Accesso Abbonati

Dott. Villiam Zanoni

Alcune riflessioni sulla circolare n° 58/2016 dell’ INPS (Chiarimenti sul sistema contributivo, misto e retributivo)

pensioniprevLa circolare da cui traggono spunto le successive considerazioni ha destato non poche perplessità e soprattutto una ridda di interpretazioni sulle quali sarebbe bene che l’INPS si pronunciasse molto più esplicitamente, magari previo tavolo di concertazione con il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e con il Dipartimento della Funzione Pubblica. Partiamo dall’oggetto della circolare (“Chiarimenti in materia di applicazione del massimale contributivo di cui all’articolo 2, comma 18 della legge 8 agosto 1995, n° 335 per i soggetti iscritti alle Gestioni pubbliche”) che per una parte appare assolutamente scontato, mentre poi in verità  nasconde un altro chiarimento che è quello che in verità ha generato le ricadute problematiche.

Gran parte della circolare è dedicata a quella che a mio avviso era la parte meno problematica, e cioè alla vicenda relativa al massimale contributivo e alla corretta interpretazione dell’articolo 2, comma 18, della legge n° 335/1995, che, dopo una prima parte assolutamente innocua, al secondo capoverso aveva così disposto:

Per i lavoratori, privi di anzianità contributiva, che si iscrivono a far data dal 1° gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie e per coloro che esercitano l'opzione per il sistema contributivo, ai sensi del comma 23 dell'articolo 1, è stabilito un massimale annuo della base contributiva e pensionabile di lire 132 milioni, con effetto sui periodi contributivi e sulle quote di pensione successivi alla data di prima assunzione, ovvero successivi alla data di esercizio dell'opzione”.

Quella norma ha dormito tranquillamente per 20 anni senza che fossero sollevati particolari problemi, fino a quando è arrivata a sorpresa una interpretazione autentica per effetto dell’articolo 1, comma 280, della legge n° 208/2015, di cui non avevamo percepito una particolare necessità, che così recita:

Il comma 18 dell’articolo 2 della legge 8 agosto 1995, n° 335, si interpreta nel senso che i lavoratori assunti successivamente al 31 dicembre 1995 ai quali siano accreditati, a seguito di una loro domanda, contributi riferiti a periodi antecedenti al 1° gennaio 1996 non sono soggetti all’applicazione del massimale annuo della base contributiva e pensionabile, di cui alla medesima disposizione, a decorrere dal mese successivo a quello di presentazione della domanda”.

Ciò che risulta scritto nella interpretazione autentica, in effetti lo trovammo già indicato sia nella lettera-circolare dell’ex INPDAP n° 2359 del 18 dicembre 2008, sia nella circolare INPS n° 42 del 17 marzo 2009, le quali differivano per un solo particolare: mentre l’INPDAP prevedeva che la disapplicazione del massimale avvenisse materialmente dal momento in cui il lavoratore accettava il provvedimento di riscatto, ovviamente con effetto retroattivo dalla data della domanda, l’INPS prevedeva che la disapplicazione avvenisse immediatamente dal mese successivo alla domanda. Tranne che per la tempistica, gli effetti erano comunque identici.

Sento però parlare (fonti INPS) di applicazione del massimale contributivo a soggetti, considerati contributivi, iscritti dopo il 1° gennaio 1996 ad una gestione previdenziale diversa da quella precedentemente posseduta e nella quale magari hanno già acquisito un trattamento pensionistico, e la cosa mi lascia particolarmente sconcertato.

Lo stesso INPS, infatti, nell’ultima circolare richiama e conferma le indicazioni già a suo tempo emanate con circolare n° 177/1996, che così recitano:

“Per i lavoratori privi di anzianità contributiva si intendono coloro che si iscrivono alle predette gestioni pensionistiche con decorrenza successiva al 31 dicembre 1995 e non vantino alcuna anzianità contributiva maturata a tale data in gestioni pensionistiche obbligatorie.

Agli effetti degli adempimenti contributivi si osserveranno i seguenti criteri.

  1. per i lavoratori assunti dopo il 31.12.1995, nel momento in cui il loro livello retributivo si attesti al di sopra del massimale annuo di L. 132 milioni, i datori di lavoro dovranno acquisire una dichiarazione del lavoratore attestante l’esistenza o meno di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva anteriori al 1° gennaio 1996.

