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LEGITTIMO ESCLUDERE UN CANDIDATO DAL CONCORSO PER MANCATO GODIMENTO DEI DIRITTI POLITICI

di Salvio Biancardi

Deve ritenersi perfettamente conforme a normativa l’esclusione di un candidato da un concorso pubblico per mancato godimento dei diritti politici.

Lo ha confermato il Consiglio di Stato, sez. IIi nella sentenza n. 8748 del 31 dicembre 2021. Nel caso esaminato era stato bandito un concorso per l’assunzione di personale nei vigili del fuoco.

Un concorrente veniva escluso dalla graduatoria del concorso, di vigile del fuoco, con conseguente diniego della stipula del contratto individuale di lavoro, per difetto del requisito del godimento dei diritti politici, richiesto dal bando a seguito della sentenza di fallimento emessa nei suoi confronti dal Tribunale.

Avverso tale atto, l’interessato proponeva il ricorso chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

- mancata previa comunicazione dell’avviso di avvio procedimentale;

- sussistenza della condizione soggettiva richiesta dal bando alla scadenza del termine stabilito nello stesso;

- mancata considerazione della necessità di attendere l’esito dell’opposizione alla sentenza di fallimento.

Il giudice di prime cure aveva respinto il ricorso, affermando che:

- “il provvedimento di esclusione da un concorso non deve essere preceduto da comunicazione di avvio del procedimento”;

- la permanenza del requisito suddetto sarebbe necessaria ai fini dell’assunzione;

- il ricorrente non aveva comunque documentato l’esito dell’opposizione.

L’interessato aveva, pertanto, proposto ricorso in appello al Consiglio di Stato sostenendo:

1) l’erroneità della sentenza, in quanto il T.a.r. non aveva considerato che, secondo preciso orientamento giurisprudenziale, l’avviso di avvio procedimentale si impone anche in caso di procedimento ad istanza di parte tanto più che l’appellante non poteva percepire alcuna violazione della disciplina di bando essendo in possesso del requisito richiesto alla scadenza dello stesso;

2) il T.a.r. non avrebbe considerato che l’appellante, una volta conclusa la procedura, aveva acquisito il diritto soggettivo all’assunzione secondo la disciplina di bando nell’ambito del rapporto di lavoro contrattualizzato su basi paritetiche;

3) il T.a.r. non avrebbe considerato che non poteva giustificarsi il diniego di assunzione per la perdita temporanea del diritto di voto, tanto più che l’appellante, nelle more del giudizio di prime cure, lo aveva riacquistato come risultava dalla tessera elettorale in suo possesso.

Il giudice d’appello non ha ritenuto convincenti i motivi di censura.

Prima di tutto, a parere del Collegio, non poteva essere accolto il primo motivo, relativo al difetto di partecipazione procedimentale in quanto “la comunicazione di avvio del procedimento non è richiesta nel caso di procedimenti avviati ad istanza di parte” quale appunto il procedimento concorsuale. Inoltre l’art. 2, comma 2 del bando consentiva al Ministero di disporre l’esclusione dal concorso “per difetto dei requisiti prescritti” e pertanto i candidati erano ben a conoscenza che dovevano attendere le determinazioni della commissione in tal senso. Ad ogni modo, a parere dei giudici, a voler verificare l’effettiva idoneità delle argomentazioni che l’appellante avrebbe potuto offrire all’attenzione della commissione se gli fosse stata data la possibilità di previamente interloquire con l’Amministrazione, occorreva rilevare che nemmeno in sede di appello veniva riferito l’esito dell’opposizione proposta avverso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal Tribunale.

L’appellante aveva osservato, al riguardo, che ostava ad una lettura del principio di partecipazione procedimentale in termini sostanziali il fatto che l’art. 21 octies della legge n. 241/90 sia intervenuto successivamente ai fatti di causa e non era pertanto suscettibile di applicazione retroattiva. Orbene, secondo i giudici, premesso che, come sopra rilevato, l’esclusione del principio partecipativo si deve alla particolare natura del procedimento innescato dall’emissione del bando di concorso, giova altresì evidenziare che ancor prima dell’intervento normativo (legge n. 15/2005) di cui al principio di dequotazione dei vizi formali, la giurisprudenza aveva avvertito l’esigenza di non accedere ad una lettura eccessivamente formalistica dell’art. 7 della legge n. 241/90. Ad ogni modo, ciò che rilevava è che, dopo la definizione della procedura selettiva, l’appellante era stato interessato da una sentenza di fallimento con la sospensione del godimento dei diritti politici. Tale circostanza non poteva essere potenzialmente contraddetta dall’appellante in sede partecipativa né con la semplice opposizione a tale pronuncia né dalla mera esibizione della tessera elettorale. Tale circostanza infatti se era vero che comprova il materiale esercizio del diritto di voto era pur vero che nessuna incidenza caducante aveva sulla causa incidente, sul piano giuridico, sulla permanenza del godimento dei diritti politici costituita appunto dalla sentenza di fallimento.

Secondo i giudici, infondati erano anche il secondo e terzo motivo di gravame, coi quali si deduceva che la definizione della procedura concorsuale avrebbe comportato il consolidamento del diritto all’assunzione, non inficiato quindi dalla perdita temporanea del diritto al voto. Infatti, doveva rilevarsi, circa la necessità del requisito relativo al possesso del diritto dell’elettorato attivo, che questa non può non porsi anche al momento della stipula del contratto, essendo presupposto indefettibile per la costituzione di qualsivoglia rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica Amministrazione ai sensi dell’art.2, comma 3, del d.P.R. 487/1994 (“Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”), ove è statuito che “non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall'elettorato politico attivo”.

A parere dei giudici non si configurava pertanto alcuna violazione dell’art. 2 del bando non governando tale disposizione la fase, successiva alla definizione della procedura concorsuale, dell’assunzione del candidato vincitore. Sul punto l’appellante ulteriormente aveva argomentato le proprie deduzioni valorizzando la natura bivalente del bando di concorso, provvedimentale e contrattuale, tale da fondare un vero e proprio diritto soggettivo all’assunzione.

Tuttavia, a parere dei giudici, tale ricostruzione della posizione giuridica in capo al vincitore di concorso non eliminava la portata applicativa della norma anzidetta ove impone il possesso dei requisiti soggettivi ai fini dell’assunzione costituendo questo un presupposto giuridicamente distinto ed autonomo rispetto a quello che si sostanzia attraverso il collocamento in graduatoria tra i vincitori della selezione. La disciplina su richiamata, infatti, contiene espresso riferimento alla stipula del contratto di lavoro e pertanto la sua applicazione prescinde da quanto precedentemente richiesto sul piano dei requisiti soggettivi di partecipazione al concorso.

Per le motivazioni illustrate, l’appello è stato respinto.

Informazioni aggiuntive

  • Profilo Autore: Funzionario Settore Economato-Approvvigionamenti nel Comune di Verona. Autore di pubblicazioni in materia
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