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La chimera del cumulo per le casse professionali (Seconda puntata)

di Villiam Zanoni

Qualche giorno dopo aver scritto la prima puntata è finalmente arrivata una prima risposta agli interrogativi che ci ponevamo, tant’è che l’INPS ha emanato la circolare n° 140 del 12 ottobre 2017 dopo aver ricevuto in data 9 ottobre l’agognato assenso del Ministero del lavoro. Il primo effetto che la circolare ha generato è stato quello della delusione, soprattutto perché dopo 9 mesi e mezzo di attesa (una gestazione molto complicata che ha generato un frutto problematico) pensavamo di trovarci di fronte una specie di trattato, ma alla fine abbiamo trovato fisicamente 8 pagine di roba che depurate da indirizzi, titoli, premesse, amenità varie e firma finale si riducono a meno di 5 pagine di mezze risposte.

Non solo la circolare non ci fornisce tutti i chiarimenti di cui avevamo bisogno, ma fra quelli che ci fornisce ci sono almeno un paio di questioni che, come vedremo, nel bene e nel male, rappresentano una palese violazione delle norme di legge.

Tralasciamo nella analisi attuale tutte le vicende che caratterizzano l’accesso alla pensioni di reversibilità o di inabilità, mentre ci soffermeremo ovviamente sulle questioni più rilevanti inerenti le pensioni di vecchiaia e le pensioni anticipate.

Per le pensioni di vecchiaia in regime di cumulo la novità più rilevante è rappresentata dalla inclusione della contribuzione versata nelle Casse professionali, mentre per le pensioni anticipate, oltre alla inclusione delle predette Casse, tutto è una novità poiché in precedenza l’accesso a tale prestazione non era previsto.

Detto questo, esaminiamo le due questioni in ordine.

In relazione alla pensione di vecchiaia, il primo problema da affrontare è relativo al fatto che l’unica parte dell’articolo 1 della legge n° 228/2012 che è stato modificato è il comma 239, all’interno del quale è stata rimossa la previsione che impediva il cumulo a fronte di un diritto a pensione già maturato all’interno di una gestione, mentre è stata inclusa la possibilità di utilizzare appunto le Casse professionali.

Tutto il resto non è cambiato, ma soprattutto è rimasto integro il comma 241 che così dispone: “Il diritto al trattamento di pensione di vecchiaia è conseguito in presenza dei requisiti anagrafici e di contribuzione più elevati tra quelli previsti dai rispettivi ordinamenti che disciplinano le gestioni interessate all'esercizio della facoltà di cui al comma 239 e degli ulteriori requisiti, diversi da quelli di età e anzianità contributiva, previsti dalla gestione previdenziale alla quale il lavoratore o la lavoratrice risulta da ultimo iscritto”.

Collocandosi tale previsione all’interno dei requisiti previsti dalla legge Fornero per il diritto alla pensione di vecchiaia dal 2012, l’unica remota applicazione di tale norma la trovavamo per le donne che, avendo requisiti diversi nel settore pubblico e nel settore privato, e in quest’ultimo ancora diverso fra lavoratrici dipendenti e lavoratrici autonome, nella peggiore delle ipotesi erano chiamate a rispettare i 66 anni e 7 mesi di età.

Entrate nelle gestioni interessate le Casse professionali, la gestione del comma 241 diventa particolarmente problematica, in particolare per le Casse privatizzate già esistenti al 31.12.1995, poiché all’interno di queste i requisiti di età e i requisiti di contribuzione spesso differiscono anche di molto, in aumento, rispetto alle regole Fornero.

E’ qui che troviamo la prima invenzione fornita dal ministero del lavoro e recepita dall’INPS: “La pensione di vecchiaia in cumulo, tenuto conto degli ordinamenti coinvolti e della loro autonomia regolamentare può configurarsi come una fattispecie a formazione progressiva, in forza della quale rilevano più momenti o fasi interconnesse. Di conseguenza, ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia in cumulo, è necessario che sussistano i requisiti minimi di cui ai commi 6 e 7 dell’articolo 24 della legge n. 214 del 2011, utilizzando tutti i periodi assicurativi accreditati presso le gestioni di cui al comma 239. Ai fini della misura, la liquidazione del trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento, avverrà solo al conseguimento dei rispettivi requisiti anagrafici e contributivi”.

Ancorché tale novità rappresenti un elemento di positività per i lavoratori, va rilevato che la norma non contiene alcun elemento che abiliti questa interpretazione, anche se ormai ci siamo abituati ad assistere ad una proliferazione normativa attraverso le circolari piuttosto che attraverso le leggi.

Quindi in sostanza potrebbe accadere questo:

  • lavoratrice dipendente pubblica con 12 anni di contribuzione nella Gestione Dipendenti Pubblici (età pensionabile 66 anni e 7 mesi con 20 anni di contributi)
  • ex dipendente privata con 6 anni di contribuzione INPS-AGO (età pensionabile 65 anni e 7 mesi con 20 anni di contributi);
  • ex libera professionista con 10 anni di contribuzione nella Cassa Farmacisti (ENPAF) (età pensionabile 68 anni con 30 anni di contributi).

Ebbene, da un lato è scontato che i due requisiti da lavoro dipendente vanno allineati a quello più alto (66 anni e 7 mesi), mentre nel dialogo con l’ENPAF accadrà che ai fini del requisito contributivo dei 20 anni la lavoratrice potrà cumulare le tre contribuzioni (quindi 28 anni), ma all’età di 67 anni e 7 mesi otterrà solamente le due quote di pensione rispettivamente di 12 anni (GDP) e 6 anni (AGO) di contribuzione.

La vecchiaia a “formazione progressiva” relativa alla contribuzione dell’ENPAF sarà invece liquidata solo al compimento dei 68 anni.

