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Assenti e assenteisti… non mescoliamo le carte!

a cura di Daniele Perugini

Nelle cronache di questi giorni grande risalto hanno avuto le vicende di un folto gruppo di assenteisti in un noto ospedale. La notizia ha fatto scalpore nell’opinione pubblica, già abituata al triste fenomeno dei c.d. “furbetti del cartellino”, perché segna una preoccupante escalation rispetto al passato rivelando, in quello specifico contesto, la presenza di un sistema radicato come mai finora era stato altrove riscontrato. Occorre però fare una duplice distinzione, tra assenteismo ed assenze, oggetto di (strumentale) confusione in periodiche campagne mediatiche contro il pubblico impiego. Non c’è dubbio che quanto è recentemente avvenuto in un ospedale pubblico, dove circa un quarto dell’organico sembra sia stato in qualche modo coinvolto nella deprecabile pratica di assenteismo durante l’orario di lavoro, costituisce un elemento di novità rispetto agli episodi finora tristemente noti.

In questo ultimo evento si è infatti palesato un “sistema” ben più ampio e consolidato rispetto ai fatti isolati seppur diffusi, già oggetto da tempo di un’attenzione quasi morbosa da parte dei media.

Nel caso recente, infatti, colpiscono la numerosità dei soggetti coinvolti rispetto al totale dei dipendenti, la trasversalità dei ruoli ricoperti dagli stessi e il fatto, non secondario, che proprio tale “sistema” possa essersi basato - secondo alcune ipotesi investigative che solo la magistratura potrà eventualmente confermare - su connivenze anche non silenziose da parte di chi sapeva e ha taciuto sui fatti (risalenti, peraltro, al 2014).

Il turbamento popolare è poi giustamente aggravato dall’ambito in cui tali fatti si sarebbero verificati, trattandosi di un settore, quello della Sanità pubblica, che tocca trasversalmente tutti, tanto più nel caso specifico, in quanto la struttura è ubicata in una zona popolare di una grande città, al servizio (si fa per dire…) di una popolazione composita spesso appartenente ai ceti meno abbienti.

Il nosocomio, probabilmente già in crisi di organico, ha allora patito forse ancor più, in questi anni, le conseguenze dei fatti specifici contestati, costringendo l’utenza ad attese protratte per effettuare esami diagnostici e ad un’assistenza precaria per i bisognosi di cure.

Non giunge quindi nuova l’ipotesi investigativa che, oltre agli illeciti disciplinari, sorregga l’ipotesi di una neanche troppo velata tendenza a spingere gli utenti verso la Sanità privata, in cui sembrerebbero peraltro attivi alcuni dei soggetti oggetto di provvedimenti della magistratura.

Su altri aspetti di rilevanza penale - aggiuntivi rispetto alle mancanze disciplinari - le indagini e gli approfondimenti sono ancora in corso, ma oltre alle condotte illegali volte a produrre le alterazioni documentali a copertura degli assenteisti, sembrano emergere, secondo indiscrezioni, anche fattispecie di reato legate alle truffe alle assicurazioni, lasciando intravedere quindi la complessità ed ampiezza della questione.

Ovviamente, in via generale, vale per tutti la presunzione di innocenza fino all’ultimo grado di giudizio, ma proprio per i motivi sopra esposti e per non ingenerare nell’opinione pubblica la pericolosissima suggestione che tutti gli impiegati pubblici siano assenteisti, corrotti e truffaldini, occorre che i responsabili dei reati e quanti avevano il dovere di controllarne l’operato, siano destinatari di una giustizia pronta, equa e inflessibile nella sanzione.

L’estensione di isolate condotte sanzionabili all’intera categoria del pubblico impiego è stato infatti troppo frequentemente il leitmotiv di un accanimento mediatico che non risponde a verità, getta fango su un’intera categoria di lavoratori e presta il fianco a strumentalizzazioni su larga scala che mal si accordano con le eventuali responsabilità anche penali da imputare ai singoli.

E sorge a volte anche il dubbio che tali operazioni mediatiche non servano solo ad accrescere il fatturato degli editori, ma siano parte di strategie di denigrazione di un’intera categoria (di dimensioni ampie ma non significative nel contesto globale della forza lavoro nazionale) al duplice scopo di minarne la forza contrattuale e ingraziarsi un’opinione pubblica sempre pronta a dare contro chi, apparentemente, gode di privilegi ritenuti ingiustificati.

Esempi di comportamenti non sempre corretti e comunque tendenti alla generalizzazione sono fin troppo frequenti nell’informazione nazionale e non meritano neanche la citazione esplicita: ricorrono, infatti, nei contenuti di alcuni (per fortuna non tutti) gestori dell’informazione ogni qual volta fatti di cronaca o risultanze di indagini e ricerche lascino anche un timido spiraglio ad una critica feroce e al discredito nei confronti degli impiegati pubblici.

La Pubblica Amministrazione non va certo scagionata dalle sue responsabilità, per le criticità e debolezze che hanno contribuito a impedirle di essere al passo con lo sviluppo della Società, dei cittadini e delle imprese.

Ma spingere su questi temi con intollerabile malizia (e, talvolta, malcelata acredine), diffondendo notizie artatamente viziate, comporta il rischio di avvalorare un’ingiusta aura negativa in un contesto da “caccia alle streghe” che non può far certamente bene al nostro Paese.

A fronte di questo, si accresce poi la sfiducia diffusa nelle istituzioni e - nel connubio diabolico del malaffare tra pubblica amministrazione e politica - si crea terreno fertile per lo sviluppo di sentimenti dell’anti-politica e del facile populismo.

Non serve qui ricordare, d’altro canto, che la stessa politica, specie nel passato, ha contribuito sensibilmente a creare un’elefantiaca massa di impiegati pubblici, substrato del proprio consenso elettorale.

