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BENESSERE ORGANIZZATIVO E LAVORO AGILE

di Enrica Conti, Alessandro Pallaro,  Armando Rizzi

Affrontare il tema del BENESSERE ORGANIZZATIVO in relazione ai PROCESSI DI CAMBIAMENTO di questa fase storica legata alla pandemia da Covid-19 aiuta a capire non solo quello che è accaduto, utilizzando alcune CHIAVI DI LETTURA, ma anche per capire quali aspetti del lavoro agile approfondire, in rapporto al benessere organizzativo per il prossimo futuro nella Pubblica Amministrazione.

E, partendo dall’analisi di alcune criticità emerse in questi ultimi 14 mesi, si tratta di capire quali possibili indicazioni prospettiche, quali le competenze si possono sviluppare e come operare in remoto in un’ottica di benessere e salute, anche nella prospettiva di una implementazione a regime del lavoro agile nelle organizzazioni pubbliche.

Concettualizzare cosa è il benessere organizzativo è un passaggio necessario. Nell’ultimo decennio, anche prima, nella P.A. si è assistito a un interesse progressivamente crescente, non solo per la sicurezza e la salute del lavoratore ma anche per la promozione del benessere (individuale e organizzativo), della qualità della vita lavorativa, della motivazione a lavoro e delle altre dimensioni organizzative. Questo ha fatto sì che anche a livello normativo – alterne fortune – ci siano stati segnali orientati in tale direzione. Un primo importante passaggio in questa direzione è stata la direttiva della Funzione Pubblica sul Benessere Organizzativo del 2004.

Da allora si sono susseguite una serie di norme che hanno inteso sollecitare e orientare le PA a porre attenzione su aspetti organizzativi prima tenuti in minor considerazione, soprattutto quelli relazionali legati alla comunicazione, alla motivazione, alla cultura organizzativa, alla cultura del risultato, alla valutazione multi stakeholder.

In questa direzione si collocano il Decreto Legislativo 81/2008 sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il D.L. 27 ottobre 2009, n. 150, e il D.L. 14 marzo 2013, n. 33. Queste norme, in particolare, sono orientate a individuare modalità operative e di conduzione manageriale ponendo attenzione alla creazione e al potenziamento di operatori pubblici sempre più motivati e desiderosi di dedicare la propria professionalità e competenza all’organizzazione di appartenenza.

Se questo sollecitano le norme, è anche vero che, a oggi, per la maggior parte delle PA non è sempre facile capire come muoversi per promuovere un nuovo flusso “migliorativo” e mettere in atto le giuste azioni sia per adempiere agli obblighi di legge, sia per rendere i contesti organizzativi delle PA luoghi di qualità dei servizi e di benessere individuale e organizzativo.

Gli studi scientifici di tipo psicosociale e di organizzazione del lavoro hanno ampiamente dimostrato che alla base del benessere organizzativo ci sono dimensioni quali la motivazione, la comunicazione, l’attenzione allo stress lavoro correlato, la capacità di auto-motivazione e altri aspetti con le altre componenti del sistema; il tutto finalizzato a creare un adeguato clima organizzativo.

Queste caratteristiche hanno, come è evidente, una preminente natura“relazionale” e assumono importanza in quanto le relazioni interpersonali sono una caratteristica imprescindibile, in qualsiasi sistema organizzativo e in qualsiasi contesto di lavoro.

Alla base di un sistema relazionale tra dirigenti e collaboratori, tra i dipendenti tra di loro, è centrale è la comunicazione. Se un sistema organizzativo è fondato consapevolmente sulla cultura della comunicazione gli operatori saranno più motivati al lavoro in team e a cercare soddisfazioni nell’ impegno lavorativo.

Cosa si fa a supporto e a promozione di tutto questo nella PA?

