Dott. Daniele Perugini
La P.A. invecchia… attivamente! (prima parte)
Che l’età anagrafica media della popolazione europea e, in misura ancor più significativa, quella del nostro Paese si stiano progressivamente innalzando è un dato ormai noto e oggetto di attenzione da parte di chi si occupa di politiche pubbliche, in diversi ambiti, non ultimi quelli sociali e assistenziali. Altrettanto noto e preoccupante è il dato riguardante la crescente anzianità anagrafica degli addetti ai vari apparati della Pubblica Amministrazione, fenomeno che per certi versi riproduce la c.d. “piramide dell’età” della popolazione italiana ma che subisce anche il negativo influsso di altri specifici fattori. Occorre quindi ridisegnare politiche di gestione delle risorse umane che capitalizzino le competenze esistenti, facilitino l’adattabilità al cambiamento, sostengano il percorso verso la quiescenza e favoriscano la corretta trasmissione delle conoscenze tra le generazioni.
La struttura del procedimento disciplinare
Dott.ssa Patrizia Colagiovanni
In via preliminare va rilevato che l’art. 55 bis del d.lgs. 165/2001, introdotto dal d.lgs. 150/2009, ha previsto un doppio tipo di procedimento scindendo quello per le infrazioni disciplinari di minore gravità da quello per le infrazioni di maggiore spessore. La graduazione ha voluto rispondere alle esigenze di celerità e semplificazione a favore dei procedimenti per le violazioni minori. Ciò ha comportato l’introduzione di differenze quali, ad esempio, il diverso soggetto titolare della responsabilità disciplinare, la scadenza dei termini e la facoltà di sospensione del procedimento in relazione ad accertamenti penali.
Fatta questa breve premessa, analizziamo nel dettaglio la struttura del procedimento disciplinare. Essa così come disegnata anche dalla contrattazione collettiva di riferimento, prevede alcuni segmenti fondamentali: un primo che si può definire fase preistruttoria a cui fa seguito la fase contestatoria , una terza fase che si può definire di garanzia o di difesa del dipendente e la fase conclusiva dedicata al momento decisionale a cui segue l’eventuale irrogazione della sanzione.
La prima fase, prende l’avvio dal momento della “ conoscenza sommaria” dei fatti oggetto di accertamento e che può concludersi con l’ apertura del vero e proprio procedimento disciplinare da parte della p.a. qualora si rilevi la presenza degli elementi tipici astrattamente sanzionabili secondo le previsioni contrattuali e legislative.
La fase pre-istruttoria è alquanto delicata poiché è quella che condiziona il successivo procedimento o ne determina il mancato avvio. In estrema sintesi essa, quindi, si apre con la conoscenza del fatto specifico. Da questo momento decorrono 20 giorni di tempo per poter procedere alla contestazione formale, la quale, quando la sanzione disciplinare non ecceda la censura scritta, può essere effettuata direttamente dal dirigente. Diversamente, quando la sanzione da irrogare sia più pesante, la competenza passa all’ufficio procedimenti disciplinari.
Vale la pena sottolineare che la contestazione potrà essere disposta solo in presenza di elementi circoscritti, specifici e puntuali da evidenziare nel provvedimento.
Primo requisito della contestazione disciplinare è che essa sia fatta per iscritto. In caso contrario, infatti, la successiva sanzione disposta dal datore di lavoro sarà illegittima.
Nella lettera di contestazione deve poi essere indicato il termine concesso al lavoratore per presentare le proprie controdeduzioni rispetto al comportamento contestato.
E’ importante evidenziare che il datore di lavoro non può adottare sanzioni disciplinari prima che sia decorso questo termine.
Anche la Giurisprudenza ha sottolineato e ben precisato le caratteristiche della contestazione disciplinare (ex multis Cass., sent. n. 9615 del 12.05.2015) ritenendo che questa debba essere necessariamente: tempestiva, specifica e non modificabile.
La prima caratteristica corrisponde al principio di immediatezza secondo cui il datore di lavoro deve procedere a contestare la condotta del lavoratore ritenuta scorretta appena ne venga a conoscenza al fine di consentire al lavoratore l’immediata difesa contro gli addebiti mossi.
