Se questi ultimi , infatti, hanno la possibilità di poter richiedere l'assegno ordinario di invalidità all'insorgere di una menomazione tale da comportare la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo, i dipendenti del pubblico impiego possono conseguire la prestazione di invalidità solamente a seguito della cosiddetta “dispensa per inabilità” da parte dell’amministrazione di appartenenza, susseguente ad accertamento di uno stato invalidante tale da non consentire più alcun proficuo lavoro .
Nello specifico, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 7 della legge n. 379/1955 e dell'articolo 42 del D.P.R. n. 1092/1973 i dipendenti pubblici possono essere collocati a riposo a seguito di accertamento dello stato di salute, disposto su richiesta del dipendente o del datore di lavoro se viene riscontrata, come fattore non dipendente da causa di servizio:
> l'inabilità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro;
> l'inabilità assoluta e permanente alle mansioni svolte.
Trattasi, in effetti, di due istituti molto simili per il conseguimento dei quali non e' necessaria una menomazione altamente invalidante (diversamente dalla ipotesi di “inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa” ), anche se lo stato invalidante deve concretizzarsi, comunque, in una misura tale da impedire una collocazione lavorativa continuativa e remunerativa all’interno di una pubblica amministrazione.
Le due inabilità si distinguono per il fatto che la prima (inabilità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro) implica sempre e comunque la dispensa per l'inabilità e la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro , mentre l'inabilità alle mansioni è limitata al tipo di attività espletata e può dar luogo al trattamento di pensione soltanto nell'ipotesi in cui il dipendente pubblico non possa essere adibito a mansioni equivalenti a quelle della propria qualifica.
Ricorrendo la seconda ipotesi ( inabilità alle mansioni ), l’Amministrazione pubblica non può procedere immediatamente alla risoluzione del rapporto di lavoro, ma, viceversa, è tenuta a ricollocare il dipendente in mansioni equivalenti a quelle della propria qualifica per le quali l'inabilità non determini l'impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro.
In pratica , l’ente dovrà verificare se, nell’ambito della propria dotazione organica e nella medesima categoria o livello di appartenenza del dipendente, sia rinvenibile un posto vacante e disponibile (diverso dal profilo professionale posseduto dal dipendente ), cui assegnare lo stesso .
Nell’ipotesi in cui il posto esiste, l’ente procederà al mutamento del profilo professionale dell’interessato destinandolo a tale posto.
Se, viceversa, il posto non è rinvenibile, il contratto di lavoro prevede che si proceda alla verifica dell’eventuale esistenza di un posto vacante e disponibile nella categoria immediatamente inferiore rispetto a quella cui appartiene il dipendente .
Nel caso in cui il posto non fosse rinvenibile neanche nella categoria inferiore, si procede immediatamente alla risoluzione del rapporto di lavoro che si configura come dispensa dal servizio per inabilità alle mansioni .
Qualora, invece, venisse accertata l’esistenza del posto nella categoria immediatamente inferiore, è necessario acquisire formale consenso da parte dell’interessato ad essere assegnato a tale posto . Se il dipendente non manifesta il proprio consenso alla nuova collocazione in posizione funzionale inferiore , interviene la risoluzione del rapporto di lavoro che si configura come dispensa dal servizio per inabilità alle mansioni . Dispensato dal servizio, il lavoratore dovrà presentare domanda di pensione per inabilità relativa alla mansione sia all’Inps – Gestione dipendenti pubblici che all’ente di appartenenza .
In entrambi i casi non si ha diritto alla prestazione se l'invalidità interviene dopo la cessazione del rapporto di lavoro e l'inabilità deve essere comprovata da visita medico-collegiale sostenuta presso le speciali Commissioni mediche di verifica . Acquisita tale certificazione, l’Ente datore di lavoro pubblico dispensa dall’attività lavorativa il dipendente medesimo, il quale, a sua volta, inoltra istanza di pensione per inabilità a proficuo lavoro all'ente di previdenza Inps- Gestione Dipendenti Pubblici.
Per ottenere l’inabilità alla mansione necessitano i seguenti requisiti:
1) riconoscimento medico legale da parte della competente Commissione medica di verifica dal quale risulti che il dipendente pubblico è permanentemente inidoneo allo svolgimento della propria mansione;
2) essere in possesso di almeno 14 anni, 11 mesi e 16 giorni di contribuzione (15 anni di servizio) per i dipendenti dello Stato. Per i dipendenti di Enti locali o della Sanità occorrono, invece, almeno 19 anni, 11 mesi e 16 giorni di contribuzione (20 anni di servizio );
3) risoluzione del rapporto di lavoro per dispensa dal servizio per inabilità ( articolo 7 della legge n. 379/1955 e articolo 42 del D.P.R. n. 1092/1973 ) .