Gli interventi formativi e di accompagnamento al benessere sono mirati a migliorare le componenti individuali e, consequenzialmente, organizzative che sono state descritte nonché a potenziare le competenze trasversali, (cd soft skills) e ad aumentare la conoscenza di sé stessi, stimolare l’auto riflessione sui significati del lavoro, rinforzare le risorse di coping: autostima, autoefficacia, intelligenza emotiva. E’ necessario fornire strumenti efficaci di autoregolazione emotiva per gestire al meglio i momenti di maggiore stress e le relazioni sociali nei luoghi di lavoro, per gestire l’espressione della conflittualità entro limiti tollerabili di convivenza, per stimolare un ambiente relazionale collaborativo; avere apertura verso l’ambiente esterno e verso l’innovazione tecnologica e culturale. Occorre, inoltre, favorire il lavoro in team ed esercitare una buona leadership.

Il fine è la instaurazione di un clima di cooperazione, collaborazione e propositività, componenti indispensabili perla qualità dei servizi ai resi ai cittadini e al territorio.

L’ OMS (1998) definisce la salute “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale non semplicemente l’assenza di malattia o infermità”; la salute organizzativa è “l’insieme degli approcci culturali e operativi, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la convivenza nei contesti di lavoro, attraverso la comunicazione e la collaborazione, promuovendo, mantenendo e migliorando il benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità Lavorative”.

Si può quindi definire la salute e il benessere organizzativo non solo come assenza di malattia ma come condizione di armonico equilibrio funzionale, fisico, psichico e relazionale dell’individuo, dinamicamente integrato e in rapporto con il suo ambiente di vita naturale e sociale.

Affrontiamo ora come il tema del benessere organizzativo alla luce dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

La considerazione del contesto lavorativo – nel nuovo contesto determinato dell’emergenza pandemica – e, di conseguenza, il tema del benessere organizzativo, non può prescindere dalla valutazione delle modalità di svolgimento del lavoro stesso.

Un contesto lavorativo che condiziona il lavoratore per la sua nuova collocazione operativa, come quella familiare.

Lo strumento del lavoro da remoto da noi ha assunto le sembianze del lavoro agile (solo in Italia ha adottato questa locuzione) o “smart working” ed è stato inquadrato in una cornice di innovazione dei processi organizzativi della P.A.

Esso, infatti, offrendo ai lavoratori opportunità nuove di flessibilità e autonomia nell’espletamento della prestazione lavorativa avrebbe dovuto consentire, al tempo stesso, di raggiungere traguardi importanti verso una nuova filosofia manageriale (“lavorare ovunque e senza vincoli di orario”), richiedendo, di fatto un ripensamento dei processi organizzativi in chiave di ottimizzazione e risparmio, e rafforzando le competenze digitali del singolo realizzando la responsabilizzazione rispetto gli obiettivi del personale coinvolto.   

La disciplina ordinaria dello smart working, declinata inizialmente ed esclusivamente come “telelavoro” ruotava intorno all’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”) per poi articolarsi meglio con la legge del 22 maggio 2017, n. 81 (“Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”).

Lo scenario imposto dalla pandemìa ha impattato in modo molto brusco sulla disciplina dello smart working, nel senso di imprimerle un’accelerazione imprevista.

In particolare il Decreto legislativo n. 9 del 2 marzo 2020 ha abrogato l’articolo 14 della legge n. 124/2015, superando di fatto e del tutto il regime di sperimentazione che era stato previsto per l’istituto.

Per effetto della decretazione di urgenza dettata dall’articolo 87 del Decreto legislativo n. 18 del 17 marzo 2020, l’attività della P.A. è stata così garantita in regime esclusivo di lavoro agile, individuato proprio come “modalità ordinaria” di svolgimento della prestazione lavorativa.

Superata la fase più propriamente “emergenziale” (marzo-ottobre 2020) dell’attività di contrasto alla pandemìa, la prospettiva di applicazione del lavoro agile è stata completamente rovesciata, per adeguare l’operatività degli Uffici pubblici alle esigenze di riavvio delle attività produttive e commerciali.