La specificità soddisfa, invece, l’esigenza di favorire il più possibile la comprensibilità da parte del lavoratore del comportamento/fatto contestato (indicando data/luogo in cui si è verificato il fatto e la dettagliata descrizione dell’accaduto).
Infine ulteriore peculiarità è che la sanzione comminata deve riferirsi ai fatti specifici contenuti nella contestazione. Infatti, nel caso in cui fosse possibile modificare tali fatti, sarebbe leso il diritto di difesa del lavoratore.
In altri termini quando l’amministrazione contesta al lavoratore una violazione deve farlo mediante “contestazione di addebito disciplinare”, ossia una lettera nella quale devono essere specificamente descritti:
– data, luogo e modalità con cui si è manifestato il comportamento del lavoratore ritenuto illegittimo;
– le norme del regolamento aziendale e/o del contratto collettivo che si ritengono violate;
– l’invito, rivolto al lavoratore, a presentare le proprie difese entro un certo termine.
E’ necessario sottolineare che la carenza di uno degli elementi indicati può comportare l’ illegittimità dell’ intero procedimento.
Le fasi successive alla contestazione disciplinare verranno analizzate nelle prossime riviste.
S.O.S APPALTI - Edizione del 15 Dicembre 2016
A cura dell'Avv. Carmine Podda
CORTE DI GIUSTIZIA. COMM. UE, SEZ. IV, 8 DICEMBRE 2016, C‐553/15
Affidamenti in house e attività svolta in favore di enti territoriali terzi
1. In materia di affidamenti diretti degli appalti pubblici, detti «in house», al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per l’amministrazione aggiudicatrice e segnatamente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che lo controllino, non si deve ricomprendere in tale attività quella imposta a detto ente da un’amministrazione pubblica, non sua socia, a favore di enti territoriali a loro volta non socidi detto ente e che non esercitino su di esso alcun controllo; tale ultima attività deve essere considerata come un’attività svolta a favore di terzi.
2. In materia di affidamenti diretti degli appalti pubblici, detti «in house», al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che esercitino su di esso, congiuntamente, un controllo analogo a quello esercitato sui loro stessi servizi, occorre tener conto di tutte le circostanze del caso di specie, tra le quali, all’occorrenza, l’attività che il medesimo ente affidatario abbia svolto per detti enti territoriali prima che divenisse effettivo tale controllo congiunto.
Consiglio di Stato sez. III 5/12/2016 n. 5113
Ipotesi di legittimazione a ricorrere indipendentemente dalla partecipazione alle procedura di gara
Riguardo alla legittimazione all’impugnazione in primo grado, va ricordato che l’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 9/2014, richiamando la sentenza n. 4/2011, ha affermato che, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione "deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione" e che "chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l'annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione - per lui res inter alios acta - venga nuovamente bandita", a tale regola generale potendo derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e, cioè, "quando: I) si contesti in radice l'indizione della gara; II) all'inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l'amministrazione disposto l'affidamento in via diretta del contratto; III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti".
Consiglio di Stato sez. V 24/11/2016 n. 4960
Requisito della regolarità fiscale sussistente solo in caso di espresso accoglimento dell’istanza di rateizzazione
Anche la più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui ai fini dell'integrazione del requisito della regolarità fiscale di cui all’articolo 38, comma 1, lettera g) del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n.163 del 2006), non è sufficiente che, entro il termine di presentazione dell'offerta, sia stata presentata da parte del concorrente istanza di rateazione del debito tributario, ma occorre invece che il relativo procedimento si sia concluso con un provvedimento favorevole. Deve pertanto ritenersi che non sia ammissibile la partecipazione alla procedura di gara del soggetto che, al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione, non abbia conseguito il provvedimento di accoglimento dell'istanza di rateizzazione (in tal senso –ex multis -: Cons. Stato, V, 26 luglio 2016, n. 3375; id., V, 7 aprile 2015, n. 1769).
