Riforma che, si ricorda, trova le sue origini nell’articolo 10, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 23 del 2014, con l’attribuzione al Governo del compito di introdurre norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, e, nel contempo di assicurare la terzietà dell’organo giudicante. In attuazione della suddetta delega, il Titolo II del D.Lgs n. 156 ha apportato rilevanti modifiche ad alcune disposizioni contenute nel D.Lgs n. 546 del 1992, concernente la disciplina del processo tributario. In sintesi, per gli enti locali le più importanti modifiche apportate al D.lgs n. 546 che la Circolare ricorda riguardano:
- l’estensione dell’ambito di applicazione della conciliazione al giudizio di appello e alle controversie soggette a reclamo/mediazione;
- l’estensione dell’ambito di operatività del reclamo/mediazione alle controversie degli enti locali, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del D.lgs n. 446 del 1997, abilitati ad effettuare le attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni, nonché alle controversie catastali, prima escluse dal reclamo/mediazione a causa dell’indeterminabilità del valore;
- la rivisitazione della disciplina della tutela cautelare, che è stata estesa atutte le fasi del processo, codificando in tal modo i principi stabiliti inmateria dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità. È così modificata la disciplina della sospensione e della conciliazione;
- l’esecutività immediata delle sentenze non definitive concernenti i giudizipromossi avverso gli atti relativi alle operazioni catastali e di quelle,sempre non definitive, recanti condanna al pagamento di somme a favoredei contribuenti, eventualmente subordinato alla prestazione di idoneagaranzia in caso di somme di importo superiore a 10.000 euro;
- il mantenimento del criterio della riscossione frazionata del tributo inpendenza di giudizio con lo scopo di non aggravare gli obblighi di versamento da parte dei contribuenti, a fronte di atti impositivi ancora non definitivi. Restano, ad ogni modo, ancora dubbi sull’applicazione di tale istituto ai tributi locali, posto i diversi orientamenti della Cassazione e che in tale contesto di riforma potevano essere definitivamente superati con una disposizione di riferimento specifico;
- la previsione del giudizio di ottemperanza come unico meccanismoprocessuale di esecuzione delle sentenze, siano esse definitive o meno,escludendo la possibilità di ricorso all’ordinaria procedura esecutiva e, quindi, alle norme del c.p.c.;
- l’affidamento alla commissione tributaria, in composizione monocratica,della cognizione dei giudizi di ottemperanza instaurati per il pagamento di somme di importo non superiore a 20.000 euro e, in ogni caso, per ilpagamento delle spese di giudizio;
- il massimo ampliamento dell’utilizzazione della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni;
- la possibilità di impugnare la sentenza della ctp in Cassazione, previo accordo tra le parti, omettendo così la fase dell’appello.
La sospensione per pregiudizialità
La sospensione per pregiudizialità è una nuova ipotesi di sospensione del processo tributario, introdotta dal D.lgs n. 156 del 2015, con l’articolo 9, comma 1, lettera o), attraverso l’aggiunta dei commi 1-bis all’articolo 39 del D.Lgs n. 546 del 1992, concernente la disciplina del processo tributario. Nella formulazione precedente, la sospensione necessaria del processo era prevista nei casi di proposizione di querela di falso e di sussistenza di questioni pregiudiziali concernenti lo stato o la capacità delle persone, fatta eccezione per la capacità di stare in giudizio. Inoltre, altre disposizioni di legge applicabili anche al processo tributario, individuano ulteriori ipotesi di sospensione necessaria, quali la rimessione alla Corte costituzionale di una questione di legittimità costituzionale e la proposizione del ricorso per ricusazione. Con la nuova disposizione, la commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa. In definitiva, con l’inserimento del comma 1-bis, nell’articolo 39, del D.Lgs n. 546 del 1992, è disciplinata in via generale la sospensione necessaria per pregiudizialità nei rapporti tra liti instaurate innanzi alle commissioni tributarie, riproducendo essenzialmente l’articolo 295 del c.p.c., in attuazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità. La Corte di cassazione, in particolare, ha da tempo riconosciuto, con riferimento ai rapporti tra i processi tributari (c.d. rapporti interni), l’applicabilità della sospensione per pregiudizialità di cui all’articolo 295 c.p.c., osservando che l’articolo 39 del decreto n. 546, “pur nell’interpretazione restrittiva datane dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale..., non esclude l’applicazione della norma generale del codice di rito … (Cass. n. 14788/2001; n. 7506/2001)” (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21091). Si ricorda, altresì, che la Corte di Cassazione, con sentenza 15 maggio 2006, n. 11181 ha ritenuto che la sospensione per pregiudizialità deve sempre essere concessa dal giudice, anche d’ufficio nel caso in cui non sia stata espressamente richiesta dalle parti. La necessità di sospendere il processo tributario si presenta soprattutto allorquando il contribuente impugna atti di accertamento Ici/Imu che si fondano su una rendita catastale impugnata. La Corte, con ordinanza 10 gennaio 2014, n. 421, ha nuovamente confermato che “tra la controversia che oppone il contribuente all’Agenzia del territorio in ordine all’impugnazione della rendita catastale attribuita ad un immobile e la controversia, che oppone lo stesso contribuente al Comune, avente ad oggetto l’impugnazione della liquidazione dell’ICI gravante sull’immobile cui sia stata attribuita la rendita contestata, sussiste un rapporto di pregiudizialità che impone la sospensione del secondo giudizio, ai sensi dell’articolo 295 del c.p.c., fino alla definizione del primo con autorità di giudicato, in quanto la decisione sulla determinazione della rendita si riflette necessariamente, condizionandola, sulla liquidazione dell’imposta.
