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Un nuovo ruolo per il Terzo settore?

Di Daniele Perugini 


Il Terzo settore è una realtà che, superata la logica della mera alternativa allo Stato e al Mercato, è oggi permeata in ogni ambito della nostra società, seppur conservando le proprie caratteristiche di base. Con l’emanazione del Codice del Terzo settore si sta probabilmente aprendo una nuova fase nel lungo percorso che, da sempre, vede interagire tali corpi intermedi con le nostre comunità. Quale ruolo potranno avere tali organizzazioni e quali rapporti con le amministrazioni pubbliche?

Il principio associativo e lo spirito di aggregazione, in tutte le fasi della storia anche pre-unitaria del nostro Paese, attraverso l’esperienza dei cosiddetti corpi intermedi, in special modo quelli che operano in regime di no profit, hanno costituito un patrimonio di sicuro valore come elemento fondativo e strutturale della nostra società.

Queste organizzazioni, nelle loro diverse configurazioni, costituiscono quello che attualmente è riconosciuto come “Terzo settore”, in un’accezione utilizzata a partire dalla metà degli anni Settanta per aggregare etimologicamente le diverse forme giuridica organizzate ed alternative rispetto alla società per azioni e all’ente pubblico: si tratta infatti di soggetti di natura privata che, senza scopo di lucro, perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale promuovendo e realizzando attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.

Dopo anni di interventi normativi frammentari e dedicati a singole tipologie di organizzazioni no profit, sembra che, in attuazione della delega di cui alla legge n. 106/2016, il complessivo quadro di riforma possa aver finalmente trovato, attraverso il Codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo n. 117/2017, l’occasione favorevole per la definizione degli attori, delle azioni, delle opportunità e dei limiti che tali organizzazioni reclamavano da tempo, specie con riferimento al loro ruolo nell’ambito dei servizi pubblici.

IL CONTESTO.  Il legislatore era più volte intervenuto - soprattutto a partire dagli anni Ottanta - senza tuttavia riuscire a dare organicità e completezza all’ordinamento, peraltro in un contesto in cui solo a partire dalla riforma costituzionale del 2001, attraverso la modifica del Titolo V, si è avuto pieno riconoscimento del ruolo delle aggregazioni con l’affermazione del principio di sussidiarietà orizzontale, sancito dal comma 4, dell’articolo 118, secondo il quale Stato, Regioni ed Enti locali devono favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati per lo svolgimento di attività di interesse generale. In un contesto socio-economico gravato da una crisi economico-finanziaria che ha acuito le disuguaglianze e ha fatto emergere nuovi bisogni, il sistema pubblico di welfare entro cui principalmente operano le organizzazioni che si riconoscono nel Terzo settore ha sofferto di frammentarietà ed emergenzialità, caratterizzandosi, piuttosto, per l’assenza di una strategia progettuale d’insieme e di lungo periodo. Tale limitazione, tuttavia, non può essere riferibile in modo così stringente ed esclusivo alla necessità di riduzione della spesa pubblica, quanto alla complessità della articolazione interna del settore stesso, seppur in un contesto contraddistinto da una significativa riduzione delle risorse stanziate, anche a livello regionale e locale, in favore delle politiche sociali. L’espansione e la differenziazione dei bisogni ha reso necessario il ricorso a strategie alternative e complementari, pronte a intercettare le criticità emergenti anche ai livelli più bassi, attraverso nuove forme di collaborazione tra settore pubblico, mercato e società civile.

LA LEGGE DELEGA N. 106/2016. La necessità di un riordino e una sistematizzazione della normativa, pur avvertita da tempo, si concretizza di recente grazie alla legge 6 giugno 2016, n. 106 recante “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”. La legge n. 106/2016 segue una diversa direzione rispetto ai progetti precedenti, fin ad allora destinati a singole tipologie di organizzazioni e per lo più concentrati sulla revisione del Libro Primo del Codice Civile. La legge delega esordisce fornendo, al comma 1, dell’articolo 1, una definizione giuridica del Terzo settore, inteso come il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi. È al successivo comma 2, lettera b) che prevede poi il riordino e la revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria, mediante la redazione di un apposito Codice del Terzo settore: l’intenzione del legislatore delegante è quella di dar vita ad un Codice unitario, mediante un’armonizzazione ed una semplificazione dell’intero ordinamento in materia. La delega considera decisiva l’attività svolta da un ente e la sua connessione con l’interesse generale al fine di qualificarne l’utilità sociale e, al contempo, ridimensiona la centralità della forma giuridica assunta dagli enti. In via più in generale, va sottolineato che, in attuazione del nuovo assetto del comparto no profit, delineato proprio dalle deleghe contenute nella legge n. 106/20216, è stata definita anche l’istituzione e la disciplina del servizio civile universale (D. Lgs. n. 40/2017), la nuova disciplina del cinque per mille dell’Irpef (D. Lgs. n. 111/2017) e sono state introdotte specifiche disposizioni riguardanti l’impresa sociale (D. Lgs. n. 112/117).