Consiglio di Stato sez. III 25/11/2016 n. 4989
Le tabelle ministeriali su costo del lavoro non rappresentano un limite inderogabile
Per condivisi principi: a) le tabelle ministeriali non rappresentano un limite inderogabile, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento, specie se di lieve entità, non legittima, di per sé, un giudizio di anomalia (Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 854; sez. III, 2 marzo 2015, n.1020; sez. V, 24 luglio 2014, n. 3937); b) il costo orario medio dev’essere moltiplicato per il monte ore effettivo (e, cioè, per le ore annue mediamente ed effettivamente lavorate), e non per il monte ore teorico (Cons., St., sez. III, n.1020/2015 cit.; sez. III, 13 dicembre 2013, n.5984).
Consiglio di Stato sez. III 29/11/2016 n. 5026
Onere motivazionale in caso di revoca dell’aggiudicazione
Deve premettersi, in via generale, che, mentre la revoca resta impraticabile dopo la stipula del contratto d’appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso (come chiarito dall’Adunanza Plenaria con la decisione in data 29 giugno 2014, n.14), prima del perfezionamento del documento contrattuale, al contrario, l’aggiudicazione è pacificamente revocabile (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 13 aprile 2011, n.2291).
Il ritiro di un’aggiudicazione legittima postula, in particolare, la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, ed esige, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi (cfr. Cons. St., sez. V, 19 maggio 2016, n.2095).
Resta da chiarire che i canoni di condotta appena precisati restano validi anche per le procedure di aggiudicazione soggette alla disciplina del d.lgs. n.50 del 2016, nella misura in cui il paradigma legale di riferimento resta, anche per queste ultime, l’art.21-quinquies l. n.241 del 1990
TAR Liguria sez. II 2/12/2016 n. 1201
Contenuto del contratto di avvalimento
In tema di contratto di avvalimento l’art. 89, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 ha recepito la legge delega 28 gennaio 2016, n. 11 nella parte in cui (art. 1, comma 1, lett. zz) ha specificamente disposto la revisione della disciplina in materia di avvalimento, imponendo che il relativo contratto indicasse nel dettaglio le risorse e i mezzi prestati, con particolare riguardo ai casi in cui l'oggetto di avvalimento sia costituito da certificazioni di qualità o certificati attestanti il possesso di adeguata organizzazione imprenditoriale ai fini della partecipazione alla gara; il Codice di contratti dispone infatti che l'operatore economico deve dimostrare alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari mediante presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente; è quindi illegittimo il contratto di avvalimento che si limiti a prevedere, richiamando quanto richiesto dal disciplinare di gara, che l’impresa ausiliaria si obbliga a fornire alle Imprese ausiliate tutti i requisiti di carattere tecnico ma anche economico, finanziario ed organizzativo previsti dal bando di gara, risolvendosi l’impegno contrattuale in una mera riproduzione tautologica del testo del disciplinare di gara, difettando così della puntuale indicazione dei mezzi che la ditta ausiliaria dovrebbe fornire alle ausiliate per rendere effettivo il possesso del requisito di gara.
A fronte di un contratto di avvalimento generico non è possibile fare ricorso al c.d. “soccorso istruttorio”, atteso che ai sensi dell’art. 83, comma 9, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 il soccorso istruttorio non è esperibile per sopperire alle irregolarità che impediscono in maniera radicale di individuare il contenuto della documentazione (2).
Linea guida ANAC n. 3: la professionalità del RUP dei lavori pubblici (e delle concessioni) - seconda parte
Dott. Stefano Usai
Nella linea guida (definitiva) n. 3 sul RUP – adottata con deliberazione dell’ANAC 1096 del 26 ottobre 2016 - l’Authority ritorna sulla questione della professionalità del responsabile unico del procedimento. La focalizzazione sulla professionalità assurge ad elemento determinante anche per il contrasto dei fenomeni corruttive ma, ovviamente, anche in relazione alla necessità di ridurre il contenzioso determinato da gare/procedure spesso condotte in modo non corretto. Ribadito – come già precisato nello schema di linea guida – che il responsabile unico del procedimento deve “essere in possesso di specifica formazione professionale, soggetta a costante aggiornamento, e deve aver maturato un’adeguata esperienza professionale nello svolgimento di attività analoghe a quelle da realizzare in termini di natura, complessità e/o importo dell’intervento,alternativamente:
Cumulo fra pensioni di invalidità (e privilegiate) e redditi da lavoro: chiarimenti della Corte Costituzionale
Dott. Villiam Zanoni
Normalmente ci occupiamo di sentenze della Corte Costituzionale quando dichiarano illegittime talune normative che regolamentano le materie di nostro interesse, ma a volte anche sentenze che dichiarano non fondate determinate questioni di legittimità assumono rilevanze soprattutto quando nelle motivazioni chiariscono determinati scenari non sempre conosciuti.
