Nel merito ad una lavoratrice di una USL erano stati concessi dei permessi 104 per assistere un disabile grave, salvo poi successivamente chiedere alla stessa lavoratrice la restituzione del tempo e del denaro illegittimamente fruiti, con la motivazione che gli stessi erano stati erogati ad una soggetto privo di rapporto di parentela con la persona da assistere (il convivente appunto). Verrebbe da chiedersi perché sono stati erogati.
Nella modalità di gestione della controversia in sede giurisprudenziale la USL ha preteso in modo abbastanza irrituale la chiamata in causa anche dell’INPS, quando è noto che, contrariamente a quanto accade nel settore privato, tutti i benefici connessi all’handicap erogati al dipendente pubblico fanno capo alla stessa amministrazione senza che l’INPS sia coinvolto né nella fase concessoria, né nella fase finanziaria.
Ovviamente l’INPS ha invocato il difetto di legittimazione passiva, pur non mancando di entrare anche nel merito della vicenda, seppure solo per aspetti generici di principio.
Al di là di queste curiose vicende, ciò che alla fine rileva è il risultato finale, e cioè il fatto che la Corte abbia dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’art. 24, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183, nella parte in cui non include il convivente – nei sensi di cui in motivazione – tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.”
Ora noi siamo reduci dalla approvazione e dalla entrata in vigore della legge n° 76/2016 (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.”) e avevamo capito perfettamente quale differenza il legislatore abbia voluto mantenere fra l’istituto del “matrimonio”, l’istituto delle “unioni civili” fra persone dello stesso sesso e l’istituto dei “contratti di convivenza” fra persone eterosessuali o omosessuali.
Per diversi istituti, compresi gli effetti previdenziali e assistenziali, ci sono molte assimilazioni fra il matrimonio e le unioni civili, mentre per i contratti di convivenza quasi tutta la regolamentazione si limita ad intervenire sugli aspetti patrimoniali.
Ora tutto ci aspettavamo, fuorché una rimessa in discussione dei ruoli e dei diritti del convivente.
Per arrivare però a quella pronuncia la Corte ha ovviamente ricostruito tutto il percorso normativo che ha caratterizzato la legge 104/1992, dalla sua prima emanazione a tutte le successive modificazioni, ed ha anche ricostruito i diversi principi giurisprudenziali che la stessa Corte nel tempo ha emanato.
Alla fine di tale ricostruzione la Corte ha quindi inserito nella motivazione una serie di affermazioni di principio particolarmente interessanti.
Si comincia affermando che “il permesso mensile retribuito di cui al censurato art. 33, comma 3, è, dunque, espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave. Trattasi di uno strumento di politica socio-assistenziale, che è basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale.”
Nel merito dei permessi si sottolinea che “alla luce dei suoi presupposti e delle vicende normative che lo hanno caratterizzato, la ratio legis dell’istituto in esame consiste nel favorire l’assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare” per continuare poi affermando che “l’istituto del permesso mensile retribuito è dunque in rapporto di stretta e diretta correlazione con le finalità perseguite dalla legge n. 104 del 1992, in particolare con quelle di tutela della salute psico-fisica della persona portatrice di handicap.”
Ed è qui che si innesca il primo intreccio e la prima violazione costituzionale in relazione all’articolo 2 della costituzione (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale) poiché “la salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’art. 32 Cost., rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
Vengono poi anche richiamate alcune motivazioni di una precedente sentenza, in particolare il fatto che “il diritto alla salute psico-fisica, ricomprensivo della assistenza e della socializzazione, va dunque garantito e tutelato, al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell’art. 2 Cost., deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico”.
Se questa è quindi la ratio della norma esaminata, conclude la Corte, “è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità.”
Aggiunge anche che “la norma in questione, nel non includere il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito, vìola, quindi, gli invocati parametri costituzionali, risolvendosi in un inammissibile impedimento all’effettività dell’assistenza e dell’integrazione.”
Altrettanto significativa è poi la modalità con cui la Corte aggiunge la nuova figura nel novero degli aventi diritto al permessi, in particolare quando afferma che “il carattere residuale della fruizione dell’agevolazione in questione da parte del parente o affine entro il terzo grado, induce questa Corte ad includere il convivente tra i soggetti beneficiari, in via ordinaria, del permesso mensile retribuito (coniuge, parente o affine entro il secondo grado).”
Rispetto a questa ultima sottolineatura giova ricordare che, contrariamente a quanto accade per il congedo straordinario biennale, per il quale esiste una precisa gerarchia per individuare in via esclusiva i beneficiari, ai fini della fruizione dei permessi 104 i cosiddetti beneficiari in via ordinaria sono appunto il coniuge e i parenti o affini entro il secondo grado, soggetti tutti sullo stesso piano di diritto senza che l’uno prevalga sull’altro, mentre quando si vuole arrivare al terzo grado di parentela o affinità è necessario che i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto 65 anni, oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Ebbene, con il pronunciamento additivo della Corte, il convivente viene incluso fra i beneficiari in via ordinaria, con degli effetti che indirettamente potrebbe coinvolgere negativamente i parenti o affini entro il terzo grado. Potrebbe cioè accadere che la presenza del convivente abbia lo stesso effetto della presenza del coniuge, escludendo quindi a priori parenti e affini entro il terzo grado.
E’ altrettanto ovvio che, in base al principio del “referente unico” introdotto nell’ultima rivisitazione normativa della legge 104/1992, la fruizione dei permessi 104 da parte del convivente potrà avvenire in via assolutamente alternativa rispetto al coniuge o ai parenti o affini entro il secondo grado.
L’altra riflessione riguarda il concetto di “convivente”.
La Corte non fa nessun accenno al meccanismo di qualificazione del soggetto, ma ragionevolmente si potrebbero porre le seguenti questioni:
- da un lato la figura del convivente potrebbe essere individuata secondo i parametri introdotti dalla legge n° 76/2016, cioè a fronte della formale sottoscrizione del “contratto di convivenza”;
- dall’altro lato la figura del convivente potrebbe essere genericamente individuata secondo la normativa del regolamento di anagrafe, e cioè soggetti che convivono sotto lo stesso tetto e che hanno costituito un “nucleo familiare” di fatto.
Nella prima ipotesi tutto sarebbe indiscutibilmente documentato e registrato, rappresentando quel contratto un elemento di assoluta certezza, nel secondo caso si potrebbero anche mettere in campo elementi di durata temporale della convivenza al fine di evitare abusi o fruizioni fraudolente.
Ovviamente non resta che attendere le indicazioni operative che l’INPS sicuramente emanerà, preferibilmente in accordo con il Ministero del Lavoro e con la Funzione Pubblica.
Infine un’ultima considerazione: la stessa Corte Costituzionale, in alcuni passaggi delle motivazioni, confronta in termini di principi generali, l’istituto del congedo straordinario biennale con l’istituto dei permessi 104, al punto che potremmo anche ragionevolmente pensare che un analogo pronunciamento potrebbe avvenire anche in relazione all’articolo 42, comma 5, del D.Lgs. n° 151/2001, nuovamente nella parte in cui non include appunto il convivente fra i potenziali beneficiari del congedo biennale.
L’unica complicazione in tal senso potrebbe derivare dalla necessità di inserire tale eventuale nuova figura all’interno della gerarchia che, al contrario di quanto accade con la 104, caratterizza la fruizione di tale istituto:
- coniuge convivente
- genitori
- figli conviventi
- fratelli e sorelle conviventi
- parenti e affini entro il terzo grado conviventi