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Dott. Villiam Zanoni

L’ultimo colpo di coda della Riforma Fornero e i sui effetti sulla cessazione del rapporti di lavoro pubblico

pensioniprevSempre in attesa dell’evoluzione e delle novità della legge di bilancio 2017, in questa occasione prendo a riferimento una recente circolare dell’INPS che, pur riguardando i lavoratori del settore privato, avrà sicuramente delle ripercussioni sugli atteggiamenti che dovranno adottare le Pubbliche Amministrazioni in ordine alla applicazione del limite ordina mentale per la cessazione dei rapporti di lavoro. La circolare è la n° 196 del 11 novembre 2016, ma per capirne i contenuti occorre fare un passo indietro ai tempi dell’entrata in vigore del decreto “Salva Italia” e della riforma Fornero.

Come si ricorderà, a fronte dei pesanti inasprimenti dei requisiti per l’accesso a pensione sia di vecchiaia, sia anticipata, furono introdotte una serie di fattispecie derogatorie già nella norma originaria, compresa la prima salvaguardia degli esodati, cui hanno fatto poi seguito le ulteriori 6 salvaguardie.

Ovviamente le deroghe più significative furono quelle riferite a coloro che avevano già acquisito al 31 dicembre 2011 i preesistenti requisiti, nonché quella riferita all’“opzione donna” fino alla fine del periodo di sperimentazione originariamente previsto (31.12.2015).

Quando però fu convertito il Decreto-legge n° 201/2011 con la legge n° 214/2011, in quella occasione fu inserito nell’articolo 24 il comma 15-bis che letteralmente così prevede:

“In via eccezionale per i lavoratori dipendenti del settore privato le cui pensioni sono liquidate a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive della medesima:

  1. i lavoratori che abbiano maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2012 i quali avrebbero maturato, prima dell’entrata in vigore del presente decreto, i requisiti per il trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2012 ai sensi della Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n° 243, e successive modificazioni, possono conseguire il trattamento della pensione anticipata al compimento di un’età anagrafica non inferiore a 64 anni;
  2. le lavoratrici possono conseguire il trattamento di vecchiaia oltre che, se più favorevole, ai sensi del comma 6, lettera a), con un’età anagrafica non inferiore a 64 anni qualora maturino entro il 31 dicembre 2012 un’anzianità contributiva di almeno 20 anni e alla medesima data conseguano un’età anagrafica di almeno 60 anni di età.”

Poiché quel comma era rivolto ai “lavoratori dipendenti del settore privato le cui pensioni sono liquidate a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive” i suoi contenuti non vennero mai presi in considerazione dalle pubbliche amministrazioni e dai dipendenti pubblici, tant’è che fu illustrato e commentato solo dalla circolare n° 35/2012 dell’INPS.

In quel momento assistemmo all’ennesima assurdità interpretativa (e quindi allo strapotere delle circolari) in base alla quale l’INPS, con il consenso del Ministero del Lavoro, ritenne applicabile tale deroga ai soli lavoratori dipendenti con rapporto di lavoro in essere alla data del 28 dicembre 2011, data di entrata in vigore della legge di conversione che conteneva appunto quella novità.

Le successive precisazioni contenute nel messaggio n° 219/2013 mantennero tale impianto interpretativo, per cui assistemmo ad una serie di iniziative da parte del sindacato e da parte di diversi parlamentari per modificare tale interpretazione.

Ebbene ora finalmente il Ministero del Lavoro, dopo aver acquisito un parere del proprio ufficio legislativo, con nota n° 13672 del 26 ottobre 2016 ha maturato un diverso orientamento in conseguenza del quale l’INPS ha poi emanato la circolare n° 196 citata in premessa.

In conseguenza di tutto ciò la situazione ora è quindi la seguente.

Quella deroga che poi chiariremo meglio troverà quindi applicazione anche per quei soggetti che al 28 dicembre 2011 non erano in attività lavorativa, oppure svolgevano attività come lavoratori autonomi o parasubordinati, oppure lavoravano alle dipendenze di Pubbliche Amministrazioni.

La condizione essenziale è che ovviamente abbiano maturato il diritto a pensione alle condizioni ivi richiamate in qualità di lavoratori dipendenti privati.

Il comma 15-bis citato prevede quindi due possibilità di accesso a pensione in deroga alla norma Fornero:

-          la prima è riferita a quei lavoratori che nel corso dell’anno 2012 avrebbero maturato il diritto alla pensione di anzianità con il meccanismo della “quota” (35 anni di contribuzione, 60 anni di età, quota 96), quindi l’ultima classe di nascita poteva essere l’anno 1952;

-          la seconda è riferita alle lavoratrici che nel corso del 2012 avrebbero maturato i preesistenti requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia (20 anni di contribuzione e 60 anni di età), quindi l’ultima classe di nascita poteva essere l’anno 1952.

In entrambi i casi, tuttavia, la pensione non avrebbe potuto avere decorrenza prima del compimento del 64° anno di età, requisito quest’ultimo ovviamente agganciato alla dinamica di speranza di vita, quindi oggi 64 anni e 7 mesi di età.

Non entro nel merito di alcune parti della circolare n° 196/2016 che contengono nuove ulteriori assurdità interpretative che in altra sede contesteremo, ma in questa sede mi interessa soprattutto sottolineare le ricadute che potrebbero interessare le Pubbliche Amministrazioni.

Parlando della classe 1952 o precedenti e parlando di soggetti che dovrebbero avere una età non inferiore a 64 anni e 7 mesi, potremmo avere dei dipendenti pubblici che hanno già compiuto il limite di età ordinamentale dei 65 anni, o che comunque lo compiranno entro la fine del 2017, nei confronti dei quali debbono essere compiute tutte le attività accertative in merito al raggiungimento o meno diritto a pensione in funzione delle decisioni da adottare per il collocamento a riposo d’ufficio.

Giova rammentare in proposito tutto quanto disposto dall’articolo 2, comma 5, del D.L. n° 101/2013, convertito in legge n° 125/2013, che interpretando autenticamente l’articolo 24, comma 4, del D.L. n° 201/2011, convertito in legge n° 214/2011, ha previsto che “il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d’ufficio e vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso … costituisce il limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata, al raggiungimento del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione.”

Ebbene, come puntualmente ha precisato la Funzione Pubblica con la circolare n° 2 del 19 febbraio 2015 e in numerosi precedenti pareri, corre l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di accertare il raggiungimento del diritto a pensione dei propri dipendenti prossimi al raggiungimento del predetto limite di età ordinamentale.

Non per niente, infatti, Funzione Pubblica chiudeva quel capitolo della circolare con questa affermazione: “Le amministrazioni programmeranno per tempo le opportune verifiche con l’ente previdenziale, per conoscere e valutare la situazione contributiva complessiva del dipendente e adottare le misure conseguenti.”

Detto tutto ciò sarà quindi sempre più necessario coinvolgere l’INPS nella attività di accertamento del diritto a pensione dei propri dipendenti, anche in funzione delle novità sopra rappresentate, sapendo appunto che ogni trattenimento in servizio oltre il 65° anno di età potrà trovare legittimazione solo a fronte della necessità di perfezionare dei requisiti non ancora posseduti.

A tale fine va ancora una volta sottolineata l’importanza della disposizione di cui all’articolo 72, comma 11-bis, del D.L. n° 112/2008, convertito in legge n° 133/2008 (“Per le determinazioni relative ai trattenimenti in servizio e alla risoluzione del rapporto di lavoro e di impiego, gli enti e gli altri organismi previdenziali comunicano, anche in via telematica, alle amministrazioni pubbliche richiedenti i dati relativi all’anzianità contributiva dei dipendenti interessati”), della quale si rende sempre più necessario pretenderne l’applicazione da parte dell’INPS.

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