L'Osservatorio sulle notifiche - Edizione del 30 Novembre 2016
Dott. Filippo Gagliano
Attenzione al cambio di residenza.una ricerca superficiale vanifica la “notifica”
La Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 23846 dello scorso 23 novembre 2016 ritorna nuovamente a sgridare gli agenti notificatori che pongono scarsa attenzione alle opportune necessarie ricerche,da riportare in relata e volte a stabilire se in effetti il destinatario dell’atto è irreperibile.
La questione esaminata riguarda la notifica di un avviso di liquidazione,atto propedeutico per la successiva iscrizione a ruolo ed emissione della relativa cartella. Nella fattispecie la contribuente ha contestato “la regolarità della notificazione dell’avviso di liquidazione (atto prodromico) mediante deposito nella casa comunale”, evidenziando che: “dalla relata di notifica, prodotta dall’ufficio soltanto in copia, risulta illeggibile la menzione delle ricerche effettuate dall’agente notificatore, costituenti elemento essenziale di validità della notificazione; alla data di tali ricerche essa risulta avere già trasferito la residenza”.
Eppure, la “notificazione” è stata “tentata” al suo vecchio “indirizzo”, dove, ovviamente, ella “è risultata irreperibile”.
Per i giudici le “contestazioni alla ritualità di tale notifica” mosse dalla contribuente sono “specifiche e circostanziate contestazioni alla ritualità di tale notifica”, alla luce della “mancata produzione in giudizio della relata in originale” e, quindi, della “mancata o irregolare esecuzione delle ricerche a seguito dell’accertata irreperibilità” della contribuente.
A fronte di tale “ricostruzione del processo notificatorio” nulla l’amministrazione finanziaria “ha eccepito”. Ciò permette di affermare, spiegano i giudici, che “la notificazione dell’avviso di liquidazione doveva essere effettuata all’ultimo indirizzo” della contribuente.
Logica conseguenza è la “nullità della notificazione” effettuata invece al suo vecchio indirizzo.
In questa ottica va ribadito che “è illegittima la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, laddove il messo notificatore abbia attestato la sola irreperibilità del destinatario nel Comune ove è situato il domicilio fiscale del contribuente, senza ulteriore indicazione delle ricerche compiute per verificare che il trasferimento non sia un mero mutamento di indirizzo all’interno dello stesso Comune”.
In conclusione, vista “la mancata notificazione dell’atto prodromico alla cartella di pagamento”, è pienamente fondata la contestazione mossa dalla contribuente.
Corretta la noticica della cartella tramite il servizio postale. Basta esibire la notifica
La Corte di Cassazione con la recente sentenza 11 NOVEMBRE 2016, N. 23049 ha evidenziato che “le relate prodotte attestano come la notifica, effettuata direttamente dal concessionario a mezzo del servizio postale, fosse una di quelle previste alternativamente dal modello normativo di riferimento, di cui all’art. 26 del DPR n. 602/73, senza che fosse necessario produrre alcuna copia delle cartelle notificate, di cui il concessionario non è più in possesso, per averla inviata in plico chiuso al contribuente, ed essendo tale modalità d’invio assistita dalla presunzione circa la ricezione non solo della cartolina, ma anche del plico accluso”.
Ribadisce sostanzialmente che in tema di riscossione delle imposte è stato sancito che “la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.
In conclusione la notifica diretta del concessionario della cartella a mezzo del servizio postale è legittima e la relata è sufficiente a provarla.
S.O.S. Appalti - Edizione del 30 Novembre 2016
Avv. Carmine Podda
Consiglio di Stato sez. III 25/11/2016 n. 4990
Apertura delle offerte tecniche nella procedura telematica di acquisizione
Nella procedura telematica non è necessaria una seduta pubblica per l’apertura delle offerte tecniche.
La gestione telematica della gara offre il vantaggio di una maggiore sicurezza nella “conservazione” dell’integrità delle offerte in quanto permette automaticamente l’apertura delle buste in esito alla conclusione della fase precedente e garantisce l’immodificabilità delle stesse, nonché la tracciabilità di ogni operazione compiuta; inoltre, nessuno degli addetti alla gestione della gara potrà accedere ai documenti dei partecipanti, fino alla data ed all'ora di seduta della gara, specificata in fase di creazione della procedura.
Le stesse caratteristiche della gara telematica escludono in radice ed oggettivamente la possibilità di modifica delle offerte (C.d.S. V sez., 5377 del 29 ottobre 2014; sez. III, n. 4050 del 3 ottobre 2016).
Consiglio di Stato sez. III 25/11/2016 n. 4993
Principio di concentrazione e sedute della commissione di gara
Nelle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici le garanzie di imparzialità, pubblicità, trasparenza e speditezza dell’azione amministrativa postulano che le sedute della commissione di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione e di continuità e che, quindi, la valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve esaurirsi, di norma, in una sola seduta, senza interruzioni, di guisa da scongiurare possibili influenze esterne e da garantire l’assoluta indipendenza e genuinità del giudizio dell’organo incaricato della valutazione (cfr. ex multis Cons. St., sez. IV, 4 agosto 2015, n.3851).
E’ vero che tale regola è stata definita “tendenziale”, nel senso che non si tratta di un precetto inviolabile e che, al contrario, tollera deroghe alla sua operatività, ma è stato anche chiarito che la sua inosservanza resta ammessa solo in presenza di situazioni particolari che impediscano obbiettivamente l’esaurimento di tutte le operazioni di gara in una sola seduta e, comunque, anche in questa evenienza, alle condizioni della durata minima dell’intervallo temporale tra le diverse riunioni e dell’adeguatezza delle modalità di conservazione dei plichi, a presidio dell’imparzialità e della correttezza delle operazioni valutative (cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 22 gennaio 2015, n.257).
TAR Lombardia Brescia sez. I 12/11/2016 n. 1474
Principio di equivalenza e favor partecipationis nel nuovo Codice
In ossequio al diritto comunitario, il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, per cui la possibilità di ammettere (a seguito di valutazione della stazione appaltante) prodotti aventi specifiche tecniche analoghe a quelle richieste risponde al principio del favor partecipationis (Consiglio di Stato, sez. IV – 26/8/2016 n. 2701 e la giurisprudenza ivi richiamata); già ai sensi dell’art. 68 comma 4 del D.Lgs. n. 163/2006, quando si avvalevano della possibilità di prescrivere determinate specifiche tecniche, le stazioni appaltanti non potevano respingere un'offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non fossero conformi alle specifiche alle quali avevano fatto riferimento, se nella propria offerta l'offerente provava in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperavano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche medesime; il principio predetto è ribadito e rafforzato dall’art. 68 del D. Lgs. 50/2016 vigente; peraltro, sin dal momento della presentazione dell’offerta, il concorrente che offre prodotti equivalenti deve fornire una prova idonea a dimostrare l’equivalenza allegata (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 7/7/2016 n. 1339, che risulta appellata), così come sancito dal predetto art. 68 comma 7.