A tal fine, il Ministro della Pubblica Amministrazione, con Decreto 9 dicembre 2020, ha emanato – così come accennato - le “Linee guida sul ‘Piano organizzativo del lavoro agile’ (‘Pola’) e Indicatori di performance”.

La nuova norma ha così posto la modalità agile all’interno di un ventaglio di possibilità organizzative dell’attività lavorativa pubblica che, in vista dell’erogazione dei servizi, prevedono la possibilità di adottare tale forma di lavoro nel quadro di una previsione annuale.

Ora, se confrontiamo le percentuali degli Stati che hanno adottato tale modalità, scopriamo come prima della pandemìa – anno 2018 - l’85% dei lavoratori UE a 27 non avesse mai lavorato da casa (fonte Eurostat 2019); percentuali che si ribaltano completamente durante il periodo pandemico, fino ad arrivare a punte del 60% dei lavoratori impiegati solo nel settore pubblico.

Un segnale di come lo smart working non fosse proprio contemplato quale forma di lavoro abituale se non per grandi realtà aziendali.

Tuttavia, tale applicazione “forzata”, da parte delle PA per esempio, ha consentito di mettere in luce punti di forza e di debolezza da cui è scaturito un ampio dibattito anche nell’ottica di individuare quegli strumenti che, a regime, potranno in futuro consentire di utilizzare proficuamente il “lavoro agile” come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa. 

A ben guardare è come se si fosse accelerato un processo, senza la preparazione e la conoscenza completa degli strumenti che si sarebbero messi in campo.

E’ evidente come alla luce di un rischio alto e diffuso della salute non ci sia posti la pregiudiziale del cd disagio lavorativo, o quanto meno non ci sia posti né la questione della postazione di lavoro – con tutti i problemi di ergonomia che ne consegue – né la questione più complessa dei rischi psicosociali.

Lo smart working cd emergenziale ha saputo garantire di certo una continuità al lavoro nel rispetto delle misure di contenimento del virus; ha saputo assicurare una ottimizzazione delle risorse aziendali; si è mostrato quale spinta al processo di transizione nella diffusione di modalità di lavoro flessibile e da remoto; ha rivoluzionato tutto quel mondo che gira attorno alla .d sostenibilità ambientale e di mobilità.

Ma dobbiamo considerare anche gli aspetti critici, di debolezza se vogliamo, tutti in ricaduta sul singolo; e stiamo parlando, più schematicamente:

  1. di una impreparazione organizzativa e tecnologica (in Italia è stato applicato a quasi il 90% della forza lavoro);
  2. del rischio all’isolamento e di un mancato coinvolgimento nella vita aziendale del lavoratore;
  3. della necessità di regolamentazione dell’orario (diritto alla disconnessione);
  4. della riduzione dei confini tra lavoro e vita privata;
  5. del sovraccarico tecnologico e di interconnessione subìto (cd tecno stress);
  6. dei disagi dovuti alla convivenza e alla condivisione degli spazi di vita familiare.

Se si volesse fare una disamina dei rischi da stress lavoro correlato, alla luce degli aspetti legati ai fattori psicosociali impattanti sulla salute del lavoratore, sarebbe utile mettere a raffronto elementi di indagine, prima e dopo la pandemìa, che focalizzino la condizione del singolo proprio per questi termini di criticità. A tal fine sarà necessario valutare gli esiti delle indagini in corso da parte di istituti pubblici e privati sui risultati del lavoro agile nel periodo emergenziale, integrandoli con le analisi interne relative alle singole unità produttive.

Infine, il profondo processo di innovazione che, a breve, la PA sarà chiamata ad affrontare arricchisce il benessere organizzativo di una complessità e di una valenza ulteriore: l’efficacia delle azioni di cambiamento non può prescindere da un adeguato clima di benessere interno a sostegno delle innovazioni. In tale ottica l’erogazione di interventi formativi in materia, rivolti alla dirigenza e alla generalità dei lavoratori, può rappresentare un fattore di rilievo a sostegno del rinnovamento.

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