LA SOSTITUZIONE DEI CESSATI NEI PICCOLI COMUNI
L’esistenza di un tetto numerico dei cessati per le assunzioni a tempo indeterminato nei piccoli comuni non impedisce che un cessato a tempo pieno possa essere sostituito con due assunzioni part time al 50%. E’ questa la indicazione dettata dalla sezione autonomie della Corte dei Conti con la deliberazione n. 4/2019, che risolve il contrasto interpretativo che era nato tra le sezioni di controllo della Sardegna e della Basilicata.
Ecco il principio di diritto affermato dalla deliberazione: ”nel rispetto di tutte le altre disposizioni normative che disciplinano l’assunzione presso le amministrazioni pubbliche e ferma restando la vigenza di entrambi i vincoli posti dall’articolo 1, comma 562 della legge n. 196/2006, la determinazione dei limiti assunzionali ivi contenuti, può prescindere dalla corrispondenza numerica tra personale cessato e quello assumibile, a condizione che permanga l’invarianza della spesa e quindi venga rispettato il tetto di spesa per il personale sostenuto nell’anno 2008. Conseguentemente, purchè si verifichino dette condizioni, il limite assunzionale può ritenersi rispettato anche quando, a fronte di un’unica cessazione a tempo indeterminato e pieno, l’Ente, nell’esercizio della propria capacità assunzionale, proceda a più assunzioni a tempo parziale che ne assorbano completamente il monte ore”.
Occorre considerare che “l’assicurare l’invarianza della spesa rispetto al 2008 costituisce l’obiettivo di fondo a cui tende la normativa” in esame e “le misure di coordinamento delle assunzioni concorrono allo scopo”. Ogni limite ulteriore, tanto più considerando la condizione di rigidità strutturale dei piccoli comuni appare irragionevole e lesivo delle prerogative di autonomia di tali amministrazioni. In questa direzione vengono ricordate le interpretazioni che tali amministrazioni possono utilizzare i risparmi delle cessazioni degli anni precedenti –e non solo di quello immediatamente precedente- e che la capacità assunzionali devono essere calcolate con riferimento a quelle dettate dal legislatore nell’anno in cui le stesse si sono concretizzate e non in quello in cui vengono utilizzate.
Per evitare forme di aggiramento, la deliberazione ricorda che il comma 101 dell’articolo 3 della legge n. 244/2007 vieta, nei primi 3 anni, la trasformazione a tempo pieno di posti in cui l’assunzione sia scattata part time e la subordina comunque alla esistenza di un posto vacante nella dotazione organica.
LA STABILIZZAZIONE ED IL CONCORSO
Le assunzioni a tempo determinato non possono essere trasformate, quanto meno in modo automatico, in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre non spetta al lavoratore provare il danno subito per le proroghe illegittime. In questa direzione vanno le indicazioni contenute nella sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione 8671/2019.
Ecco il principio che viene dettato: “in materia di impiego pubblico contrattualizzato nel caso di utilizzazione di contratti di lavoro flessibile, che deve sempre avvenire ex art. 36, primo comma, del d.lgs n.165 del 2001 nel rispetto delle procedure di reclutamento di cui dall'art. 35 del citato d.lgs n. 165 del 2001, la regula iuris secondo la quale, in ipotesi di violazione da parte delle pubbliche amministrazioni di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, non può in ogni caso comportare, ai sensi dell'originario comma 2 e poi del comma 5 dell'art.36 del richiamato d.lgs n.165 del 2001, la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato non ammette eccezioni e riguarda anche l'ipotesi in cui l'individuazione del lavoratore assunto a termine, o con altre forme di lavoro flessibile, è avvenuta all'esito delle procedure di reclutamento sopra richiamate o utilizzando le graduatorie di procedure concorsuali”.
Infine, deve essere rigettata “la tesi secondo cui i lavoratori sarebbero onerati della prova del danno subito per l'illegittima apposizione del termine. Rispetto a ciò opera infatti quanto deciso dalle Sezioni Unite di questa Corte, nel senso che in materia di pubblico impiego privatizzato, nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, della I. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito (Cass., S.U., 5072/2016, cit.)”.
In premessa viene ricordato dalla sentenza che “è stato costantemente affermato da questa Corte, senza condizioni, in plurime pronunce nel corso del tempo, con orientamento poi confermato al massimo livello di nomofilachia (Cass. S.U. 15 marzo 2016, n. 5072)”. Le indicazioni diverse hanno un carattere eccezionale. La seconda indicazione è la seguente: “la radice di tale divieto di conversione è tradizionalmente riportata alla necessità che, per espressa previsione costituzionale (art. 97, co. 3, Cast.) l'assunzione presso le Pubbliche Amministrazioni avvenga mediante pubblico concorso, salva la possibilità di derogare per legge a tale principio solo nei casi in cui (Cass. 30 marzo 2018, n. 7982) ciò risulti maggiormente funzionale al buon andamento dell'amministrazione e corrispondente a straordinarie esigenze d'interesse pubblico individuate dal legislatore in base ad una valutazione discrezionale, effettuata nei limiti della non manifesta irragionevolezza (vedi, per tutte, Corte Costituzionale 19 maggio 2017, n. 113; 12 maggio 2014, n. 134; 13 settembre 2012, n. 217; 27 marzo 2003, n. 89)”.
Ed ancora, “il fondamento del divieto di conversione va ricercato, oltre che nel principio del pubblico concorso, anche nei principi di efficienza e buon andamento della Pubblica Amministrazione, che impediscono la conversione, in caso di illegittimo ricorso al rapporto a termine, anche nell'ipotesi in cui il destinatario del contratto di lavoro flessibile sia stato dichiarato idoneo all'esito di una procedura concorsuale bandita per posti a tempo indeterminato”.