L'inabilità assoluta e permanente a proficuo lavoro
Trattasi di una inabilità che impedisce la possibilità di continuare a svolgere una attività lavorativa continua e remunerativa del dipendente pubblico ( articolo 129 D.P.R. n. 3/1957). Anche in questa fattispecie non si ha diritto alla prestazione se l’inabilità interviene dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Per ottenere l’inabilità al proficuo lavoro , occorrono i seguenti requisiti:
1) riconoscimento medico legale redatto dalla competente Commissione medica di verifica dal quale risulti che il dipendente pubblico non è più idoneo a svolgere in via permanente attività lavorativa;
2) almeno 14 anni, 11 mesi e 16 giorni di contribuzione ( 15 anni servizio )sia per i dipendenti dello Stato, che per i dipendenti degli Enti locali o Sanità;
3) risoluzione del rapporto di lavoro per dispensa dal servizio per inabilità permanente a proficuo lavoro (articolo 7 della legge n. 379/1955 e articolo 42 del D.P.R. n. 1092/1973).
In alternativa a questi istituti, dal 1° gennaio 1996, l'art. 2, comma 12, della legge n.335/1995 ha esteso la pensione di inabilità di cui alla legge n. 222/1984 anche al pubblico impiego. Sino a tale data la prestazione era riservata solo ai lavoratori del settore privato. Questo tipo di pensione, a differenza dei trattamenti di cui si è appena discusso, richiede una inabilità sicuramente ben più grave, tale da determinare una "inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa". In ragione di ciò, pertanto, è del tutto incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi lavoro dipendente, sia esso in Italia o all'estero.
Al fine di poter ottenere la prestazione in parola è necessario che l'iscritto abbia maturato un minimo di cinque anni di anzianità contributiva , di cui almeno tre nell'ultimo quinquennio e che risulti inabile in via assoluta e permanente allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa (Circolare Inpdap 57/1997).
In questo caso, il procedimento è attivabile solamente ed esclusivamente ad istanza da parte dell'interessato. La istanza, con allegato il certificato redatto dal medico attestante lo stato di inabilità assoluta e permanente a svolgere qualsiasi attività lavorativa, deve essere presentata all’ente presso il quale il lavoratore presta o ha prestato l’ultimo servizio. Il suddetto certificato, a firma del proprio medico curante, deve essere obbligatoriamente redatto secondo il modello allegato 1 al Decreto Ministeriale 187/97.
Ricevuta la domanda ed accertato il possesso del requisito dei cinque anni di anzianità contributiva , di cui almeno tre nell'ultimo quinquennio da parte dell’interessato, l’Ente :
1) dispone l’accertamento sanitario presso la Commissione medica di verifica (nei casi di particolare gravità delle condizioni di salute dell’interessato può essere disposta la visita domiciliare);
2) ricevuto il verbale attestante lo stato di inabilità assoluta e permanente a svolgere qualsiasi attività lavorativa, provvede alla risoluzione del rapporto di lavoro del dipendente e la sede provinciale dell’Inps - Gestione dipendenti pubblici procederà alla liquidazione del trattamento pensionistico
A differenza dei due precedenti trattamenti per i quali l’importo dell’assegno di quiescenza è determinato in rapporto agli anni di contribuzione accreditata, , l'importo della pensione per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa viene calcolato sulla base dell'anzianità contributiva maturata, alla quale viene riconosciuta una maggiorazione (c.d. “ bonus “ ) virtuale che determina il vantaggio di poter conseguire un assegno più elevato. In sostanza la contribuzione viene incrementata virtualmente di un ulteriore periodo contributivo corrispondente alla differenza tra l'età alla cessazione dal servizio e il compimento dell'età pensionabile di vecchiaia ( 65 anni ) per chi apparteneva al sistema retributivo (almeno 18 anni di contributi entro il 31.12.1995). Occorre precisare che dal 1° gennaio 2012, con l’estensione del calcolo contributivo generalizzato per tutti, anche per coloro che appartengono al sistema retributivo la vecchiaia è equiparata a 60 anni. Per coloro che sono nel sistema misto e contributivo l’incremento virtuale corrisponde alla differenza tra l’età alla cessazione ed il compimento del sessantesimo anno di età.. In alternativa si procede ad un incremento pari agli anni contributivi mancati a 40 anni di servizio .
Per maggior chiarezza, si rappresentano due esempi :
* dipendente appartenente al sistema retributivo con un’età anagrafica di 59 anni e 30 anni di contribuzione al 30.09.2009 ( data di accertamento della inabilità ) :
> il bonus sarà pari ad anni 6 ( gli anni mancanti a 65 ) . Il calcolo della misura dell’assegno sarà operato su 36 anni di contributi ( 30 affettivi + 6 di bonus ) ;
* dipendente appartenente al sistema retributivo con un’età anagrafica di 50 anni e 30 anni di contribuzione al 30.09.2009 ( data di accertamento della inabilità ) :
> il bonus sarà pari ad anni 10 ( gli anni mancanti a 40 ) . Il calcolo della misura dell’assegno sarà operato su 40 anni di contributi ( 30 affettivi + 10 di bonus ) .
Come detto, con l’entrata in vigore della legge n. 214/2011 ( c.d. “ legge Fornero ) che , a decorrere dal 1° gennaio 2012, ha esteso in maniera generalizzata il sistema di calcolo contributivo, il bonus si concretizza per tutti ( ex retributivi e non ) con un incremento virtuale corrispondente alla differenza tra l'età alla cessazione dal servizio e il compimento del sessantesimo anno di età. In alternativa si procederà ad un incremento pari agli anni contributivi mancati a 40 anni di servizio .
La pensione di inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa decorre dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro se presentata dal lavoratore in attività di servizio, ovvero, dal primo giorno del mese successivo alla data di presentazione della domanda se inoltrata successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro.
In linea generale, la pensione può essere richiesta anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, dato che sono richiesti almeno tre anni di contributi nell'ultimo quinquennio, l'istanza, in pratica, non può essere presentata dopo i due anni dalla cessazione dell'attività lavorativa.
Potrebbe però accadere ( ed oggi ciò succede spesso) che il referto della Commissione di verifica si esprima in maniera diversa rispetto alle casistiche previste dalla norma .
Nello specifico, potrebbe accadere che :
^ il referto della Commissione dichiara in data 18.07.2015 il dipendente “ inabile assoluto e permanente a qualsiasi attività lavorativa , ai sensi dell’art. 2, comma 12, della legge n. 335/1995 .Rivedibile a luglio 2017”.
* In questo caso, l’ente dovrà procedere immediatamente alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro per inabilità a qualsiasi attività lavorativa . Predisporrà ed istruirà tutta la documentazione da trasmettere all’Inps – Gestione dipendente pubblici per il conferimento della pensione , che , naturalmente, sarà conferita all’interessato con l’incremento del bonus .
Ovviamente, con l’approssimarsi del mese di luglio 2017, il dipendente sarà riconvocato dalla Commissione per essere nuovamente sottoposto a visita .
^ Il relativo referto potrà dichiarare lo stesso :
a) “ inabile assoluto e permanente a qualsiasi attività lavorativa , ai sensi dell’art. 2, comma 12, della legge n. 335/1995 “ In questa ipotesi, viene confermato lo stato di inabilità. L’interessato non sarà più risottoposto a visita medica e continuerà, vita natural durante, a fruire della pensione di inabilità con il “ bonus”;
b) “ non più inabile a qualsiasi attività lavorativa, , ai sensi dell’art. 2, comma 12, della legge n. 335/1995 “ ( cioè abile !! ) . In questo caso, sebbene riconosciuto abile , lo stesso dipendente non deve essere ripreso in servizio dall’Ente ( non si dovrà, cioè, procedere alla ricostituzione del rapporto di lavoro ), perché l’Inps, revoca la pensione con il bonus di cui alla legge n. 335/1995 ed attribuisce la pensione di cui alla legge n. 274/91 ( inabilità a proficuo lavoro ), dopo aver verificato ed accertato la sussistenza di almeno 15 anni di contributi ( 14 anni 11 mesi e 16 giorni ) . In altri termini, sostituisce la pensione con il bonus con quella senza bonus . Si assisterà, perciò, ad una lieve diminuzione dell’importo dell’assegno di quiescenza . Anche in questo secondo caso, il dipendente continuerà ad essere pensionato per l’intera sua esistenza . E’ importante, però, rilevare che nell’ipotesi in cui il soggetto in questione non abbia maturato i 14 anni 11 mesi e 16 giorni di contribuzione, l’istituto previdenziale non potrà attribuire l’assegno pensionistico .
c) “ inabile a qualsiasi proficuo lavoro, ai sensi della legge n. 274/91. Rivedibile a luglio 2017 “ .
Ricorrendo questa ipotesi occorre prestare la massima attenzione , perché la problematica diventa complessa !!!!!!!
> Non si può procedere alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro . Il dipendente è da considerarsi in malattia , con tutte le conseguenze derivanti dall’eventuale superamento del periodo di comporto . Infatti, se durante l’arco temporale che va dalla data della visita medica fino alla data della successiva visita ( durante la quale l’interessato è, come detto, in malattia ) dovesse sopraggiungere il superamento del periodo di comporto, il soggetto in questione deve essere licenziato . Il dipendente non perfezionerebbe il diritto alla pensione in quanto non avrà maturato né la pensione anticipata, né quella di inabilità , né tantomeno quella di vecchiaia . Potrà ottenere l’assegno di quiescenza, a domanda da inoltrare all’ente previdenziale, allorquando avrà maturato l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia , sempre nel presupposto della presenza di almeno 20 anni di contribuzione .