Peccato però che la circolare non abbia chiarito un secondo aspetto importante: sommando le tre contribuzioni la lavoratrice non riesce a raggiungere il requisito dei 30 anni previsto dall’ENPAF.

Ebbene, cosa accadrà? L’ENPAF probabilmente non liquiderà la quota di pensione perché manca un requisito, ma il fatto che non si perfezioni l’ultima tappa della “formazione progressiva” inciderà sul diritto alla pensione INPS?

In relazione invece alla pensione anticipata in regime di cumulo non si pongono certamente problemi di individuazione di regole particolari o diverse, posto che i requisiti sono indiscutibilmente quelli dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini e dei 41 anni e 10 mesi per le donne (ovvero dei 41 anni nell’ambito della pensione anticipata dei precoci) e non esiste il concetto del diritto a formazione progressiva, per cui se ne ricava che la liquidazione delle diverse quote dovrebbe avvenire contestualmente in tutte le Casse.

Peccato però che né il Ministero del lavoro né l’INPS abbiano poi chiarito alcuni importanti particolari.

Il primo è relativo al concetto di “periodi assicurativi non coincidenti” che in talune situazioni non è così scontato.

Supponiamo che un lavoratore abbia 17 anni di contribuzione in una Cassa professionale e successivamente abbia 26 anni di contribuzione da lavoro dipendente tutti non coincidenti, ma abbia anche 10 anni di contribuzione in gestione separata coincidenti con il periodo da lavoro dipendente.

Ebbene è fuori discussione che può cumulare la Cassa professionale con il lavoro dipendente al fine di accedere alla pensione anticipata, ma potrà includere nel cumulo anche la gestione separata che non sarà certamente utile ai fini del diritto in quanto sovrapposta, ma potrebbe generare una ulteriore quota di pensione da liquidare contestualmente alle altre due?

Ancora, l’INPS ha sempre precisato (vedi in particolare la circolare n° 35/2012) che prima ancora di verificare l’esistenza del requisito per la pensione anticipata, occorre verificare l’esistenza o meno dei 35 anni di contribuzione previsti dalle norme ante Fornero.

Poiché detto requisito è particolarmente importante in regime AGO, non è ben chiaro quanto possa incidere all’interno del regime di cumulo al quale potrebbero concorrere dei periodi non necessariamente di attività lavorativa.

Dalla lettura della circolare emerge poi un altro problema relativo ai meccanismi del calcolo delle rispettive quote.

La vicenda non riguarda certamente le Casse professionali, ma tutte le gestioni da lavoro dipendente o da lavoro autonomo all’interno delle quali esiste il problema relativo alla rilevazione della anzianità contributiva al 31.12.1995 ai fini della determinazione del sistema di calcolo applicabile (retributivo o misto).

Ebbene, il comma 246 dell’articolo 1 della legge n° 228/2012, non modificato dalla legge n° 232/2016, prevede che “per la determinazione dell’anzianità contributiva rilevante ai fini dell’applicazione del sistema di calcolo della pensione si tiene conto di tutti i periodi assicurativi non coincidenti, accreditati nelle gestioni di cui al comma 239”.

Tradotto in sintesi significa che se sommando tutti i periodi non coincidenti arrivo a 18 anni al 31.12.1995, nelle gestioni dove esiste il calcolo retributivo questo mi deve essere riconosciuto.

La circolare INPS invece così prevede: “per la determinazione dell’anzianità contributiva rilevante ai fini dell’applicazione del sistema di calcolo della pensione, secondo quanto previsto dall’articolo 1, commi 6, 12 e 13, della legge n° 335 del 1995 … ai fini della determinazione dell’anzianità contributiva posseduta al 31 dicembre 1995, deve essere presa in considerazione la sola contribuzione maturata dall’interessato presso l'assicurazione generale obbligatoria, le forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché la gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n° 335 del 1995”.

Forse chi ha scritto quella cosa aveva la mente altrove poiché nella foga della scrittura ha acceduto: posto che la gestione separata è nata dopo il 1995 come può la contribuzione di quella gestione concorrere a formare l’anzianità contributiva al 31.12.1995 ai fini delle regole di calcolo?

Ma il problema vero è un altro, e qui siamo alla seconda violazione della norma che questa volta rappresenta un elemento di negatività per i lavoratori.

La norma prevede chiaramente che al fine di cui sopra si debba tenere conto di tutti i periodi assicurativi accreditati nelle gestioni che concorrono al cumulo e non si capisce quindi da dove tragga origine l’interpretazione dell’INPS che spudoratamente nega l’evidenza.

La situazione è esattamente la stessa che si era proposta a suo tempo ai fini della totalizzazione, quando cioè il Ministero del lavoro, attraverso la circolare allora emanata, consenti la valutazione dell’intera anzianità contributiva, comunque costituita, posseduta al 1995 al fine di individuare le regole di calcolo di una quota pensione il cui diritto fosse comunque autonomamente maturato a prescindere dalla totalizzazione.

In quel contesto, infatti, nulla fu eccepito in merito alle Casse professionali, ed è quindi ancora più incomprensibile che oggi si neghi questa opportunità che la norma esplicitamente ha introdotto.

Se lo scenario illustrato è abbastanza complicato e sostanzialmente non allineato con le disposizioni emanate, l’unico problema che resta è quello di capire quanto verrà fatto, probabilmente nell’ambito della legge di bilancio 2018, al fine di dare copertura “normativa” alla circolare stessa.

Stanno infatti già circolando voci in merito ad una sorta di interpretazione autentica che metta l’INPS al coperto rispetto ad un inevitabile contenzioso, motivo per cui dovremo seguire i futuri sviluppi ed agire di conseguenza.

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