La nuova disciplina degli istituti deflattivi del contenzioso
La riforma del processo tributario, infine, reca alcune importanti novità in merito alle misure che il contribuente può mettere in campo per assicurarsi una tutela più efficace e meno costosa, obbligando i comuni ad offrire ogni utile supporto per la piena attuazione delle norme di garanzia. La novità più importante è senza dubbio quella disciplinata all’articolo 17-bis del D.lgs. n. 546 del 1992 che è stato completamente riscritto dal D.lgs. n.156 del 2015, ampliando gli atti soggetti a reclamo. Il nuovo istituto, si precisa da subito, non necessita di essere recepito in un regolamento comunale, operando ex lege. Il comma 1, del citato articolo, infatti, prevede, per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro, che “il ricorso produce gli effetti di un reclamo” e può contenere anche una proposta di mediazione con rideterminazione della pretesa impositiva. Nella sostanza, il reclamo non è atto diverso dal ricorso, ma è il ricorso stesso che assume valore di reclamo: scaduti i termini concessi per addivenire ad un accordo nella fase pre-processuale, il ricorrente deve costituirsi in giudizio entro 30 giorni, depositando il ricorso/reclamo presso la segreteria della commissione adita. Inoltre, la norma non pone più, come in passato, limitazioni con riferimento al soggetto che ha emesso l’atto e, pertanto, sono reclamabili tutti gli atti emessi dagli enti impositori, compresi quelli degli enti locali, dell’agente della riscossione e dei concessionari iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del D.lgs. n. 446 del 1997. I Comuni dovranno tener conto che la disposizione si applica anche agli atti notificati a novembre 2015 per i quali non sono scaduti i termini per presentare il ricorso a partire da gennaio 2016. Fino al 2015, infatti, restano valide le vecchie disposizioni. È, dunque, opportuno garantire la massima informazione su queste novità, nonché integrare il contenuto degli avvisi di accertamento, posto che la mancata osservanza delle nuove disposizioni, sia da parte del Comune che da parte del contribuente, determina l’improcedibilità del ricorso. Infine, si ricorda che il comma 5 precisa che l’organo del comune destinatario, se non intende accogliere il reclamo o la proposta di mediazione, può formulare una propria proposta, avendo riguardo: all’eventuale incertezza delle questioni controverse; al grado di sostenibilità della pretesa; al principio di economicità dell’azione amministrativa.
Il D.lgs. n. 156 del 2015 riordina anche la disciplina della conciliazione giudiziale mediante la riscrittura dell’articolo 48 del D.lgs. n. 546 del 1992 e l’introduzione degli articoli 48-bis e 48-ter. La novità di interesse, in questo caso, riguarda l’estensione della procedura anche ai giudizi di secondo grado, con il riconoscimento, però, di una sanzione più elevata (il 50% del minimo) rispetto a quella applicata in primo grado (il 40% del minimo). Infine, diverse sono le modifiche recate alla disciplina sulla sospensione dell’atto impugnato, disciplinate all’articolo 47 del D.lgs. n. 546 del 1992). La prima è disciplinata al comma 2, per effetto del quale, il Presidente può disporre la sospensione con decreto motivato diverso da quello di fissazione dell’udienza di trattazione. Il comma 4 prevede ora che, all’esito dell’udienza sulla sospensiva, la decisione in merito all’accoglimento o al rigetto dell’istanza deve essere adottata con ordinanza, il cui dispositivo deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza. Il comma 5, invece, modifica la disciplina relativa alla garanzia cui può essere subordinata la concessione della sospensiva, mentre il nuovo comma 8-bis, prevede che durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa