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Dott. Claudio Carbone

Cartella di pagamento: le azioni di tutela

fiscalitaLa cartella di pagamento è il documento che Equitalia invia ai cittadini su incarico dell’ente creditore. Nella cartella è indicato l’importo totale da saldare e gli enti che ne hanno fatto richiesta tramite Equitalia. Poi è indicato il dettaglio dei singoli tributi non pagati, gli interessi, le sanzioni, l’aggio e le altre spese.

Se il pagamento avviene oltre i termini di scadenza indicati nella cartella/avviso, all’importo occorre aggiungere rispettivamente gli ulteriori interessi di mora e sanzioni, previsti dalla legge e versati interamente agli enti creditori, l’aggio, nonché le eventuali spese per le azioni cautelari/esecutive (ipoteche, fermi, pignoramenti). Quanto agli interessi di mora, si ricorda che si tratta di oneri aggiuntivi, previsti dalla legge, che si applicano alle somme da pagare in caso di scadenza dei termini previsti. Quindi, gli interessi di mora decorsi inutilmente 60 giorni dalla notifica della cartella/avviso, si applicano giornalmente sulle somme richieste, a partire dalla data della notifica e fino alla data del pagamento. L’agente della riscossione riversa interamente gli interessi mora all’ente creditore. A partire dai ruoli consegnati dal 13 luglio 2011, gli interessi di mora non sono più calcolati sulle sanzioni pecuniarie tributarie e sugli altri interessi. L’aggio, infine, è la remunerazione che l’agente della riscossione percepisce per l’attività di riscossione. Dopo 60 giorni dalla notifica della cartella, se il cittadino non ha provveduto al pagamento, non ha ottenuto una rateizzazione o non è intervenuto un provvedimento di sospensione o annullamento del debito, Equitalia è tenuta ad attivare le procedure cautelari a garanzia del credito degli Enti impositori. In tal caso, Equitalia invia al contribuente, prima dell’attivazione delle citate procedure, comunicazioni e avvisi, per informarlo delle azioni che per legge è tenuta a compiere al fine di recuperare quanto dovuto. Per i debiti fino a mille euro non si procede alle azioni cautelari ed esecutive prima di 120 giorni dall’invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio del debito.

La natura impositiva della cartella

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità della Suprema Corte di Cassazione negli ultimi anni ha ribadito la natura di atto impositivo della cartella esattoriale, quando questa non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria. Quale atto dotato di autonoma efficacia impositiva, la cartella deve consentire al destinatario una piena comprensione delle ragioni di fatto o di diritto su cui si fonda l’imposizione tributaria. In tal senso, la Corte di Cassazione, Sez. 5, con la sentenza n. 28276 del 2014, ha affermato che la cartella esattoriale deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione. Ne deriva l’illegittimità della cartella di pagamento che non esplicita le informazioni necessarie e sufficienti per consentire al contribuente la verifica dei criteri di applicazione dell’imposta. In questi casi, peraltro, l’obbligo di motivazione della cartella con efficacia impositiva non può essere soddisfatto quale motivazione “per relationem”, e, quindi, con il mero rinvio ad altro atto presupposto dell’imposizione. In altra situazione, ma le cui conclusioni sono conformi ai principi suindicati, la Corte di Cassazione, Sez. 5, con la sentenza n. 21177 del 2014, ha escluso l’annullabilità per vizio di motivazione della cartella esattoriale che non costituisca il primo e unico atto con cui si esercita la pretesa tributaria, essendo stata preceduta dalla notifica di altro atto propriamente impositivo, anche qualora non contenga l’indicazione del contenuto essenziale dell’atto presupposto, conosciuto e impugnato dal contribuente.

