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Dott. Claudio Carbone

Focus sul “Il reclamo e la mediazione”, II° parte

fiscalitaSi è argomentato nella prima parte del focus che l’istituto del reclamo mediazione, disciplinato dall’articolo 17-bis del D.lgs n. 546 del 1992, è uno strumento deflativo del contenzioso tributario di recente introduzione, previsto dall’articolo 39, comma 9, del Dl n. 98 del 2011, come modificato dall’articolo 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, finalizzato a consentire un esame preventivo della fondatezza dei motivi del ricorso e una verifica circa la possibilità di evitare, mediante il raggiungimento di un accordo di mediazione, l’instaurazione di un giudizio tributario. Nella disciplina attualmente in vigore, si configura come un rimedio che il contribuente deve esperire obbligatoriamente e preliminarmente qualora intenda proporre ricorso avverso atti di valore non superiore a 20mila euro.

Per il calcolo di detto valore, si fa riferimento ai criteri che il novellato articolo 12, comma 2, del Dlgs n. 546 del 1992 prevede per l’individuazione delle liti soggette all’obbligo di assistenza tecnica. In realtà i predetti criteri sono rimasti invariati rispetto alla disciplina vigente: occorre, infatti, sempre avere riguardo all’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; per le cause relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, invece, il valore è costituito dalla somme di queste.

Ambito di applicazione

L’ambito di applicazione dell’istituto del reclamo mediazione, dalle controversie sugli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, è stato esteso anche alle controversie tributarie in cui sono parte in giudizio gli altri enti impositori. La scelta di ampliare la platea degli enti coinvolti nel procedimento di reclamo si giustifica in base al principio di economicità dell’azione amministrativa, preso atto dell’efficacia deflativa riscontrata in relazione al contenzioso sugli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e dell’elevato numero di controversie di modesto valore che caratterizza in generale il contenzioso tributario. Il reclamo diventa, quindi, obbligatorio anche per le controversie tributarie instaurate nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e degli enti territoriali. Per quanto concerne gli agenti della riscossione e i soggetti privati di cui all’articolo 53 del Dlgs 446/1997, si evidenzia che il comma 9 del nuovo articolo 17-bis stabilisce che la disciplina del reclamo si applica solo in quanto compatibile. La precisazione, “in quanto compatibili”, deriva dalla considerazione che tali soggetti non sempre hanno la disponibilità del tributo preteso con l’atto reclamato, come nel caso, ad esempio, dell’impugnazione di un fermo amministrativo conseguente alla riscossione coattiva di un atto di accertamento notificato dal Comune. Tenuto conto che tali enti non possiedono la disponibilità del tributo, si ritiene che il reclamo possa trovare applicazione per le impugnazioni concernenti, ad esempio, vizi propri delle cartelle di pagamento ovvero, come nell’esempio citato, per i fermi di beni mobili registrati o ipoteche. Sono escluse dal reclamo, per espressa previsione legislativa, le seguenti tipologie di controversie:

  1. quelle aventi a oggetto il recupero degli aiuti di Stato illegittimi e dei relativi interessi e sanzioni, di cui all’articolo 47-bis dello stesso Dlgs n. 546 del 1992;
  2. quelle di valore indeterminabile, eccettuate, per espressa previsione normativa, le liti in materia catastale indicate dall’articolo 2, comma 2, del Dlgs n. 546 del 1992. Ne consegue che, a seguito della riforma, il reclamo si applica anche alle controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale.

Rapporto con la conciliazione

Altra novità di rilievo è rappresentata dalla mancata riproposizione della vigente disposizione che impone l’alternatività tra mediazione e conciliazione. Di conseguenza, per effetto della riforma, rientrano nell’ambito di applicabilità della conciliazione, disciplinata dai nuovi articoli 48, 48-bis e 48-ter del Dlgs 546 del 1992, anche le controversie instaurate a seguito di rigetto dell’istanza di reclamo ovvero di mancata conclusione dell’accordo di mediazione. La ratio risponde all’esigenza di potenziare gli istituti deflativi sia nella fase anteriore alla instaurazione del giudizio che in pendenza di causa.

Le fasi che procedono all’accordo

La proposizione dell’impugnazione produce, oltre agli effetti sostanziali e processuali tipici del ricorso, anche quelli del reclamo/mediazione. Durante la pendenza del procedimento di reclamo/mediazione, e cioè a decorrere dalla notifica del ricorso e nei successivi 90 giorni, si verificano anche i seguenti ulteriori effetti: il ricorso non è procedibile, secondo quanto previsto dal comma 2 del richiamato articolo 17-bis del D.lgs n. 546 del 1992 e ciò significa che l’azione giudiziaria può essere proseguita, attraverso la costituzione in giudizio del ricorrente, solo una volta scaduto il termine per lo svolgimento dell’istruttoria. Sono, altresì, sospesi ex lege la riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di contestazione. Decorso il termine di 90 giorni senza che vi sia stato accoglimento del reclamo o perfezionamento della mediazione, il contribuente è tenuto a corrispondere gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta per il periodo di sospensione.

La struttura deputata al controllo

Il comma 4, dell’articolo 17-bis del D.lgs n. 546 del 1992 affida l’esame del reclamo e della proposta di mediazione ad apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili. La scelta di individuare un soggetto “terzo” al quale affidare l’attività di istruttoria, come previsto per la mediazione civile, è stata esclusa dal Legislatore in relazione alla circostanza che in campo tributario l’istituto del reclamo/mediazione si configura come espressione dell’esercizio di un potere di autotutela nonché di più adeguata determinazione dell’ente impositore, che va stimolato ed incoraggiato, allo scopo di indurre ogni Amministrazione a rivedere i propri errori prima dell’intervento del giudice. Il citato comma 4, riguardo l’ambito soggettivo, limita l’applicabilità della norma all’Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli. Di conseguenza, per gli altri enti impositori la previsione è da intendersi da applicare compatibilmente con la struttura organizzativa esistente. Nella relazione illustrativa al Decreto è stato precisato che la scelta di rimettere all’organizzazione interna di ciascun ente l’individuazione della struttura deputata all’esame della trattazione dei reclami è coerente con l’autonomia gestionale ed organizzativa tipica degli enti locali, evitando di imporre vincoli per molti enti impossibili da rispettare, anche a causa delle ridotte dimensioni della maggior parte dei Comuni. Ad ogni modo, nel caso in cui l’ente non individui un’apposita struttura, si ritiene che non sia necessaria l’adozione di atti che attribuiscano la competenza in capo al funzionario responsabile. In definitiva, per quanto concerne la fase dell’istruttoria del reclamo, è stata ribadita l’autonomia, all’interno dell’ente, del soggetto che deve decidere sul reclamo, per consentire un corretto esercizio del relativo potere. Tuttavia, con riferimento alle Agenzie fiscali, è stata riprodotta la vigente previsione che affida l’esame del reclamo e della proposta di mediazione ad apposite strutture diverse e autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili. Con riferimento agli altri enti impositori, invece, il legislatore ha rimesso alla organizzazione interna di ciascuno di essi l’individuazione della struttura eventualmente deputata alla trattazione dei reclami.

L’attività istruttoria della proposta di mediazione

Per effetto del successivo comma 5, dell’articolo 17-bis del D.lgs n. 546 del 1992, l’organo che procede all’istruttoria, se non intende accogliere il reclamo o l’eventuale proposta di mediazione del contribuente, formula d’ufficio una propria proposta di mediazione. La stessa disposizione individua i confini dell’esercizio di tale attribuzione. In particolare, è stabilito che le valutazioni dell’Ufficio devono fondarsi sui seguenti tre criteri:

  1. eventuale incertezza delle questioni controverse;
  2. grado di sostenibilità della pretesa;
  3. principio di economicità dell’azione amministrativa.

L’Ifel ha precisato che i predetti criteri, che devono orientare la scelta dell’ente, rappresentano il contenuto minimo della motivazione con riferimento: all’accoglimento della proposta del contribuente; al suo rigetto oppure alla formulazione di una controproposta. Riguardo la loro applicazione concreta, l’Ifel ritiene che possono essere richiamati, in quanto compatibili, gli indirizzi forniti dall’Agenzia delle entrate nella circolare 19 marzo 2012, n. 9/E. Nello specifico, la valutazione dell’incertezza delle questioni controverse va effettuata tenendo conto di un’eventuale consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, anche considerando che l’articolo 360-bis del c.p.c. sanziona con l’inammissibilità il ricorso avverso sentenze che hanno deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, ed il ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa. In assenza di una giurisprudenza di legittimità, è possibile fare riferimento alla giurisprudenza delle commissioni tributarie, con il limite relativo alla possibilità di trovarsi di fronte ad orientamenti di merito contrastanti. A differenza dei reclami proposti avverso atti dell’Agenzia delle entrate, l’Ifel evidenzia che nell’ambito dei tributi comunali è del tutto ininfluente la presenza di documenti di prassi amministrativa che abbiano fornito indicazioni opposte a quelle assunte dall’ente nell’emissione degli atti, stante la loro non vincolatività non solo per gli enti locali, ma anche per i contribuenti.

A proposito della valutazione del grado di sostenibilità della pretesa va ricondotta alla capacità dell’ente di provare e documentare la propria pretesa, anche considerando l’orientamento giurisprudenziale formatosi sul tema controverso. La valutazione del principio di economicità dell’azione amministrativa, infine, deve tener conto del disposto di cui all’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 ai sensi del quale l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario. Su questo aspetto, l’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 9/E del 2012, ha chiarito che il principio di economicità va inteso non solo come necessità di ottimizzare l’uso delle risorse economiche ma anche come ottimizzazione dei procedimenti e, quindi, come impegno a non gravare il procedimento amministrativo di oneri inutili e dispendiosi, cercando di realizzare una rapida ed efficiente conclusione dell’attività amministrativa, nel rispetto dei principi di legalità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza.  Tale criterio, naturalmente, non intacca il principio della indisponibilità della pretesa tributaria, a meno che un suo utilizzo finalizzato solo ad evitare il contenzioso violerebbe apertamente gli altri principi cui si deve uniformare l’attività amministrativa, primi tra tutti quello della legalità e della imparzialità.

Gli effetti della proposta di mediazione

Ai sensi del comma 1, dell’articolo 17-bis del D.lgs n. 546 del 1992, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso da parte del contribuente produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

La proposta di mediazione formulata dal contribuente, dunque, rientra nell’esercizio di una facoltà e non di un obbligo. Al riguardo, come rappresentato nella parte prima del presente focus,  la normativa non pone limiti specifici, e quindi è potenzialmente soggetto a mediazione qualsiasi atto emesso dal Comune.

L’organo che procede all’istruttoria, come anticipato, se non intende accogliere il reclamo o l’eventuale proposta di mediazione del contribuente, formula d’ufficio una propria proposta di mediazione. La norma in esame, è bene precisare, non impone all’ente locale di formalizzare il proprio diniego al reclamo o alla mediazione. Nel silenzio dell’ente locale, trascorsi i 90 giorni di legge, il contribuente è tenuto a depositare, nei 30 giorni successivi, il ricorso presso la commissione tributaria. È tuttavia consigliato di concludere l’istruttoria per due ordini di motivi. Il primo generale, di attuazione delle disposizioni dello statuto del contribuente che impone che i rapporti tra contribuente ed ente impositore siano improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Il secondo, da riferirsi alle conseguenze che scaturiscono dall’applicazione del novellato articolo 15, comma 2-septies del D.lgs. n. 546 del 1992, che disciplina, con finalità deflattiva, che nelle controversie reclamabili le spese di giudizio siano maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento. In tale contesto, è opportuno formulare un diniego espresso ed adeguatamente motivato, oltre che, se eventualmente necessario, invitare il contribuente al contradditorio. Tale attività mette al riparo il responsabile dell’istruttoria anche da possibili addebiti di natura erariale che può derivare, ai sensi  dell’articolo 39, comma 10 del Dl n. 98 del 2011, in relazione ai fatti e alle omissioni commessi con dolo.

L’esecuzione dell’accordo

Il comma 6, dell’articolo 17-bis del D.lgs n. 546 del 1992, disciplina l’esecuzione dell’accordo tra Comune e il contribuente. La mediazione si perfeziona con il versamento, entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione, delle somme dovute, o in caso di rateizzazione, della prima rata. La norma richiama l’articolo 8 del D.lgs. n. 218 del 1997, disciplinante le modalità di pagamento dell’accertamento con adesione. Pertanto, in caso di rateizzazione, sono previste un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo o un massimo di 16 rate trimestrali se le somme dovute superano i 50 mila euro; ovviamente tale ultima possibilità non potrà in concreto verificarsi perché gli atti soggetti a mediazione sono di importo fino a 20 mila euro. Nel caso di mancato pagamento delle rate successive alla prima, il Comune deve procedere alla riscossione coattiva degli importi ancora dovuti, fermo restando che il titolo non è più rappresentato dall’atto di accertamento, che ha perso efficacia col pagamento della prima rata, ma dall’accordo stesso di mediazione. Nelle controversie avverso una domanda di rimborso, l’accordo si perfeziona, invece, con la sua sottoscrizione, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo stesso costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente. Nel caso in cui il Comune non provveda successivamente al rimborso delle somme concordate non è attivabile il giudizio di ottemperanza, che riguarda solo gli obblighi derivanti da una sentenza della commissione tributaria, sicché il contribuente dovrà agire innanzi al giudice ordinario per ottenere un decreto ingiuntivo. L’accordo, naturalmente, deve contenere l’indicazione specifica degli importi risultanti dalla mediazione (tributo, interessi e sanzioni) e le modalità di versamento degli stessi, comprese le eventuali modalità di rateizzazione.

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