte del relatore che da parte del Parlamento che l’ha poi votato, fu quella parte del comma 12-septies che dichiarò applicabile retroattivamente l’onerosità dell’articolo 1 della legge n° 29/1979 alle domande presentate già a partire dal 1° luglio 2010.

Esprimemmo allora tutta la nostra contrarietà a quel tipo di intervento e suggerimmo l’instaurazione di una attività di contenzioso che ora ha finalmente dato i suoi frutti.

Per capire la rilevanza della vicenda basta evidenziare che il soggetto ricorrente, dipendente pubblico, chiese la ricongiunzione nel mese di luglio, prima dell’entrata in vigore della legge di conversione, per 10 anni di Cassa Stato confidando su una operazione gratuita, ma che per effetto della norma censurata si era visto notificare un onere di ben 84.500 euro.

Ebbene, instaurato il contenzioso, il tribunale di Monza ha sollevato la questione di legittimità costituzionale che ha dato luogo alla sentenza citata le cui motivazioni sono ineccepibili, ma anche semplicemente disarmanti per coloro che hanno proposto e votato il provvedimento.

Ovviamente la Corte non ha dichiarato illegittima l’onerosità dell’articolo 1 della legge n° 29/1979 poiché, come ha sottolineato la memoria dell’avvocatura di Stato e la stessa Ragioneria dello Stato, rientra nella potestà del legislatore valutare l’opportunità di introdurre determinate normative, anche peggiorative, in relazione alle disponibilità finanziarie e alle necessità di ridurre la spesa pubblica: su tale questione la Corte non ha nulla da eccepire.

Ciò che ha invece catalizzato l’attenzione della Corte è un semplicissimo e banalissimo principio: su alcune materie non è consentito intervenire con efficacia retroattiva e fra queste c’è sicuramente la previdenza.

Farlo, dice la Corte, significa “vanificare l’affidamento legittimo che i lavoratori avevano riposto nell’applicazione del regime vigente al tempo della presentazione della domanda, principio che si configura quale elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto (sentenze n° 822 del 1988 e n° 349 del 1985).

Il legittimo affidamento, presidiato dall’articolo 3 della Costituzione, non preclude le modifiche sfavorevoli dei rapporti giuridici, ma esige che tali modifiche non si traducano in una disciplina irragionevole (sentenza n° 216 del 2015).

Con riguardo alla specifica norma censurata, non si ravvisano ragioni apprezzabili, idonee a giustificare la scelta di sacrificare l’affidamento «nel bilanciamento con altri interessi costituzionali» (sentenza n° 525 del 2000) e di incidere, con effetti retroattivi, su situazioni disciplinate da leggi precedenti.”

La Corte, quindi, “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 12-septies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n° 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n° 122, nella parte in cui prevede, per il periodo dal 1° luglio 2010 al 30 luglio 2010, che «alle ricongiunzioni di cui all’articolo 1, primo comma, della legge 7 febbraio 1979, n° 29» si applichino «le disposizioni di cui all’articolo 2, commi terzo, quarto e quinto, della medesima legge».”

Ma ancora oltre l’effetto del dispositivo, c’è un passaggio delle motivazioni che fanno preludere ad una ulteriore evoluzione.

Nell’evidenziare appunto l’irragionevolezza della retrodatazione dell’articolo 12, comma 12-septies, del d.l. n° 78 del 2010, viene evidenziato che in modo omogeneo anche i successivi commi 12-octies e 12-novies, pur non essendo oggetto dell’odierno vaglio di legittimità costituzionale, prevedono una identica efficacia retroattiva.

Da un lato appare quindi strano che la Corte non abbia d’ufficio sollevato una identica questione di legittimità costituzionale per pronunciarsi di conseguenza, ma dall’altro propone una riflessione che anche l’INPS sarebbe bene facesse propria.

Purtroppo però alla fine rimane una scarsa consolazione: il principio affermato è importante, ma non altrettanto saranno gli effetti pratici poiché solo chi avrà accettato il provvedimento di ricongiunzione, nonostante l’onerosità, potrà essere legittimato a chiedere l’applicazione della sentenza, mentre coloro che non avranno accettato il provvedimento di ricongiunzione non riusciranno a recuperare nulla.

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