Ebbene ora quella stessa politica, in particolare quella che di volta in volta è al governo, raramente manifesta approvazione verso la struttura amministrativa di cui si è dotata e che ha regolamentato, preferendo anzi gettare discredito sulla categoria proprio a fini elettorali.

In tal modo è la politica stessa che, senza rendersene forse conto, indebolisce le difese immunitarie contro il malaffare del proprio apparato amministrativo e del sistema Paese, lasciando soli e sfiduciati quei tantissimi civil servant che invece onorano l’incarico ricoperto: questi ultimi, piuttosto, avrebbero bisogno di rafforzare il loro senso di appartenenza e sentirsi rincuorati nel compito di veri artefici di un processo di riforma troppe volte sottoposto ad una guida schizofrenica.

D’altro canto, la degenerazione che caratterizza alcuni eventi nel pubblico impiego - come l’assenteismo durante l’orario di lavoro, la corruzione ed i comportamenti illeciti e fraudolenti - sono malanni da tempo noti a chi governa ma che oggi, forse, scontano una maggiore visibilità, anche a fronte di una obiettiva minore incidenza rispetto al passato.

È però questo un periodo di “vacche magre”, nel quale anche un marginale minus, tanto più se causato da un comportamento illecito fraudolento, scatena un equanime e diffuso sentimento di riprovazione.

Per tali malanni, tuttavia, il legislatore ha già da tempo messo a punto la medicina, attraverso gli strumenti già a disposizione delle organizzazioni pubbliche (in particolare della dirigenza e delle strutture demandate al controllo), inclusi quelli recentemente proposti come innovativi e risolutivi.

Gli interventi attuali, come i recenti decreti attuativi della riforma Madia, sono volti piuttosto ad integrare i provvedimenti già esistenti, mirando ad attualizzarne l’incisività e a promuoverne l’applicazione: per far questo, vanno ad incidere maggiormente che in passato sulla sfera economica (in particolare sul sistema premiante), sull’inasprimento del regime sanzionatorio e sulla velocizzazione dell’azione disciplinare.

Anche su questo ultimo aspetto occorre chiarezza: da un lato, la politica deve evitare di propinare vecchie pozioni come nuove e miracolose; dall’altro, gli operatori dei media devono fuggire dalla facile tentazione di assumere il ruolo di cassa di risonanza dei poteri forti, recuperando le prerogative del più sano diritto all’informazione.

Sarà così impossibile che a render ancora più opache le già torbide situazioni della maladministration e del malaffare perpetrato da pochi soggetti, intervenga da parte delle fonti di informazione una colpevole generalizzazione dei dati e degli istituti contrattuali riguardanti il pubblico impiego.

Diverso è infatti parlare di “furbetti del cartellino” e delle degenerazioni assenteistiche più recenti - che con un illecito così grave ledono innanzitutto il patto di fedeltà e legalità sottoscritto al momento dell’assunzione e frodano i cittadini onesti – rispetto all’enfasi data al riscontro di assenze effettuate a diverso titolo, disciplinate e tutelate dai contratti di lavoro, come le assenze per malattia, queste ultime certificate e verificabili anche su richiesta del datore di lavoro, pubblico e privato.

Occasione ghiotta (e in parte oggettivamente avvalorata da alcuni numeri) per un certo tipo di comunicazione mediatica distorta è stata infatti, da ultimo, la diffusione dei dati sulle assenze per malattia nell’anno 2015, forniti in chiusura dello scorso anno dall’INPS.

Al di là dell’oggettività delle informazioni fornite dall’Istituto, il riconoscere valore assoluto a medie empiricamente calcolate ed il rimarcare ogni minima risultanza con titoli inclementi sui media (“Il P.I. si ammala il doppio del privato”, “le donne statali sono le più cagionevoli”, ecc.) hanno sicuramente contribuito a fomentare nell’opinione pubblica un sentimento ancor più ostile, peraltro orfano di un’appropriata pesatura dei dati e di un’attenta analisi dei due diversi universi in osservazione, il settore pubblico e quello privato.

Non va infatti dimenticata la valenza che, storicamente e in penuria di risorse, hanno assunto nei contratti del pubblico impiego gli istituti di “tutela delle fragilità” rispetto ai contenuti reddituali e di premio alla produttività, sui quali si è invece concentrata l’azione di rappresentanza sindacale nel settore privato.

Al di là delle risultanze numeriche, per le quali si rimanda al sito istituzionale dell’Istituto, qui rileva solo rimarcare l’esistenza e la consistenza di un monitoraggio puntuale del fenomeno.

I dati forniti dall’Osservatorio Inps riportano infatti le indicazioni statistiche tratte dagli archivi amministrativi delle certificazioni di malattia e, attraverso specifiche elaborazioni, consentono di trattare il fenomeno non solo con riferimento al flusso dei certificati pervenuti, ma anche rispetto agli eventi di malattia e alla loro durata nel complesso, anche se riferita a più certificati. In queste statistiche non sono riportate le assenze riferite alla gravidanza, alle disposizioni di tutela dei disabili (legge n. 104/1992) e alle donazioni di sangue.

Oltre al monitoraggio sulle certificazioni di malattia effettuato dall’Inps, è utile ricordare, nello specifico, che la funzione di accertamento medico-legale delle assenze per malattia - già demandata all’Istituto per i dipendenti del settore privato - verrà affidata all’Istituto anche per la platea dei lavoratori pubblici, grazie alle disposizioni contenute in uno dei decreti attuativi della riforma Madia con il quale si istituisce un polo unico per le visite fiscali e nel quale viene al contempo prevista un’armonizzazione della disciplina tra pubblico e privato.

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