In caso affermativo sottoporranno a contribuzione pensionistica l’intera retribuzione senza cioè applicare il massimale.”

Siccome l’interpretazione autentica e la circolare n° 58/2016 sono riferite esplicitamente a coloro i quali, avendo solo contribuzione successiva al 1° gennaio 1996, acquisiscono anzianità contributive antecedenti alla predetta data, non riesco a capire quale scenario sia modificato rispetto a quello a suo tempo delineato dall’INPS e riferito in modo plurale a coloro che “non vantino alcuna anzianità contributiva maturata a tale data in gestioni pensionistiche obbligatorie”.

Tali indicazioni, fra l’altro, erano perfettamente in linea con quanto scritto successivamente dal Ministero del Lavoro con nota n° 2627 del 12 febbraio 2008 in risposta ad un quesito dell’INPDAP.

Tutt’altra storia è invece quella del diritto e della misura della pensione.

Al punto 5 della circolare n° 58/2016 vengono inseriti i “Nuovi criteri per l’accertamento dell’anzianità contributiva al 31.12.1995 e del conseguente sistema di calcolo da adottare per la liquidazione delle pensioni delle gestioni esclusive”, vicenda che non ha nulla a che fare con il massimale contributivo e con l’interpretazione autentica della legge di stabilità.

Anzi, conoscendo gli antefatti delle “segrete stanze” l’inserimento di quel punto 5 appare come un “regolamento di conti” fra INPS e ex INPDAP dopo 7 anni di litigi

Innanzitutto da una attenta lettura della circolare n° 58/2016 si rileva che in nessuna parte si parla di “requisiti per il diritto a pensione”, tutt’al più si parla di “sistema di calcolo” da adottare per la liquidazione della pensione.

Al punto 5 della citata circolare, infatti, si rinvia all’articolo 1, commi 12 e 13, della legge n° 335/1995, che rispettivamente prevedono le regole di calcolo miste o retributive in funzione della anzianità contributiva posseduta al 31.12.1995, ma mai viene citato l’articolo 24 del D.L: n° 201/2011convertito in legge n° 214/2011.

Sempre per memoria ricordiamo i suddetti commi:

12. Per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma:

  1. a)della quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data;
  2. b)della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo.

13. Per i lavoratori già iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni, la pensione è interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo”.

In sostanza, ciò che appare messo in discussione parrebbe unicamente il criterio che a suo tempo adottò l’INPDAP (anche se in effetti non trovò mai pratica applicazione) con la famosa o famigerata lettera-circolare n° 2359 del 18 dicembre 2008 (famigerata perché, nonostante fosse indirizzata alle sedi territoriali dell’INPDAP, ai sindacati dei pensionati e ai patronati, non ebbe mai l’onore di essere pubblicata sul sito dell’istituto).

Tutti avemmo a suo tempo contezza del fatto che l’INPS non condividesse le indicazioni presenti nel parere ministeriale e in quella lettera-circolare, ancorché avesse pedissequamente adottato le interpretazioni del Ministero del lavoro fornite con la nota n° 2627 del 12 febbraio 2008, così come eravamo consapevoli del fatto che il diritto a pensione nel “sistema contributivo” avesse paradossalmente criteri applicativi diversi fra INPS i INPDAP (INPS leggeva la sola contribuzione del proprio ordinamento senza tenere conto di altre contribuzioni, mentre INPDAP leggeva la storia contributiva del soggetto nell’arco della propria vita assicurativa).

Ritenevamo tale discrasia eliminata con la riforma Fornero e tutti sottolineammo il fatto che non era tanto il sistema di calcolo a differenziare i requisiti di accesso, quanto l’esistenza o meno di contribuzione in qualsiasi gestione assicurativa alla data del 31 dicembre 1995.

Infatti, il comma 7 dell’articolo 24 della legge 214/2011 ha previsto che “Il diritto alla pensione di vecchiaia di cui al comma 6 è conseguito in presenza di un’anzianità contributiva minima pari a 20 anni, a condizione che l’importo della pensione risulti essere non inferiore, per i lavoratori con riferimento ai quali il primo accredito contributivo decorre successivamente al 1° gennaio 1996, a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n° 335. ….. Si prescinde dal predetto requisito di importo minimo se in possesso di un’età anagrafica pari a settanta anni, ferma restando un’anzianità contributiva minima effettiva di cinque anni.

