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La prescrizione dei contributi e la circolare 94/2017 dell’INPS

a cura di Villiam Zanoni

La nota di oggi è allo stesso tempo il commento ad una recente novità, ma anche la riesumazione di problematiche già affrontate da diverso tempo. La novità è rappresentata ovviamente dalla circolare INPS n° 94 del 31 maggio 2017 con la quale l’Istituto compie un altro importante e determinante passo verso la normalizzazione della Gestione Dipendenti Pubblici (ex INPDAP) all’interno di un processo di armonizzazione dei criteri applicativi delle disposizioni che in modo univoco regolamentano una serie di vicende. La riesumazione è invece relativa a quanto già scrivemmo nel marzo del 2013 in merito alle novità relative alla nuova DMA2, o meglio alla introduzione della ListaPosPA all’interno di UNIEMENS e ancora di più a quanto scrivemmo all’inizio del 2014 in merito alla circolare INPS n° 6/2014, ma anche a quanto scrivemmo a novembre 2015 in una lettera aperta agli “attuari” dell’INPS (ovviamente rimasta senza alcuna risposta).

La materia del contendere era fondamentalmente legata al principio della “prescrizione dei contributi” da tempo già applicata dall’INPS su base decennale alle obbligazioni contributive del settore privato, che con la legge n° 335/1995 fu sostanzialmente riscritta su base quinquennale ed estesa a tutte le obbligazioni contributive.

Iniziò da li una lunga diatriba nei confronti dell’ex INPDAP che inizialmente riteneva non applicabile il principio della prescrizione alle contribuzioni dovute dalle pubbliche amministrazioni, posizione in alcuni momenti mitigata dalla valutazione della applicazione alle sole contribuzioni dovute dal 1° gennaio 1996, successivamente ritenuta applicabile anche ai periodi precedenti, ma con un meccanismo applicativo che di fatto ne vanificava gli effetti: l’ex INPDAP, infatti, era arrivato a ritenere applicabile la prescrizione ma non a partire dal momento in cui doveva essere soddisfatta l’obbligazione contributiva, bensì dal momento in cui fossero state rese note all’Istituto le carenze o le differenza retributive.

Per decenni, infatti, abbiamo assistito a delle richieste di sistemazione contributiva senza alcuna limitazione temporale con oneri pesanti (contributi, sanzioni, interessi legali) per le amministrazioni, soprattutto quando le retribuzioni o dei modelli 98 o dei PA04 non fossere state congrue rispetto agli imponibili a suo tempo dichiarati.

Tutto avveniva senza che l’Istituto si facesse carico dei pareri interpretativi che anche la magistratura contabile, in sede di controllo, aveva nel frattempo espresso.

Abbiamo infatti continuato per anni a ricordare il parere n° 65 del 28 gennaio 2009 della Sezione Regionale Lombardia della Corte dei Conti, in sede di controllo, con il quale fu affermato il principio in base al quale la prescrizione (nel comparto autonomie locali) non poteva danneggiare il lavoratore, ma era tranquillamente applicabile al rapporto patrimoniale esistente fra l’INPDAP e l’amministrazione datrice di lavoro anche in riferimento ai periodi antecedenti l’emanazione della legge n° 335/1995.

Ora finalmente arriva l’INPS a spianare la strada.

Con la circolare menzionata in premessa, infatti, l’INPS toglie ogni dubbio affermando che: “Tali disposizioni, stante il riordino generale della materia operato dalla legge n° 335/1995, si applicano anche alla contribuzioni di pertinenza delle Gestioni pensionistiche pubbliche, trattandosi di forme esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti alle quali espressamente la Riforma Dini ha fatto riferimento; pertanto, tali contribuzioni sono assoggettate al termine di prescrizione quinquennale.”

Tuttavia, proprio per i complessi meccanismi che diedero luogo prima alla costituzione degli Istituti di Previdenza (divenuti poi INPDAP) ed in ultima analisi alla confluenza all’interno dell’INPS, debbono essere fatte alcune precisazioni che all’interno della Gestione Dipendenti Pubblici creano due distinti blocchi; da un lato le ex Casse CPDEL, CPS e CPUG, dall’altro le ex Casse CPI e CPDS.

A monte di tutto, tuttavia, vale il principio generale: le contribuzioni cadono in prescrizione a partire dal 5° anno successivo alla data in cui l’obbligazione deve essere attuata.

Se, ad esempio, i contributi relativi al mese di maggio 2017 debbono essere versati entro il 16 giugno 2017, a partire dal 16 giugno 2022 il mese di maggio 2017 è definitivamente prescritto, sempreché ovviamente non intervengano nel frattempo degli atti interruttivi a partire dai quali iniziano a decorrere ulteriori 5 anni.

Quindi dopo il 16 giugno 2022 nessuna operazione, né per iniziativa del lavoratore, né per iniziativa del datore di lavoro, né per iniziativa dell’INPS o degli organismi ispettivi, potrà consentire di versare i contributi relativi al mese di maggio 2017 e addirittura, laddove fossero versati, verrebbero restituiti.

Collocata tale brutale affermazione all’interno del processo che vede la banca dati dei dipendenti pubblici fare i conti con un pesante tasso di inaffidabilità e soprattutto con la consistente presenza o di buchi contributivi o di errori importanti relativi alla retribuzione imponibile, ne emerge un dato molto preoccupante poiché la banca dati è inevitabilmente destinata diventare l’unico elemento cui fare affidamento per la liquidazione delle prestazioni pensionistiche future.

Tuttavia, nei due blocchi sopra evidenziati troveranno spazio meccanismi che consentiranno di evitare i riflessi negativi per i lavoratori.

In particolare per il primo blocco (CPDEL, CPS, CPUG), prima ancora della legge n° 335/1995, fu emanata una disposizione tutt’ora vigente (articolo 31 della legge n° 610/1952) che alla fine così disponeva: “La liquidazione del trattamento di quiescenza si effettua tenendo presente l’intero servizio utile, comprendendo anche gli eventuali servizi di obbligatoria iscrizione non assistiti dal versamento dei contributi o dalla predetta sistemazione”.

Da tale scenario ne deriva quindi che, anche in assenza di recupero della contribuzione per avvenuto decorso del termine di prescrizione quinquennale, l’attività lavorativa svolta sarà considerata utile ai fini della liquidazione del trattamento di quiescenza, ma in tal caso, come previsto dalla stessa norma del 1952, l’onere del trattamento pensionistico deve essere ripartito tra l’INPS e le Amministrazioni datrici di lavoro.

Diversa è la situazione del secondo blocco (CPI e CPDS) per il quale, non trovando applicazione la norma sopra descritta, non potrà essere in alcun modo computabile un periodo prescritto privo di copertura contributiva.

Quindi, per entrambi i blocchi prima illustrati, l’INPS, una volta decorso il termine quinquennale, non potrà più chiedere alle amministrazioni le sistemazioni contributive con tutti gli oneri accessori.

Ma cosa accadrà al lavoratore sia del primo che del secondo blocco?

Come precisa la stessa circolare, implicitamente estenderemo ai pubblici dipendenti una disposizione prevista a suo tempo solo per i dipendenti privati, e cioè quella relativa alla “costituzione della rendita vitalizia”.

L’articolo 13 della legge n° 1338 del 12 agosto 1962, infatti, al primo comma prevede che “.. il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione …, può chiedere all'Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire … una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell'assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.”.

Al quarto comma prevede anche che “il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all'Istituto nazionale della previdenza sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente.”

Tradotto in termini da tutti comprensibili si tratta di ciò che in gergo chiamiamo “riscatto di contribuzione omessa”, tant’è che i meccanismi del calcolo dell’onere di riscatto nel sistema retributivo anche per i pubblici dipendenti hanno visto rinviare alla disposizioni sopra richiamate.

La differenza sostanziale rimane tuttavia la seguente.

Per i lavoratori del primo gruppo (CPDEL, CPS, CPUG) nella sostanza non cambia nulla poiché il loro diritto a computare i periodi di servizio, ancorché non coperti da contribuzione, ai fini della liquidazione della pensione rimane inalterato e applicato d’ufficio, mentre è diversa la modalità con cui l’amministrazione dovrà sostenere l’onere: l’INPS chiederà al datore di lavoro pubblico di pagare il riscatto.

Per i lavoratori del secondo gruppo (CPI e CPDS), non essendo applicabile la sistemazione nei termini precedenti, si applica la “facoltà” per l’amministrazione di chiedere la costituzione della rendita vitalizia. Essendo appunto una facoltà è intuibile possano esserci casi nei quali il percorso si complica, fermo restando che nel caso in cui l’amministrazione non si avvalga di quella facoltà potrà essere il lavoratore colui che presenta analoga richiesta con diritto al risarcimento del danno.

In tutti casi una cosa è certa e l’INPS l’ha scritta chiaramente: affinché il periodo prescritto oggetto della sistemazione possa essere riconosciuto, è necessario che il relativo onere sia integralmente versato prima della liquidazione della pensione.

Alla fine di tutto questo percorso mi corre l’obbligo di riesumare la lettera aperta agli attuari dell’INPS di novembre 2015.

Poiché il calcolo della riserva matematica su cui si basa la rendita vitalizia viene effettuato sulla base di apposite tariffe a suo tempo predisposte, giova ricordare che le tariffe attualmente in uso sono state varate da un decreto ministeriale del 31 agosto 2007 (in vigore dal 21 novembre 2007) che risalgono alla fine del 2006, cioè ad un periodo in cui erano vigenti criteri anagrafici e contributivi di accesso alla pensione di cui abbiamo ormai perso memoria, ma che erano sicuramente più favorevoli di quelli attuali.

Gli oneri di riserva matematica, quindi, vengono determinati su ipotesi di accesso alla pensione che non corrispondono a realtà, come è facilmente rilevabile dalle tabelle relative ai lavoratori in condizione attiva la cui tariffa viene individuata dalle coordinate età/anzianità contributiva, salvo però scoprire che le tabelle si fermano all’incrocio fra 57 anni di età e 35 anni di contributi. Ogni parametro superiore comporta l’applicazione di tariffe rilevate da un’altra tabella tendenzialmente più onerosa.

Ne deriva che sia nel caso in cui sia l’amministrazione a dover versare l’onere relativo alla costituzione della rendita vitalizia, sia nel caso in cui il versamento venga effettuato dal lavoratore, l’INPS incamera delle somme che non corrispondono all’onere che dovrà poi nel tempo sostenere.

E’ tempo, ma lo è già da un po’, che gli attuari si mettano al lavoro per costruire nuove tabelle.

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