TAR Toscana sez. I 7/11/2016 n. 1591
Avvalimento e soccorso istruttorio
Deve ritenersi, in forza dei principi a tutela della par condicio dei concorrenti, che attraverso il "soccorso istruttorio" possa essere consentita una integrazione di documentazione valida, ma non possa essere consentita la "sostituzione" di un contratto nullo già prodotto in sede di presentazione dell'offerta, con un successivo contratto valido posto in essere successivamente alla presentazione dell'offerta a seguito della contestazione di nullità dell'originario contratto; si deve quindi escludere la sanabilità con il soccorso istruttorio del vizio in questione, che si risolverebbe in un'inammissibile integrazione postuma della originaria carenza - al momento della partecipazione alla gara - dei requisiti di partecipazione richiesti (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 27 gennaio 2015 n. 301, secondo cui "non è consentito alla stazione appaltante, in violazione della par condicio, supplire all'indispensabile requisito della determinatezza del contratto di avvalimento, che dovrebbe indicare espressamente le risorse messe a disposizione, non potendosi rimediare a tale carenza mediante il ricorso al soccorso istruttorio. Il soccorso istruttorio è volto solo a chiarire ed a completare dichiarazioni o documenti comunque esistenti, non essendo invece applicabile quando in sede di gara si sia accertata la sostanziale carenza di un requisito essenziale per la partecipazione").
TAR Lombardia Milano sez. I 18/11/2016 n. 2162
Limiti al sindacato giurisdizionale in merito al giudizio della commissione di gara
Nelle gare pubbliche la Commissione aggiudicatrice, chiamata ad individuare l'offerta più vantaggiosa mediante l'attribuzione di punteggi ai diversi elementi della stessa, gode di un'ampia discrezionalità, che non può essere oggetto di sindacato giurisdizionale se è in linea con i criteri predefiniti nella lex specialis di gara e non presenta macroscopiche irrazionalità ed incongruenze, atteso che il riscontro del giudice amministrativo su tali valutazioni discrezionali deve essere svolto in modo estrinseco, nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo preclusa una sostituzione dell'Amministrazione, che costituirebbe ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera ad essa riservata (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. III, 15 gennaio 2016, n. 112).
Consiglio di Stato sez. V 23/11/2016 n. 4918
Principio di immodificabilità soggettiva dell’affidatario nel nuovo Codice
Il principio di immodificabilità soggettiva dell’affidatario, lungi dall’essere il portato precettivo di un divieto assoluto, ai sensi del combinato disposto dell’art. 37, comma 9 e commi 18 e 19 del Codice, persegue piuttosto lo scopo di consentire alla p.a. appaltante di verificare il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla gara e, correlativamente, di precludere modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli in grado di impedire le suddette verifiche preliminari (cfr., Consiglio di Stato, 13 maggio 2009, n. 2964) ovvero che tale verifica venga vanificata (cfr., Consiglio di Stato, 2 agosto 2006, n. 5081, nonché Consiglio di Stato 23 luglio 2007, n. 4101).
In aggiunta, sul piano sistematico, non va passato sotto silenzio che l’art. 106 d.lgs. n.50/2016, recependo l’art. 72 della direttiva 2014/24/Ue e l’art. 89 della direttiva 2014/25/Ue, prevede al comma 1, lett d, n. 2, la possibilità di modifica del contratto in corso qualora all’aggiudicatario iniziale succeda “per causa di morte o per contratto, anche a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni scissioni acquisizione o insolvenza , un altro operatore che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto”.
Nel segno della maggiore flessibilità della regolamentazione della continuità aziendale si è inteso agevolare la continuazione dell’esecuzione del contratti pubblici già stipulati.
L’obbligatorietà dell’azione disciplinare
Dott.ssa Patrizia Colagiovanni
Una importante differenza tra impiego privato e impiego pubblico è la possibilità di valutare se procedere disciplinarmente o meno.
Come noto, infatti, la scelta datoriale di sanzionare o meno il dipendente privato, seppure da esercitarsi sempre nel rispetto del divieto di discriminazioni e della parità di trattamento, è discrezionale mentre per il dipendente pubblico è assolutamente obbligatoria.
Ciò viene motivato dal fatto che nell’ impiego privato la scelta è espressione di prerogative manageriali, quindi si basa essenzialmente su una valutazione costi-benefici nell’ ambito del rapporto definito all’art.2086 c.c. Diversamente nell’impiego presso la p.a., nonostante tutte le teorie che spingono ad utilizzare strumenti privatistici diretti al conseguimento dell’efficienza, l’azione disciplinare è obbligatoria, in virtù dei principi costituzionali di buon andamento della p.a. e di legittimità dell’azione amministrativa. In realtà da tempo è dibattuto il carattere discrezionale o obbligatorio dell’ azione disciplinare al punto che parte della dottrina aveva giustamente ritenuto che, a completamento dell’ applicazione del modello privatistico, anche per il pubblico impiego fosse coerente ricondurre tale valutazione nell’ alveo dell’ esercizio delle prerogative manageriali del privato datore di lavoro.