Altrettanto ha fatto il comma 11 quando ha previsto che “Fermo restando quanto previsto dal comma 10, per i lavoratori con riferimento ai quali il primo accredito contributivo decorre successivamente al 1° gennaio 1996 il diritto alla pensione anticipata, previa risoluzione del rapporto di lavoro, può essere conseguito, altresì, al compimento del requisito anagrafico di sessantatre anni, a condizione che risultino versati e accreditati in favore dell’assicurato almeno venti anni di contribuzione effettiva e che l’ammontare mensile della prima rata di pensione risulti essere non inferiore ad un importo soglia mensile, annualmente rivalutato sulla base della variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL) nominale, appositamente calcolata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare, pari per l’anno 2012 a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale di cui all’articolo 3, commi 6 e 7 della legge 8 agosto 1995, n° 335, e successive modificazioni e integrazioni.”

Anzi, per evitare commistioni varie, lo stesso comma 7, all’ultimo capoverso, ha letteralmente disposto che “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2 del decreto-legge 28 settembre 2001, n° 355, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2001, n° 417, all’articolo 1, comma 23 della legge 8 agosto 1995, n° 335, le parole «, ivi comprese quelle relative ai requisiti di accesso alla prestazione di cui al comma 19,» sono soppresse.

Ne era conseguentemente derivato che i soggetti optanti potevano certamente scegliere di adottare il “calcolo contributivo”, ma le regole di accesso sarebbero state quelle di tipo generale all’interno della quali la discriminante ritornava ad essere quella di possedere o meno contribuzione alla data del 31.12.1995.

Le circolari n° 35, 36 e 37 del 2012 avevano puntualmente evidenziato tutto ciò.

Come si inserisce quindi la circolare n° 58/2016?

Ciascun ordinamento dovrebbe individuare le “regole di calcolo” tenendo conto, unicamente ai fini del perfezionamento o meno dei 18 anni di contribuzione di cui ai commi 12 e 13 dell’articolo 1 della legge n° 335/1995, della contribuzione esistente presso la gestione che liquida la pensione, fatte ovviamente le dovute eccezioni relative alla ricongiunzione dei periodi assicurativi, ovvero alla applicazione della totalizzazione di cui al D.Lgs. n° 42/2006, ovvero alla applicazione del cumulo di cui ai commi 239 e seguenti dell’articolo 1 della legge n° 228/2012.

Come si faccia a dire, ad esempio, che un soggetto già pensionato INPS e occupatosi successivamente nella Pubblica Amministrazione possa essere considerato destinatario del sistema contributivo e di conseguenza possa avere diritto a pensione post Fornero a 70 anni con i 5 anni di contribuzione effettiva a prescindere dall’importo, ovvero a 63 anni con i 20 anni di contribuzione effettiva e con un importo non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale, per me rimane un mistero assoluto.

Siccome altri come me nutrono gli stessi dubbi, non sarebbe male se l’INPS lo scrivesse esplicitamente non risolvendo un caso specifico, come pare abbia fatto, bensì dando precise indicazioni con circolare o messaggio “pubblico”.

Non vanno poi nascoste le implicazioni relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici.

L’articolo 24, comma 4, secondo capoverso, della legge n° 214/2011, ha infatti previsto che “Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti dall’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n° 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n° 122 e successive modificazioni e integrazioni.”

Al di là di come la suddetta norma sia applicabile ai lavoratori del settore privato, ai lavoratori del settore pubblico tale flessibilità è inibita come chiaramente indicato dalla circolare n° 2/2012 della Funzione Pubblica.

Non solo, per effetto della successive interpretazioni autentiche (vedi articolo 2, comma 5, del D.L. n° 101/2013 convertito in legge n° 125/2013) il raggiungimento del limite ordinamentale comporta importanti implicazioni par taluni lavoratori.

Ad esempio, se un dipendente pubblico fosse titolare di 1 anno di contribuzione presso l’INPS nel 1994 e al compimento dei 65 anni avesse ulteriori 12 anni di servizio nella Gestioni Pubblici Dipendenti tutti successivi al 1995, fino alla recente circolare si sarebbe trovato nelle seguenti due ipotesi:

  1. se avesse ricongiunto tutto nell’ex INPDAP e avesse 13 anni di contributi lo manderebbero comunque a casa a 65 anni poiché anche trattenendolo fino a 70 anni (ancorché indicizzati) non riuscirebbe a maturare i 20 anni di contributi richiesti per coloro che hanno già contribuzione al 31.12.1995;
  2. anche se non avesse ricongiunto gli accadrebbe la stessa cosa poiché anche mediante totalizzazione o cumulo non raggiungerebbe il diritto a pensione, quindi andrebbe a casa a 65 anni.

Con l’interpretazione che si prospetta potrebbe paradossalmente accadere quanto segue:

  1. avendo fatto la ricongiunzione si troverebbe con 13 anni di contributi tutti in Gestione Pubblici Dipendenti, quindi lo manderebbero comunque a casa a 65 anni poiché anche trattenendolo fino a 70 anni (ancorché indicizzati) non riuscirebbe a maturare i 20 anni di contributi richiesti per coloro che hanno già contribuzione al 31.12.1995;
  2. non avendo fatto la ricongiunzione si troverebbe in Gestione Pubblici Dipendenti solo contribuzione successiva al 1995, quindi avrebbe diritto di essere trattenuto in servizio fino ai 70 anni indicizzati poiché a quel punto acquisirebbe comunque diritto a pensione avendo superato i 5 anni di contribuzione.

Un altro esempio potrebbe essere quello del soggetto che, essendo titolare di un assegno ordinario di invalidità da parte dell’INPS, fosse stato successivamente assunto nella pubblica amministrazione e al compimento del 65° anno di età avesse 19 anni di contribuzione nella Gestione Pubblici Dipendenti successivi al 1995, per il quale i due scenari potrebbero presentarsi nel modo seguente:

  1. con le precedenti indicazioni a 65 anni va a casa poiché si applica il limite ordinamentale a fronte di “qualsiasi” diritto a pensione con la perdita della contribuzione ex INPDAP;
  2. con le nuove interpretazioni sarebbe comunque collocato a riposo poiché già titolare di un diritto a pensione, ma avrebbe l’opportunità di ottenere la pensione a 70 anni indicizzati.
  3. ma potrebbe anche essere dichiarato inapplicabile l’articolo 24, comma 7, della legge n° 214/2011, posto che l’interpretazione autentica dello stesso articolo 24, comma 3, operata dall’articolo 2, comma 4, del D.L. n° 101/2013 convertito in legge n° 125/2013, ha previsto che “il conseguimento da parte di un lavoratore dipendente delle pubbliche amministrazioni di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011 comporta obbligatoriamente l’applicazione del regime di accesso e delle decorrenze previgente rispetto all’entrata in vigore del predetto articolo 24”.

Comunque vada, sarà un casino.

Per questo sarebbe importante che l’INPS, il Ministero del lavoro e la Funzione Pubblica concertassero una posizione univoca che affrontasse le diverse problematiche in cui si trovano i lavoratori dipendenti per gestire le diverse situazioni.

Da ultimo, ma non di minore importanza è il seguente problema.

Abbiamo finora senza parlato di Gestione Pubblici Dipendenti, ma cosa accade a posizioni invertite?

Ad esempio un ex dipendente pubblico che fosse stato a suo tempo collocato a riposo per inabilità alla specifica mansione e fosse titolare di una pensione ex INPDAP liquidata sulla base di contribuzione in tutto o in parte antecedente il 1996, potendo far valere successivamente contribuzione INPS per ulteriori 15 anni di contribuzione, come sarebbe considerato: titolare di un diritto a pensione supplementare all’età pensionabile, ovvero anche titolare di un diritto a pensione autonoma a 70 anni di età indicizzati del cosiddetto sistema contributivo?

Forse mi pongo più problemi di quanti non ne esistano, ma se lasciamo le cose nel vago non contribuiamo certamente a fare chiarezza.

Letto 7479 volte

Copyright © 2021 OggiPA.it Tutti i diritti riservati.

Direttore di Redazione: Dott. Arturo Bianco

Editore: Pubbliformez s.r.l. - Autorizzazione Tribunale di Catania n°7/2013

Sede: Via Caronda 136 - 95128 Catania - P.IVA 03635090875

Recapiti: Tel. 095/437045 - Fax 095/7164114 - email: claudiogagliano@oggipa.it