Il CODICE DEL TERZO SETTORE.  Un tale percorso di riforma sembra quindi trovare nel decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 – attuativo di una parte della delega, quella riguardante appunto il Codice del Terzo settore - quell’equilibrio che era mancato in passato, con l’introduzione di un corpo di norme unitario posto a regolamentare i principali aspetti civilistici, gestionali e tributari degli enti senza scopo di lucro. Il decreto legislativo n. 117/2017 (d’ora in poi Codice), rubricato, per l’appunto, “Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106”, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 agosto 2017 ed entrato in vigore, seppur con specificità per alcune disposizioni, il giorno successivo. Il Codice del Terzo settore si suddivide in dodici Titoli e, complessivamente, la disciplina risulta declinata in ben 104 articoli. Per quello che qui interessa, verranno sommariamente accennati solo alcuni elementi riguardanti gli enti del Terzo settore e le attività definite nel Codice, al solo fine di delineare il ruolo e le forme di relazione tra tali organizzazioni e le amministrazioni pubbliche.

GLI ENTI DEL TERZO SETTORE. Nel nostro ordinamento la locuzione Terzo Settore identifica quegli enti che operano e si collocano in determinati contesti, non riconducibili né al Mercato (qui inteso come l’insieme degli attori economici che agiscono per profitto), né allo Stato (cioè l’intero sistema politico-amministrativo centrale e locale ed i relativi apparati), rappresentando una realtà sociale, economica e culturale in continua evoluzione. Secondo un’indagine dell’Istat, al 31 dicembre 2015 risultano attive nel nostro Paese 336.275 istituzioni no profit che impiegano complessivamente 5 milioni 529 mila volontari e 788 mila dipendenti. L’articolo 4 del Codice delimita il perimetro del Terzo settore, enumerando gli enti che ne fanno parte, attraverso un’elencazione precisa con riguardo alla tipologia di appartenenza; alla prescritta assenza di scopo di lucro; alla necessaria previsione statutaria di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale; alle modalità di attuazione di tali finalità e all’obbligatoria iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore. In virtù della medesima disposizione, non fanno parte del Terzo settore le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, mentre viene precisato che alle fondazioni bancarie, seppur siano enti che concorrono al perseguimento di finalità riferibili ai contenuti della legge delega, non si applicano le disposizioni contenute in essa e nei relativi decreti attuativi. Peraltro è prevista una disciplina differenziata per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e per gli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato italiano. Il Codice precisa che non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni datoriali, nonché gli enti sottoposti a direzione, coordinamento o controllo da parte dei suddetti. Esplicita esclusione riguarda poi i soggetti operanti nel settore della protezione civile, per la cui disciplina lo stesso Codice dispone un parziale rimando alle disposizioni di riordino di tali organizzazioni. Ulteriore specifica riserva di esclusione riguarda poi i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d'Aosta.

LE ATTIVITÀ.  L'applicazione del principio della sussidiarietà orizzontale ha dimostrato di costituire un elevato potenziale di modernizzazione delle amministrazioni pubbliche e costituisce l’anima del modello partecipativo del cittadino e dei cosiddetti corpi intermedi nella cura dei bisogni collettivi e nelle attività di interesse generale, all’interno di un modello organizzativo e funzionale nel quale i pubblici poteri intervengono in funzione sussidiaria di programmazione, di coordinamento e, solo eventualmente, di gestione. La riforma del Terzo Settore riconosce e valorizza le finalità che devono caratterizzare l’azione dei soggetti non profit, prevedendo che le finalità di interesse generale possano essere conseguite (anche) attraverso lo svolgimento di attività avente natura economico-imprenditoriale. Le forme organizzative (nelle quali sono ricomprese le cooperative sociali) attraverso cui i suddetti obiettivi possono essere conseguiti possono svolgere, tra l’altro, attività di produzione e scambio di beni e servizi in un’ampia gamma di ambiti e settori di intervento, all’interno dei quali sono ricomprese anche prestazioni e interventi sociali, prestazioni sanitarie e socio-sanitarie. Il legislatore riconosce e descrive in due distinti articoli del Codice (rispettivamente il 5 e il 6) le “attività di interesse generale” e le “attività diverse”. Tali attività, che estrinsecano il ruolo degli enti del terzo settore nei servizi pubblici, possono essere realizzate mediante forme di azione volontaria e gratuita (volontariato) o di mutualità (associazionismo) o di produzione e scambio di beni o servizi (cooperative/impresa sociale). Il perseguimento delle “attività di interesse generale” definite all’articolo 5 del Codice qualifica le organizzazioni del terzo settore sulla base di elementi sostanziali, ponendo un discrimine nell’utilizzo delle diverse forme giuridiche. L’indicazione di 26 tipologie di attività generali del Codice è tassativa ma viene previsto che tale elenco possa essere aggiornato con D.P.C.M: la lista comprende tutte le attività che già storicamente gli enti svolgono e ne introduce ulteriori in cui tali organizzazioni possono avere un ruolo fondamentale per la promozione dell’interesse generale. Le disposizioni di cui all’articolo 6 del Codice consentono agli enti del Terzo settore l’esercizio anche di “attività diverse” da quelle di “interesse generale”, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto all’attività di interesse generale e secondo i limiti e i criteri individuati con apposito decreto.