Invece l’art.55-sexies, comma 3 del D.lgs. n. 165 del 2001, stabilisce che il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, comporta la responsabilità disciplinare in capo all’inerte (o addirittura complice) dirigente. Va da sé, quindi, che tali principi non consentono alcuno spazio a valutazioni di opportunità nell’esercizio del potere disciplinare.
Inoltre nel limitare l’ utilizzo di tale potere da parte del dirigente pubblico la norma sembra voler precisare il perimetro della responsabilità del dirigente considerandolo “lavoratore” e non “datore di lavoro”. Pertanto la macchina amministrativa (dirigenti, strutture, procedimenti, ecc.) ha l’oneroso e doveroso compito di perseguire ogni comportamento possa configurarsi con un illecito disciplinare.
Ne discende che la mancata attivazione di procedimenti disciplinari, per “pace sociale”, per negligenza, o addirittura per dolo o il loro abbandono immotivato, può originare responsabilità disciplinari, amministrativo-contabili, dirigenziali (ex art.21 del d.lgs. n.165 del 2001) e penali in capo all’inerte.
A tale obbligatorietà del promovimento dell’azione disciplinare da parte degli organi competenti, va richiamato il concorrente obbligo di segnalazione di fatti di possibile valenza disciplinare ai suddetti organi da parte dei dirigenti dell’ufficio ove opera il dipendente autore dell’illecito. Infatti senza tale momento conoscitivo-propulsivo l’azione disciplinare non ha inizio per carenza di notizia del fatto. Tale obbligo di segnalazione, già logicamente desumibile dal sistema, è stato testualmente ribadito per i dirigenti pubblici privatizzati dai CCNL e l’inerzia nella segnalazione assume di per sé valenza disciplinare per i soggetti a ciò obbligati ex lege così come evidenziato anche dalle recenti norme.
Per completezza va segnalato anche il comma 7 dell’art.55-bis che prevede l’obbligo del dipendente o dirigente, che è a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, di prestare collaborazione all’autorità disciplinare, salvo l’esistenza concreta di un giustificato motivo.
In conclusione si può affermare che la scelta operata dalla riforma Brunetta, che sancisce l’obbligatorietà dell’ azione disciplinare, nel circoscrivere il potere organizzativo dell’ amministrazione, di fatto dà origine ad un normativa di diritto speciale che costituisce un tertium genus poiché non riconducibile né al diritto civile né al diritto pubblico.
Sentenza n. 251/2016: valide per la Consulta le deleghe sul CAD
Dott. Daniele Perugini
Nel movimentato contesto referendario di questi giorni, la pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 251 adottata lo scorso 9 novembre ha sicuramente fornito l’occasione, ad entrambi gli schieramenti, per strumentalizzare pro domo propria la decisione sul ricorso della Regione Veneto avverso alcuni aspetti della Legge n. 124/2015, la c.d. Riforma Madia, uno dei provvedimenti su cui punta l’azione del Governo. La Consulta ha infatti dichiarato "parzialmente illegittima" la Riforma nei punti in cui l'attuazione dei decreti prevede un semplice parere e non l’intesa in seno alla Conferenza Stato-Regioni. La Corte ha invece respinto i dubbi di legittimità costituzionale nei confronti delle norme recanti la delega a modificare e integrare il Codice dell'amministrazione digitale.
Anticipo pensionistico agevolato (Ape Social ) e i soggetti interessati
Dott. Francesco Disano
L’anticipo pensionistico agevolato (cosiddetto “Ape Social ”), in atto in discussione in Parlamento, è una forma di sussidio assistenziale che, dal 1° maggio 2017, potrà “accompagnare“, fino alla maturazione della pensione di vecchiaia, alcune categorie di soggetti (cui viene concessa una particolare tutela ) che hanno compiuto almeno un’età di 63 anni e che possono vantare una contribuzione pari o superiore a 30 anni.
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