La natura di atto impositivo della cartella esattoriale è stata confermata anche con sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 5, n. 1263 del 2014, con riferimento all’ipotesi di cartella esattoriale emessa ai sensi dell’articolo 36 bis del Dpr n. 600 del 1973, che si è ritenuta impugnabile, ai sensi dell’articolo 19 del D.lgs. n. 546 del 1992, non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, poiché non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante. Tale natura, nondimeno, non implica che la cartella debba essere provvista della sottoscrizione autografa del soggetto responsabile. Con sentenza della Sez. 5, n. 25773 del 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito, infine, il consolidato principio secondo cui la mancanza di sottoscrizione da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, in quanto l’esistenza della cartella dipende dalla inequivocabile riferibilità, desumibile da elementi formali dell’atto, dell’organo amministrativo titolare del potere, e tale requisito formale non è previsto nel modello approvato con decreto del Ministro competente, per il quale è sufficiente l’intestazione per verificarne la provenienza e l’indicazione della somma da pagare nonché della causale.

Le azioni di tutela

Se il contribuente ritiene che la richiesta di pagamento presente nella cartella o nell’avviso non sia dovuta può chiederne l’annullamento direttamente all’ente creditore (c.d. sgravio), al giudice oppure chiedere a Equitalia di sospendere la cartella e di fare da tramite con l’ente creditore per l’annullamento In particolare, può chiedere a Equitalia di sospendere le procedure di riscossione per far verificare all’ente creditore la propria situazione, presentando una dichiarazione che indichi i motivi per i quali si ritiene di non dover pagare le somme richieste. Ricevuta l’istanza, Equitalia sospende le procedure ed inoltra la richiesta all’ente. Se trascorrono 220 giorni dalla richiesta senza che l’ente risponda, quel particolare debito sarò annullato. Se, invece, i documenti inviati non sono idonei, l’ente deve comunicare a Equitalia di riprendere le attività. È possibile chiedere la sospensione direttamente a Equitalia, ad esempio, quando le somme richieste dall’ente creditore, attraverso Equitalia, siano state interessate da:

  1. prescrizione o decadenza del credito, prima della formazione del ruolo;
  2. provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore;
  3. sospensione amministrativa (dell’ente creditore) o giudiziale;
  4. sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte;
  5. un pagamento effettuato prima della formazione del ruolo;
  6. qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito.

Dalla data di notifica della cartella iniziano a decorrere anche i termini per contestare, tramite apposito ricorso, la legittimità dell’importo richiesto con la cartella. Il ricorso, ovvero l’atto finalizzato a contestare il debito, deve essere proposto contro l’ente impositore che ha emesso il ruolo. Sarà, invece, proposto nei confronti dell’agente della riscossione quando la cartella di pagamento è affetta da vizi o errori di notifica. L’indicazione dell’ente è individuabile nella cartella di pagamento nella sezione denominata “Dettaglio degli addebiti” e le modalità da seguire sono indicate nella sezione denominata “Quando e come presentare il ricorso”. Le modalità e le scadenze per produrre ricorso (30, 40 o 60 giorni dalla data della notifica), sono differenziate in base alla natura del debito. La proposizione del ricorso non sospende automaticamente l’esecutività dell’atto impugnato. La facoltà di sospendere automaticamente l’esecutività dell’atto impugnato è, invece, attribuita al giudice tributario, con efficacia limitata a non oltre la data di pubblicazione della sentenza di primo grado e con l’obbligo del giudice di fissare la trattazione della controversia non oltre novanta giorni dalla pronuncia di sospensione. L’articolo 47, primo comma, del D. lgs n. 546 del 1992, nel dettaglio, prevede la possibilità per il ricorrente di chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, se da essa può derivargli un danno grave ed irreparabile. A parere della giurisprudenza, la gravità e l’irreparabilità del danno debbono intendersi come un’eccezionale sproporzione tra il vantaggio che può ricavare chi esegue la decisione e il pregiudizio che ne deriva all’altra parte. L’irreparabilità del danno, in particolare, si realizza nel caso in cui non è più possibile ripristinare la situazione preesistente all’esecuzione dell’atto. Il gravissimo danno, naturalmente, deve essere valutato con riferimento alla capacità patrimoniale del soggetto. In quest’ottica, poiché l’oggetto del contendere è il pagamento di una cartella di pagamento e, quindi, di un bene fungibile, l’irreparabilità dovrà essere valutata nella possibilità che a seguito dell’esborso ne derivi una grave lesione all’attività economica in termini di cessazione o interruzione, ovvero se trattasi di persona fisica nell’impossibilità di garantire il sostentamento a se stesso e alla sua famiglia. L’istanza di sospensione può essere proposta nel ricorso o con atto separato e, in entrambi i casi, deve essere specificatamente motivata. In dettaglio, nel caso in cui sia proposta contestualmente al ricorso, deve essere autonomamente motivata rispetto ai motivi d’impugnazione dell’atto, con l’osservanza dei modi e dei tempi di presentazione di quest’ultimo. Va altresì osservato che eventuali pronunce d’inammissibilità e d’improcedibilità del ricorso, in questo caso, si estendono anche sulla richiesta di sospensione. Nel caso in cui, invece, sia presentata con atto separato, è richiesta la notificata alle altre parti e il successivo depositato in segreteria, ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 22, del D.lgs n. 546 del 1992. Il presidente è tenuto a fissare, con decreto, la trattazione dell’istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendone poi la comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. In caso d’eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, con lo stesso decreto, può motivatamente disporre la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio. In udienza le parti sono ammesse a svolgere le proprie argomentazioni a favore o contro il provvedimento di sospensione. Conclusa la trattazione, il collegio decide in camera di consiglio e, delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. L’istanza di sospensione è decisa entro 180 giorni dalla data di presentazione della stessa. La sospensione oltre che totale, può essere parziale, purché subordinata alla prestazione d’idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento. In caso di mutamento delle circostanze, infine, è consentito alla commissione, su istanza motivata di parte, revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza. Il ricorso contro il ruolo di cui all’articolo 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come anticipato, non sospende la riscossione. L’ente locale, tuttavia, ha facoltà di disporla in tutto o in parte fino alla data di pubblicazione della sentenza della commissione tributaria provinciale, con provvedimento motivato notificato all’agente della riscossione ed al contribuente. Il provvedimento, naturalmente, può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione.

 

La mediazione ed il reclamo

Come è noto a partire da gennaio 2016 trovano applicazione anche ai tributi locali gli istituti del reclamo e della mediazione, introdotti dal Dlgs n. 156 del 2015. L’articolo 17-bis del Dlgs n. 546 del 1992, coe riformulato a seguito delle novità introdotte dal citato Decreto, stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2016, per le controversie di valore non superiore a euro 20.000, il ricorso al giudice tributario produce gli effetti di un reclamo. Di conseguenza, al momento della presentazione del ricorso giurisdizionale sorge in via automatica un procedimento amministrativo volto al riesame dell’atto impugnato da parte dello stesso ente che lo ha emanato. Chi intende proporre il ricorso è tenuto preliminarmente a presentare il reclamo; la presentazione del reclamo è condizione di procedibilità del ricorso che può essere eccepita dall’ente impositore, nonché nella nuova procedura è espressamente prevista l’esclusione della conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48 del Dlgs n. 546 del 1992. Per effetto dell’istituto della mediazione, il ricorso rimane congelato per un periodo di 90 giorni dalla sua presentazione, durante il quale avviene l’esame del reclamo. È facoltà del contribuente presentare una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. L’ufficio impositore, è tenuto a valutare il reclamo e se non intende accoglierlo, deve formulare una proposta di mediazione. Il tutto deve avvenire entro 90 giorni. Trascorso tale termine, inizia la decorrenza di quello che la legge assegna al ricorrente per costituirsi nel giudizio, mediante il deposito della copia del ricorso presso la commissione tributaria.

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