IL REGISTRO UNICO NAZIONALE.  Il Codice prevede una forte accentuazione dei doveri di accountability e dei controlli che dovranno essere applicati alle organizzazioni che vorranno essere riconosciute quali enti del Terzo settore: il Registro Unico Nazionale del Terzo settore, la costituzione per atto pubblico per gli enti che vogliano ottenere la personalità giuridica, il deposito dei bilanci d’esercizio e di quelli sociali, gli obblighi di trasparenza mediante sito web, la presenza obbligatoria di un organo di controllo interno, la revisione legale, le visite periodiche sono alcuni elementi di un sistema volto a favorire la corretta gestione e la conoscibilità delle attività verso gli associati e gli altri stakeholder. Attraverso il Registro unico nazionale del Terzo settore si intende costituire un unico punto di riferimento, con iscrizione vincolante per accedere ai benefici previsti, monitoraggio e gestione a cura delle Regioni, su un’unica piattaforma nazionale che farà capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il legislatore delegato ha voluto quindi superare le criticità legate alla pletora di registri ed albi che hanno disperso l'anagrafica del mondo no profit: a regime, il Registro Unico sarà accessibile a tutti in modalità informatica e conterrà tutta la storia delle associazioni dalla costituzione alla cessazione. L’ articolo 53 del Codice fa prevedere che il Registro sia operativo per la seconda metà del 2019: è infatti previsto che entro un anno dalla pubblicazione del Codice vengano emanate le disposizioni sulle procedure di iscrizione al Registro, attraverso un decreto ministeriale e che entro i successivi 180 giorni sia compito dei conseguenti provvedimenti di Regioni e Province autonome stabilire i procedimenti per l’emanazione dei provvedimenti di iscrizione e cancellazione. Iscriversi non sarà un obbligo, ma ciascuna organizzazione dovrà valutare le conseguenze della decisione di restare fuori dal perimetro degli enti registrati, considerando che diverse disposizioni di favore del Testo unico delle imposte sui redditi saranno abrogate con l’entrata in vigore del Codice.

AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE E TERZO SETTORE.  Con l’emanazione del Codice viene consolidato il ruolo dei corpi intermedi, chiamati, insieme agli enti pubblici, a svolgere azioni ed interventi volti a rafforzare la coesione sociale e ad assicurare una maggiore tutela dei diritti sociali e civili. L’articolo 2 del Codice riconosce il valore e la funzione sociale del Terzo settore, quale espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo; dispone che se ne promuova lo sviluppo e che venga favorito l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale “anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali”. Viene quindi rimarcato il ruolo dell’attore pubblico, sia a livello centrale che a livello locale, che è fondamentale per il funzionamento dell’intero sistema basato sul no profit, innanzitutto per la sua visione “globale” e la sua legittimazione, ma anche per indirizzare le azioni del Terzo settore in sintonia con gli obiettivi pubblici, su basi giuridiche certe e trasparenti. Necessario è infatti l’intervento pubblico nell’ambito del coordinamento, del monitoraggio e della valutazione delle azioni, ma anche per assicurare l’accessibilità, l’equità e la qualità dei servizi erogati dagli enti del Terzo settore. L’articolo 55 del Codice prevede che le amministrazioni pubbliche assicurino il coinvolgimento attivo degli ETS, attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione ed accreditamento nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività generali. In sostanza, viene ripreso il sistema già previsto dalla Legge quadro n. 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, ma vengono decisamente ampliate le possibilità di applicazione, cosicché co-programmazione, co-progettazione e accreditamento diventano tipologie di azione a carattere generale e non soltanto per la realizzazione degli interventi e dei servizi sociali. Al successivo articolo 56 il Codice riprende anche il modello per così dire tradizionale di partenariato, cioè la convenzione: le amministrazioni pubbliche possono sottoscrivere convenzioni con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale per lo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato. Sottolinea il Codice che tali convenzioni possono prevedere esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate: si tratta di attività in regime convenzionale che le amministrazioni pubbliche potranno effettuare nei limiti delle risorse disponibili. Specifica attenzione viene poi prestata dal Codice ai servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza che possono essere, in via prioritaria, oggetto di affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato accreditate ai sensi della normativa regionale in materia, ove esistente, nelle ipotesi in cui, per la natura specifica del servizio, l'affidamento diretto garantisca l'espletamento del servizio di interesse generale, contribuendo alla finalità sociale e di perseguimento degli obiettivi di solidarietà, in condizioni di efficienza economica, adeguatezza e nel rispetto dei principi di trasparenza e non discriminazione.

LE PROSPETTIVE PER UN NUOVO RUOLO DEL TERZO SETTORE. L’elemento più significativo del Codice è probabilmente la nuova governance basata su strumenti giuridici di alleanza tra soggetti no profit, for profit e pubblici, volta ad incrementare la possibilità di dare risposte adeguate ai rischi e bisogni sociali emergenti, come, ad esempio, la perdita dell’autosufficienza, l’esclusione sociale, la marginalità abitativa e le criticità legate al fenomeno dell’immigrazione. In questa cornice, il Terzo settore e le amministrazioni pubbliche si trovano a dover ripensare ai reciproci ruoli all’interno di un quadro normativo, amministrativo e metodologico stabile con la disponibilità di un modello/sistema di condivisione della titolarità della funzione pubblica e delle connesse responsabilità. La collaborazione con il Terzo settore deve quindi innanzitutto rispettare i caratteri identitari delle differenti organizzazioni, coinvolgendo quei soggetti che, per struttura e vocazione, siano il più coerenti possibili rispetto ai bisogni presi in considerazione dall’amministrazione pubblica. D’altro canto, occorre anche aggiungere che la co-programmazione e la co-progettazione spingono le organizzazioni del Terzo settore ad attivare tra loro reti di aggregazione, per mettere a sistema le diverse professionalità e organizzare compiti e responsabilità in modo unitario, presentandosi come un unico interlocutore nei rapporti con l’ente pubblico. Di certo la riforma del Terzo settore attuata attraverso il Codice costituisce una concreta possibilità per associazioni, fondazioni e cooperative sociali di riflettere sulle loro finalità statutarie e sulle modalità organizzative ritenute maggiormente idonee per conseguirle. Occorrerà, di contro, evitare che adempimenti troppo onerosi per l’iscrizione al Registro, a fronte delle agevolazioni concesse sul piano amministrativo o fiscale, provochino la mancata partecipazione al processo di rinnovamento, soprattutto da parte delle organizzazioni di dimensioni ridotte e meno strutturate a livello organizzativo. Per la piena attuazione della delega e delle stesse disposizioni del Codice, occorre attendere ancora l’emanazione di alcuni provvedimenti legislativi e di natura amministrativa, tra cui spiccano quelli citati in merito al Registro. Nel frattempo, per la gestione del periodo transitorio, con riguardo alla disciplina fiscale sono state previste differenziazioni e specifiche eccezioni nell’applicazione dei regimi tributari e nell’uso di strumenti fiscali. Per altri aspetti è intervenuto anche il Ministero del Lavoro che ha chiarito alcune questioni relative alla disciplina da adottare per tale periodo di transitorietà, intercorrente tra l’entrata in vigore del Codice del Terzo settore e l'operatività del Registro. Si fa riferimento alla circolare ministeriale del 29/12/2017, rubricata - “Codice del Terzo settore. Questioni di diritto transitorio. Prime indicazioni”, secondo la quale, in attesa delle previste modifiche statutarie delle organizzazioni ed associazioni, le iscrizioni agli attuali registri (ad esempio, i registri regionali del volontariato) continueranno ad essere regolate dalle norme procedimentali in essere con l’accortezza che, in sede di verifica della sussistenza dei requisiti richiesti per l'iscrizione, dovrà essere operata una distinzione tra gli enti che si sono costituiti prima della data di entrata in vigore del Codice e quelli costituiti successivamente.

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